Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22832 del 09/01/2016

Cassazione civile sez. II, 09/11/2016, (ud. 30/09/2016, dep. 09/11/2016), n.22832

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7032-2015 proposto da:

SGR SERVIZI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GOLAMETTO 4,

presso lo studio dell’avvocato FRANCO ANTONAZZO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ADRIANO DEL BIANCO;

– ricorrenti –

contro

C.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 7/2015 del TRIBUNALE di RIMINI, depositata il

05/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/09/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito l’Avvocato ANTONAZZO Franco, difensore del ricorrente che si è

riportato al ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Luigi, che ha concluso per l’inammissibilità o, comunque,

per l’infondatezza del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 6 aprile 2012 il Giudice di pace di Rimini accoglieva l’opposizione proposta da C.M. contro il decreto ingiuntivo pronunciato nei suoi confronti su ricorso di SGR Servizi s.r.l..

Proposto appello da parte di quest’ultima, il Tribunale di Rimini, nella resistenza di C., rigettava il gravame. Dopo aver rilevato che la causa doveva essere decisa secondo diritto, e non in base all’equità, avendo essa ad oggetto un rapporto obbligatorio disciplinato da contratto per adesione, osservava che gli artt. 5, 9 e 16 del regolamento negoziale si ponevano in contrasto col principio per cui alla parte di un rapporto a tempo indeterminato deve sempre essere riservato il diritto di sciogliersi dal vincolo. Seguiva una analitica disamina delle poste debitorie contestate, in esito alla quale il Tribunale perveniva alla conclusione che nessuna somme fosse dovuta da C. a S.G.R.. Da ullree, 31 qiudiee riminese riteneva ricorressero le condizioni per la condanna dell’appellata al risarcimento del danno di cui all’art. 96 c.p.c..

La sentenza è stata impugnata per cassazione da S.G.R. con un ricorso affidato a due motivi. C., benchè intimato, non ha svolto difese nella presente fase di legittimità.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di norme di diritto, nella specie gli artt. 1342 e 1117 c.c.. Rileva che la controversia non aveva ad oggetto rapporti obbligatori perpetui, ma spese relative a parti comuni dell’edificio ex art. 1117 c.c., n. 3. Il rapporto che era alla base delle questioni dibattute in giudizio risultava, quindi di natura reale, e trovava la sua disciplina nella regolamentazione del condominio di edifici: in particolare, doveva trovare applicazione il principio per cui le spese di funzionamento e di conservazione dell’impianto, anche in caso di rinuncia da parte dell’avente diritto, devono gravare sul singolo proprietario dell’unità immobiliare servita dalla centrale termica a norma dell’art. 1118 c.c., comma 2. Quella avente ad oggetto la conservazione della cosa comune – è sottolineato – era una obbligazione reale, contenuta in un regolamento pubblico locale: la quota fissa per le spese di conservazione costituiva “esplicazione” di detta obbligazione. Nel motivo viene censurato anche quanto rilavato dal Tribunale per dar ragione della quantificazione della somma ingiunta; l’impugnazione risulta di poi diretta alla pronuncia della condanna per lite temeraria.

Il motivo è inammissibile.

Esso, oltre ad essere gravemente carente in punto di autosufficienza, visto che la scarna esposizione dei fatti di causa non consente di cogliere appieno il senso delle censure svolte, prospetta, con riguardo alla lamentata mancata applicazione della disciplina condominiale in tema di dismissione dell’impianto centralizzato di riscaldamento, una questione nuova. La sentenza di appello non fa menzione della detta questione, nè la ricorrente indica ove la stessa sia stata dedotta (o riproposta) nel precedente grado di giudizio. Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; cfr. pure: Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391; Cass. 12 luglio 2006, n. 14599; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270).

Per quel che concerne, poi, le restanti censure contenute nel corpo del motivo, esse sono all’evidenza prive di specificità, dal momento che la ricorrente nemmeno chiarisce quali siano i vizi, rientranti tra quelli di cui all’art. 360 c.p.c., di cui sarebbe affetta la sentenza.

Il secondo motivo lamenta una violazione di legge in relazione all’art. 107 c.p.c.. Secondo l’istante al procedimento doveva essere chiamato ad intervenire, jussu judicis, il Comune di Rimini e i giudici di merito avrebbero dovuto disporre nel senso indicato.

Il motivo non ha fondamento.

La chiamata in causa di un terzo è sempre rimessa alla discrezionalità del giudice di primo grado, involgendo valutazioni circa l’opportunità di estendere il processo ad altro soggetto, onde l’esercizio del relativo potere non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. 28 marzo 2014, n. 7406; Cass. 19 maggio 1999, n. 4857; Cass. 17 luglio 1996, n. 6460).

Il ricorso va in conclusione respinto.

Nulla deve statuirsi in punto di spese, stante la mancata costituzione, in questa sede, di C.M.. Si dà atto dell’obbligo della parte ricorrente di procedere, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso; dichiara parte ricorrente tenuta a procedere, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile – 2, il 30 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2016

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