Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23901 del 23/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 23/11/2016, (ud. 30/09/2016, dep. 23/11/2016), n.23901

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27795:2013 proposto da:

ALESI GIUSEPPA (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato MATTINA GIUSEPPE,

rappresentata e difesa dall’avvocato FELICE CHIARELLI giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

PLATONE 21, presso lo studio dell’avvocato MARCELLA LOMBARDO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FILIPPO CORDONE in virtù di

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1151/2012 della CORTE D’APPELLO DI PALERMO, ,

depositata il 17/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/09/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Laura Mattina per delega dell’Avvocato Felice

Chiarelli per la ricorrente e l’Avvocato Marcella Lombardo per

delega dell’Avvocato Cordone per il controricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con atto di citazione notificato il 7.4.2003 A.G. chiedeva la condanna del Condominio (OMISSIS), e di G.G. e S., proprietari dell’immobile da lei detenuto in detto condominio, in solido, al risarcimento dei danni sofferti a seguito della fuoriuscita dal pozzetto condominiale di acque luride che avevano invaso l’immobile da lei adibirci alla vendita al dettaglio di abbigliamento e calzature.

Con sentenza n. 110/2007 del 25.5.2007 il Tribunale di Palermo – sez. distaccata di Bagheria – accoglieva la domanda avanzata dalla A. e dichiarava responsabile dell’evento lamentato il condominio, che avrebbe dovuto provvedere alla manutenzione ordinaria degli scarichi condominiali al fine di scongiurare l’occlusione degli stessi;

condannava, per l’effetto, il condominio predetto, in persona dell’amministratore pro tempore, a pagare, in favore della A., la somma di Euro 19.522.00 a titolo di risarcimento dei danni subiti a seguito dell’evento dannoso lamentato, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data dell’evento al soddisfo ed a rifondere all’attrice le spese del giudizio; rigettava, invece, la domanda avanzata nei confronti del G., dichiarando interamente compensate tra le dette parti le spese di lite.

Avverso tale sentenza proponeva appello il condominio, lamentandosi che il giudice di primo grado aveva stimato il valore della merce danneggiata in Euro 5.000,00, basandosi per tale valutazione sulla deposizione resa dai testi B.A. e D.R.M., ed in Euro 14.522,00 il mmancato guadagno ed il danno alla pavimentazione, fondandosi sulle valutazioni del c.t.u. Assumeva altresì che la A. non aveva fornito alcuna prova del danno alla merce, che il rimborso per la sostituzione del pavimento non poteva essere richiesto dalla stessa, non essendo la proprietaria dell’immobile, e che, comunque, il valore del pavimento danneggiato era inferiore alla somma liquidata.

A.G. resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza n. 1451/2012 del 17.10.2012, ha, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannato il condominio al pagamento, in favore della A., della minor somma di Euro 8.352,00, oltre accessori, sulla base, per quanti nella presente sede ancora rileva, delle seguenti considerazioni:

a) avuto riguardo alla sostituzione della pavimentazione, A., locataria dell’immobile, non era carente di legittimazione, essendo esultato dalle deposizioni dei testi escussi e dalla documentazione prodotta (fattura della Icar Arredi n. (OMISSIS)) che la spesa (pari alla somma di Euro 8.352,00, come da a fattura (OMISSIS) della Icar Arredi) per la fornitura e la posa in opera del parquet che rivestiva il pavimento era stata chi lei affrontata;

h) la fattura n. (OMISSIS), riportante la somma di Euro 3.300,00, si riferiva, invece, ad un ordine (n. 110.02 relativo all’anticipo per fornitura e posa in opera degli elementi di arredo indicati nell’ordine n. 110.02 del 11.10.2002) che non risultava prodotto, e, comunque, conteneva un generico riferimento ad “elementi di arredo”, senza che risultasse documentato quali fossero gli clementi acquistati e pagati;

c) non risultava provata, inoltre, la domanda relativa al danno che l’attrice assumeva di aver subito per il danneggiamento di alcuni capi di abbigliamento, per complessivi Euro 5.000,00, non avendo fornito la prova in merito al valore dei capi danneggiati (in quanto l’elenco prodotto, essendo stato predisposto dalla stessa attrice, non poteva costituire prova a suo favore) e non avendo riferito i testi alcunchè sul punto;

d) era altresì fondata la doglianza relativa alla liquidazione del danno del lucro cessante che la A. assumeva di avere subito per la chiusura dell’esercizio nei giorni in cui era stato necessario pulire il locale e rifare la pavimentazione, in quanto, al di là del fatto che con l’atto introduttivo l’attrice aveva quantificato i giorni di chiusura in quattro complessivi (11 e 12/21 e 22 ottobre), mentre il tribunale aveva liquidato un danno pari ad 11 giorni di chiusura (così andando oltre le allegazioni della parte), la domanda, comunque, era rimasta sfornita di prova, atteso che il registro dei corrispettivi, dal quale il consulente aveva ricavato il dato meramente ipotetico di una perdita di Euro 500,00 al giorno, si riferiva all’anno 2003 e, quindi, ad un periodo successivo al sinistro.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.G., sulla base di quattro motivi illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.

