Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24089 del 24/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 24/11/2016, (ud. 13/10/2016, dep. 24/11/2016), n.24089

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22677/2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.U.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 17/31/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del PIEMONTE del 5/07/2012, depositata il 15/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di P.U. (che non resiste), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte n. 17/31/2013, depositata in data 15/02/2013, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione del silenzio-rifiuto Opposto dall’Amministrazione finanziaria ad istanza del contribuente (esercente l’attività di agente di commercio) di rimborso dell’IRAP versata dal 2005 al 2007 – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, hanno sostenuto che non sussisteva il requisito dell’autonoma organizzazione, in quanto non rilevava che il reddito fosse stato conseguito nell’ambito di un’impresa familiare, risultando che il coniuge collaboratore aveva esercitato “una minima attività amministrativa”, prestazione questa che “non aveva prodotto alcun beneficio economico.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio con rituale comunicazione alle parti. La ricorrente ha depositato memoria.

Si dà atto che il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

IN DIRITTO

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per motivazione omessa o meramente apparente.

2. La censura è infondata.

La giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che si ha motivazione omessa o apparente quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (v. Cass. n. 16736/2007). Ciò non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto che l’apporto dato al professionista da collaboratore dell’impresa familiare (al quale era stato assegnato il 49% o del reddito d’impresa, come eccepito dall’Ufficio sin dal primo grado del giudizio), tenuto conto delle caratteristiche dell’attività svolta, meramente esecutiva, non valeva ad integrare il presupposto impositivo.

Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione.

I profili di apoditticità e contraddittorietà della motivazione, censurati col motivo in esame, dunque, quand’anche sussistenti, non vizierebbero tale motivazione in modo Così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (cfr. Cass. 5315/2015).

4. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3, dovendo ritenersi, differentemente da quanto ritenuto dalla C.T.R., che la collaborazione non meramente occasionale del componente dell’impresa familiare integri il requisito dell’autonoma organizzazione.

5. La censura e fondata, con assorbimento del secondo morivo (implicante vizio motivazionale).

La ricorrente richiama l’orientamento di questa Corte (Cass. 10777/2013; Cass. 1537/2014; Cass. 22628/2014) secondo il quale deve ritenersi soggetto all’imposta IRAP l’imprenditore commerciale, titolare di un’impresa familiare (non i familiari collaboratori), afferendo l’IRAP “non al reddito o al patrimonio in sè, ma allo svolgimento di un’attività autonomamente organizzata per la produzione di beni serizi” ed integrando la collaborazione dei partecipanti quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore, o valore aggiunto, rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare.

La Commissione, trascurando il dato costituito dalla presenza di familiare, ritenuto invece sintomatico in sè di quell’attività autonomamente organizzata necessaria ai fini dell’avveramento del presupposto dell’IRAP, non si è in effetti conformata a tali principi di diritto. Peraltro, la Commissione ha affermato che l’attività svolta dal collaboratore era di tipo “amministrativo” (dunque non meramente esecutiva).

3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del secondo motivo del ricorso, respinto il primo ed assorbito il terzo, va cassata la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va respinto il ricorso introduttivo del contribuente.

Atteso che sul thema decidendum oggetto della lite vi è stato intervento recente delle Sezioni Unite di questa Corte, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo del ricorso, respinto il primo ed assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2016

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