Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23263 del 15/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 15/11/2016, (ud. 10/06/2016, dep. 15/11/2016), n.23263

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9923-2014 proposto da:

C.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

GIOACCHINO BELLI 27, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA

ABBATE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ELIA

RICCI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.G.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TEULADA 38/A, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MECHELLI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE LAGOMARSINO

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 17/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA del

24/01/2014, depositata il 21/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO;

udito l’Avvocato Elia Ricci difensore del ricorrente che si riporta

agli scritti;

udito l’Avvocato M.G. difensore della controricorrente

che si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che è stato depositata la seguente relazione in ordine al procedimento civile iscritto al R.G. 9923/2014.

“Nel (OMISSIS), il Tribunale di Genova pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dal sig. C. e dalla sig.ra L., ponendo a carico del primo un assegno divorzile di Euro 300,00 mensili.

In sede d’Appello, il sig. C. impugnava la decisione chiedendo la rideterrminazione di detto assegno nella somma mensile di Euro 200,00 o in quella meglio ritenuta. La sig.ra L., resistendo al gravame avversario, respingeva la domanda formulata con il ricorso avverso in appello e chiedeva in via incidentale la determinazione dell’assegno divorzile in Euro 100,00 mensili o nella diversa misura anche maggiore ritenuta di giustizia e la determinazione dell’assegno divorzile dalla data del deposito del ricorso introduttivo o dalla data diversa ritenuta applicabile. Il giudice d’appello rideterminando nella misura di Euro 350,00 mensili la somma dovuta a titolo di assegno divorzile e confermando nel resto la sentenza gravata, respingeva il ricorso sulla base delle seguenti argomentazioni: la Corte rilevava che nel grado d’appello non è più contestato che sussistano i requisiti stabiliti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 per l’attribuzione di assegno mensile a carico dell’ex marito, non disponendo la donna di fonti di reddito che le consentano di provvedere in autonomia al proprio mantenimento, essendosi l’appellante limitato a chiedere una rideterminazione in misura inferiore dell’assegno in questione. L’appellante non ha fornito la prova, di cui era onerato, che l’appellata svolgesse alcuna attività produttiva di reddito, o che godesse attualmente di qualsivoglia reddito. Le condizioni economiche della sig.ra L. necessitano di una erogazione riequilibratrice, da rideterminare ella più congrua misura di 350,00 mensili a suo favore.

Avverso tale pronuncia veniva proposto ricorso per Cassazione dal sig. C. affidato ai seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9e degli artt. 112 e 113 c.p.c.: il ricorrente ha affermato che l’omesso accoglimento dell’istanza istruttoria volta a verificare anche mediante indagini della Polizia Tributaria l’effettiva capacità reddituale della coniuge, conseguita l’impossibilità di dimostrare che la sig.ra L. percepisce un reddito superiore e diverso da quello dichiarato in causa. Ciò ha comportato non solo un errore procedurale, che ha viziato la sentenza gravata, ma anche un errore di natura sostanziale dal momento che ne è conseguita la violazione dell’art. 2697 c.c. nella parte in cui prevede che le parti siano onerate dal fornire prova dei fatti sui quali hanno posto il fondamento delle proprie domande ed eccezioni.

2) Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 111 Cost., comma 6 per mancata applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9: il ricorrente ha evidenziato che la mancata esecuzione delle verifiche richieste dal sig. C. ha impedito il pronto accertamento della verità materiale inerente la capacità reddituale della sig.ra L., avendo il procedimento giudiziale dovuto essere incentrato sul principio costituzionale del giusto processo e avendo il Giudicante disapplicato la formazione di un esatto contraddittorio tra le ragioni dei due ex coniugi.

3) Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione all’art. 132 Cost., comma 1, n. 4 e art. 2697 c.c.: il ricorrente affermava che la valutazione sul fatto che la sig.ra L. sia stata ritenuta senza colpa non in grado di mantenersi da sè, appare incompleta e incongruente, trovando l’incompletezza ragione della violazione dell’art. 2697 c.c., comma 1, dal momento che la sig.ra L. non ha offerto alcuna prova dell’asserza di colpa nell’asserita mancanza di un reddito autonomo ed essendo l’incongruenza stata causata per l’inesisterza di attinenza tra i fatti, proposti dalle parti a sostegno delle proprie difese, e la decisione.

4) Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 in relazione al decorso della debenza dell’assegno divorzile dalla data di proposizione del ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio: il ricorrente contestava che la Corte d Appello ha stabilito di fare decorrere il contributo dalla data di deposito del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, ma non ha fornito alcuna spiegazione dell’applicazione di detta scelta discrezionale.

Il ricorso è inammissibile. Il primo e il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono inammissibili, perchè rivolti a censurare l’operato della Corte d’Appello in ordine al mancato accoglimento di istanze istruttorie meramente esplorative. Al riguardo si richiama il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale: “in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento in sede di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l’esercizio del potere del giudice che, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 3, comma 9, può disporre – d’ufficio o su istanza di parte – indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova; l’esrcizio di tale potere discrezionale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” già fornito, incompleto o non completatile attraverso gli ordinari mezzi di prova; tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicchè la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati”. (Cass. 2098 del 2011)

Inoltre, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi prova di base (cfr. Cass. Civ. n. 4281 del 2014).

Il terzo motivo è radicalmente inammissibile perchè denuncia il vizio di motivazione sulla base della formulazione ante vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5 limitandosi a censurare vizi intrinseci alla motivazione.

Il quarto motivo è manifestamente infondato. L’assegno di divorzio, trovando la propria fonte nel nuovo “status” delle parti, rispetto al quale la pronuncia del giudice ha efficacia costitutiva, decorre dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale. A tale principio ha, tuttavia, introdotto un temperamento la L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4, comma 10, così come sostituito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 8 conferendo al giudice il potere di disporre, in relazione alle circostanze del caso concreto, ed anche in assenza di specifica richiesta, la decorrenza dello stesso assegno dalla data della domanda di divorzio: peraltro il giudice, ove si avvalga di tale potere, è tenuto a motivare adeguatamente la propria decisione. Nella specie dal complessivo esame della motivazione relativa ai presupposti attributivi dell’assegno divorzile, risulta che lo squilibrio reddituale ed economico accertato sussisteva già al momento della proposizione della domanda.

In conclusione ove si condividano i predetti rilievi il ricorso deve essere respinto”.

Il collegio, condivide la relazione depositata osservando in ordine alla memoria di parte ricorrente che essa è meramente riproduttiva dei motivi di ricorso, non colpendo in alcun punto la relazione depositata e sostenendo di nuovo le medesime ragioni di diritto circa il mancato accoglimento della domanda di verifica sui redditi, sul patrimonio e sul tenore di vita della L., anche da parte della Polizia Tributaria, già poste a base del ricorso.

Si dà atto che è stata depositata, altresì memoria di parte resistente adesiva alla relazione depositata.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e per l’effetto condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio da liquidarsi in Euro 3.000,00 per compensi e Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2016

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