Il Condominio dell’edificio sito in (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 112, 115 e 345 c.p.c. e art. 2697 c.c., comma 2, (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), la “mancata corrispondenza tra il chiesto dell’appellante ed il pronunciato con esame di eccezioni non proposte”, l’ultra perita”, l’esame di eccezioni nuove”, il “mancato assolvimento da parte dell’appellante dell’onere della prova sulle eccezioni proposte in primo grado” e la “mancata applicazione del principio di non contestazione”, per non aver la corte d’appello considerato che il condominio si era limitato genericamente a contestare l’entità dei danni da lei lamentati e ad eccepire il difetto di legittimazione attiva a chiedere il risarcimento relativo al pavimento, senza articolare alcun mezzo istruttorio a sostegno delle eccezioni.

1.1. Il motivo è inammissibile, atteso che, da un lato, la eventuale violazione dell’art. 112 c.p.c. avrebbe dovuto comportare una denunzia in base all’art. 360 c.p.c., n. 4 e, dall’altro lato, a ben vedere, la A. solleva censure sul piano della motivazione della sentenza, e non già della violazione di legge.

Invero, quanto al primo aspetto, la pronuncia d’ufficio da parte del giudice del merito su una domanda o un’eccezione che può essere fatta valere esclusivamente dalla parte interessata integra violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Conseguentemente, è inammissibile il motivo di ricorso con il quale siffatta censura sia proposta sorto il profilo della violazione di norme di diritto (riconducibile al citato art. 360, n. 3) ovvero come vizio della motivazione, incasellabile nel n. 5) dello stesso art. 360 (Sez. 3, Sentenza n. 1196 del 19/01/2007; conf. Sez. 1, Sentenza n. 22759 del 27/10/2014).

Quanto al secondo profilo, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della nonna di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Sez. 2, Sentenza n. 13313 del 05/05/2006 e, di recente, Sez. 1, Sentenza n. 195 del 11/01/2016).

1.2. In ogni caso, il motivo si rivela infondato, atteso che le contestazioni sull’entità dei danni lamentati dall’attrice rappresentano mete difese (e non già vere e proprie eccezioni), laddove l’eccezione concernente il difetto di legittimazione attiva in capo alla A. ad invocare il ristoro dei danni connessi al rifacimento del pavimento stata dalla corte d’appello rigettata, con la conseguenza che la medesima difetterebbe di interesse a dolersene.

A tal riguardo, peraltro, la ricorrente si è limitata a riprodurre, a pagina 4 del ricorso, uno stralcio dell’avversa comparsa di costituzione in primo grado (riferentensi espressamente ad una linea difensiva subordinata), in tal guisa precludendo una valutazione in ordine alle contestazioni mosse dal condominio nei confronti delle pretese risarcitorie dell’attrice.

Va, in proposito, ricordato che:

Il convenuto, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di “non contestazione” seguito della modifica dell’art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la “sussistenza dei presupposti di legge” per l’accoglimento della domanda attorca, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica (Cassazione civile, sez. 3, 06/10/2015, n. 19896).

Tuttavia, l’attuale formulazione dell’art. 115 c.p.c. (L. n. 69 del 2009) statuisce che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti ed i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita, laddove la disciplina anteriore prevedeva che, affinchè il fatto allegato da una parte potesse considerarsi pacifico, non fosse sufficiente la mancata contestazione, occorrendo che la controparte ammettesse esplicitamente il fatto o che impostasse il sistema difensivo su circostanze e argomentazioni logicamente incompatibili con la sua negazione (Cassazione civile, sez. 1, 21/01/2015, n. 1045).

Inoltre, la mancanza di specifica contestazione, se riferita ai fatti principali, comporta la superfluità della relativa prova perchè non controversi, mentre se è riferita ai fatti secondari consente al giudice solo di utilizzarli liberamente quali argomenti di prova ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2 (Cassazione civile, sez. 1, 02/10/2013, n. 19709).

