Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23276 del 15/11/2016


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Cassazione civile sez. I, 15/11/2016, (ud. 27/09/2016, dep. 15/11/2016), n.23276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10760-2012 proposto da:

M.A., T.A.M., M.M.B.,

elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso l’avvocato MARCO

LEONI, che li rappresenta e difende, giusta procura speciale per

Notaio avv. M.E. di TARANTO – Rep.n. (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

ITALFONDIARIO S.P.A., nella qualità di procuratrice della CASTELLO

FINANCE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI LILIO 95, presso

l’avvocato TEODORO CARSILLO, che la rappresenta e difende, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1174/2011 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 27/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato LEONI MARCO (con procura Notaio)

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato CARSILLO TEODORO che si

riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1.- M.A., T.A.M. e M.M.B. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi – contro la sentenza della Corte di appello di Bari che ha confermato la decisione del tribunale di rigetto dell’opposizione da essi proposta avverso il decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti per il pagamento di somme dovute alla s.p.a. Caripuglia (incorporata nella s.p.a. Intesa Gestione Crediti) in qualità di fideiussori della s.r.l. white Queen.

In sintesi, la Corte di merito ha rilevato che l’esistenza del credito della società garantita risultava provata dalla consulenza tecnica di ufficio la quale, attraverso la produzione degli estratti conto, aveva ricostruito l’intero rapporto mentre gli opponenti non avevano fornito documentazione in originale a supporto del credito vantato dalla garantita nei confronti della banca nonostante espressa richiesta; che nuova, generica e sfornita di prova era l’allegazione dei fideiussori che la banca avesse continuato a far credito alla società anche dopo la conoscenza delle sue difficoltà economiche; che corretta fosse la liquidazione delle spese di lite.

Ha resistito con controricorso la s.p.a. Italfondiario, quale mandataria di Castello Finance, cessionaria dei crediti azionati.

Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. i ricorrenti hanno depositato memoria.

2.1.- Con il primo motivo i ricorrenti lamentano violazione di legge con riferimento alla pretesa illegittimità della emissione del decreto ingiuntivo opposto, che sarebbe avvenuto sulla base di documenti inidonei (saldaconto e non estratto conto). La banca non avrebbe fornito adeguata prova documentale del credito nel corso del giudizio di opposizione.

La censura si rivela palesemente inammissibile perchè apoditticamente in contrasto con quanto accertato in fatto (e non ritualmente censurato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) dalla Corte di merito in ordine all’accertamento del credito a mezzo di consulenza.

Peraltro le censure sono anche inammissibili nella parte in cui mirano a contestare l’idoneità della documentazione prodotta dalla banca ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, una volta esaurita la fase a cognizione piena dell’opposizione ed espletata la consulenza tecnica.

2.2.- Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge con riferimento all’affermazione della corte territoriale della tardività della produzione documentale del credito della società garantita laddove invece la documentazione non sarebbe mai stata contestata. Il motivo è inammissibile perchè le censure mirano semplicemente a negare quanto accertato dalla sentenza impugnata: richiesta di produzione dei documenti in originale, non ottemperata e illeggibilità delle copie prodotte.

Non vengono in considerazione le norme relative alla conformità di copie agli originali in mancanza di contestazione ma la stessa idoneità dei documenti prodotti (non leggibili). Quindi in questa parte la censura è infondata.

2.3.- Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge con riferimento all’insussistenza del debito della società garantita che – al netto della illegittima capitalizzazione degli interessi sarebbe stata addirittura creditrice della banca, contestandosi l’operato della consulenza in proposito.

Il motivo è inammissibile perchè verte su questioni di diritto (implicanti accertamenti in fatto) che, dalla sentenza impugnata (pag. 3), non risultano dedotte con specifico motivo di appello e i ricorrenti non precisano in quale modo e in quale sede hanno prospettato le questioni stesse, omettendo di trascrivere il motivo di gravame.

2.4.- Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge con riferimento alla ritenuta genericità dell’allegazione della colpa della banca nell’aver continuato ad erogare credito.

Anche questo motivo è inammissibile perchè la Corte di merito ha rilevato la novità della questione dedotta con la censura in esame e i ricorrenti si limitano ad affermare che essa era stata dedotta con l’opposizione (ricorso pag. 16). Dunque non riproposta in appello o, quanto meno, ricorrenti non trascrivono il relativo motivo, non risultante dalla sentenza.

2.5.- Con l’ultimo motivo i ricorrenti denunciano genericamente vizio di motivazione in ordine agli interessi anatocistici e ultralegali ma la censura è inammissibile per la stessa ragione che rende inammissibile il terzo motivo.

Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfetarie e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2016

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