Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22246 del 03/11/2016
Cassazione civile sez. VI, 03/11/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 03/11/2016), n.22246
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17450-2015 proposto da:
F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA Federico
CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLA TURINI,
rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE FORMENTINI, giusta
procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE GORIZIA, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope
legis;
– controricorrente –
contro
MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS);
– intimato –
avverso l’ordinanza n. 6471/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di
ROMA del 5/2/2014, depositata il 20/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
22/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO.
Fatto
FATTO E DIRITTO
La Corte,
costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue:
Il sig. F.F. ha proposto ricorso per revocazione straordinaria avverso l’ordinanza n. 6471/14 depositata il 20 marzo 2014, con la quale questa Corte (sez. 6 -T) ha rigettato il ricorso proposto dal medesimo contribuente avverso sentenza della CTR del Friuli Venezia Giulia n. 20/09/12 dell’11 aprile 2012, che aveva rigettato l’appello dallo stesso proposto avverso la sentenza di primo grado resa su impugnativa di avvisi di accertamento per Irpef, Irap ed Iva per gli anni dal 2004 al 2008.
A sostegno del ricorso per revocazione proposto ex art. 395 c.p.c., n. 3, deduce con unico motivo che gli avvisi di accertamento già impugnati sarebbero affetti da nullità in quanto sottoscritti da funzionario privo della qualifica dirigenziale e che detta circostanza sarebbe emersa solo sulla base di documento rilasciato dalla stessa Agenzia delle Entrate in data 7 maggio 2015 a seguito di richiesta di accesso agli atti.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, al quale pure è stato notificato il ricorso, non ha svolto difese.
Il ricorso è inammissibile.
Ciò, innanzi tutto, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non è stato parte del giudizio in cui è stata resa l’ordinanza in questa sede impugnata per revocazione.
Quanto alla sua proposizione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, in primo luogo, quand’anche si ritenga che l’ipotesi dedotta sia astrattamente sussumibile nel disposto dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 3, deve osservarsi che non solo è onere della parte, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione per revocazione straordinaria, il rispetto dei termini di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c., ma occorre anche che la parte indichi nel ricorso sia le ragioni che le hanno impedito di produrre il documento rinvenuto in ritardo sia quelle relative alla decisività del documento stesso, dimostrando che l’ignoranza del documento o del luogo dove esso si trovava, fosse dipesa da fatto dell’avversario da forza maggiore (cfr. Cass. Sez. lav. 20 ottobre 2014, n. 22159).
Tutto ciò difetta, ad ogni evidenza, nella formulazione del relativo motivo di ricorso.
A ciò va aggiunto che esso introduce un tema che non risulta essere mai stato oggetto del giudizio definito con la succitata ordinanza (nel senso che la relativa questione, in difetto di tempestiva deduzione in sede d’impugnativa dell’atto impositivo, non possa essere rilevata d’ufficio, cfr. Cass. sez. 5, 18 settembre 2015, n. 18448).
Quanto sopra esime dalla disamina nel merito del motivo, peraltro, manifestamente infondato alla luce dei principi affermati da questa Corte in materia (cfr. Cass. Sez. 5, 9 novembre 2015, nn. 22800, 22803 e 22810) che hanno chiarito che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 che ad esso rinvia, non richiedono la necessità della sussistenza della qualifica dirigenziale in capo al delegante o al delegato, essendo equipollente il riferimento all’impiegato della carriera direttiva, contenuto in detta norma, al funzionario di terza area del c.c.n.l. del comparto delle agenzie fiscali. Deve essere, quindi, dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza nel rapporto processuale tra il ricorrente e l’Agenzia delle Entrate e si liquidano come da dispositivo. Nulla va statuito invece in ordine alle spese nel rapporto tra il ricorrente e l’intimato Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5000,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016