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5), l’obliterazione da parte del giudice del merito dei documenti costituenti la prova del danno al parquet danneggiato ed alle merci”, l'”invalidazione delle risultanze istruttorie poste a base del convincimento” e l’obliterazione delle prove testimoniali in riferimento alla merce danneggiata ed al documento costituente l’elenco della merce ed il valore della medesima”, per aver la corte locale omesso di richiamare le sue conclusioni e deciso preliminarmente l’appello incidentale, senza esplicitare le ragioni di “ordine logico giuridico” che lo aveva indotto a tale scelta e senza considerare che, in ogni caso, la fondatezza dell’appello incidentale non precludeva l’esame di quello principale.

2.1. Il motivo è inammissibile, oltre che per i rilievi già formulati nel p. 1.2., in quanto la sentenza, essendo stata pubblicata il 17.10.2012, è soggetta ratione temporis alla formulazione attuale dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Orbene, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di Unte le risultanze probatorie (Sez. 2, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

In definitiva, è denuncia bile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Nel caso di specie, la fattura n. (OMISSIS) è stata senz’altro presa in considerazione dalla corte d’appello (cfr. pag. 3 della sentenza), laddove, quanto alle merci danneggiati, la decisione qui impugnata si fonda, come evidenziato nel p. 1.3., non solo sul mancato riferimento, da parte dei testi escussi, al valore dei capi di abbigliamento, ma anche sulla mancanza di valore probatorio dell’elenco cui gli stessi si sono riferiti, siccome di predisposizione unilaterale. In ordine a questo secondo pregiudizio, inoltre, la ricorrente asserisce di aver altresì prodotto il registro degli acquisti da (OMISSIS), ma omette di trascrivere almeno gli stralci relativi ai capi che sarebbero stati danneggiati e trascina che, ai sensi dell’art. 2710 c.c., i libri contabili possono fare prova, quando sono regolarmente tenuti, solo nei rapporti con altri imprenditori.

3. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’omesso esame del registro dei corrispettivi dell’anno 2002 prodotto nel primo grado del giudizio (con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per non aver la corte territoriale considerato, quanto al danno da lucro cessante derivato dalla chiusura dell’esercizio, che sin dalla costituzione in giudizio in primo grado era stato prodotto il registro dei corrispettivi del mese di (OMISSIS), laddove quello del 2003 era stato depositato unitamente alla memoria ex art. 184 c.p.c..

3.1. Il motivo appare infondato, in quanto, da un lato, non contesta l’affermazione della corte di merito secondo cui, pur avendo l’attrice, con l’ano introduttivo, quantificato i giorni di chiusura in quattro complessivi (11 e 12/21 e 22 ottobre), il Tribunale aveva liquidato un danno pari ad 11 giorni di chiusura (così andando oltre le allegazioni della parte); dall’altro lato, la corte palermitana non ha escluso che la A. avesse altresì prodotto il registro dei corrispettivi per l’anno 2002 (vale a dire, coincidente con l’anno in cui si era verificato il sinistro), ma ha solo rilevato che il registro dei corrispettivi, dal quale il consulente aveva ricavato il dato meramente ipotetico di una perdita di Euro 530,00 al giorno, si riferiva all’anno 2003 e, quindi, ad un periodo successivo all’evento.

Nè la odierna ricorrente ha dedotto e, tanto meno, dimostrato che dal registro del 2002 fosse ricavabile la perdita effettiva, essendosi limitata ad evidenziare (cfr. pag. 25 del ricorso) che, alla stregua del detto registro, nel mese di settembre del 2002 che aveva preceduto l’evento dannoso, l’esercizio commerciale aveva conseguito un incasso giornaliero oscillante tra 1.000 e 2.000 Euro.

4. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per aver la corte d’appello compensato parzialmente le spese di entrambi i gradì del giudizio, nonostante le sue domande fossero state, almeno avuto riguardo all’an, accolte integralmente.

4.1. In presenza di un accoglimento parziale della domanda risarcitoria attorca (che, a fronte di una richiesta iniziale di Euro 19.522,00, si vista riconoscere il minor importo di Euro 8.352,00), la motivazione resa sul punto dalla corte palermitana (“Considerato l’esito complessivo del giudizio che si è concluso con il parziale accoglimento delle domande dell’attrice”), integra gli estremi dei “giusti morivi” che, alla stregua della formulazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2 ratione temporis applicabile, legittimava la compensazione integrale o parziale delle spese di lite.

Cfr., di recente, Cassazione civile, sez. 28/09/2015, n. 19122, Cassazione civile, sez. 3, 31/07/2015, n. 16279, Cassazione civile, sez. 6, 03/10/2014, n. 20894, Cassazione civile, sez. 2, 03/06/2014, n. 12412, nel senso che il principio della soccombenza va applicato tenendo conto dell’esito complessivo della lite.

5. In definitiva, il ricorso non appare meritevole di accoglimento.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

7. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del tesgo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori come per legge.

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2016

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