Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24689 del 02/12/2016
Cassazione civile sez. VI, 02/12/2016, (ud. 18/10/2016, dep. 02/12/2016), n.24689
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14754/2015 proposto da:
G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI CASTANI
195, presso lo studio dell’avvocato BRUNO GALATI, che lo rappresenta
e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LORENZO IL
MAGNIFICO, 107, presso lo studio dell’avvocato MARIA D’ANDREA, che
lo rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2563/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA del
22/04/2015, depositata il 22/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
18/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. DANILO SESTINI.
Si dà atto che il Collegio ha disposto la motivazione semplificata.
Fatto
RAGIONI DELLA DECISIONE
E’ stata depositata la seguente relazione ex art. 380 bis c.p.c..
“In parziale riforma della sentenza di primo grado (che aveva rigettato le contrapposte domande, con compensazione delle spese di lite), la Corte di Appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da G.R. (e la domanda da questi svolta nei confronti di M.D.), mentre ha accolto l’appello incidentale del M., condannando il G. al pagamento della somma di 1.000,00 Euro (oltre accessori) e delle spese del doppio grado di giudizio.
Il soccombente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui ha resistito l’intimato.
Il primo motivo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. e censura la sentenza per avere attribuito all’appellante incidentale “un bene della vita non richiesto”, in quanto il M. si era limitato “a chiedere l’accertamento della responsabilità del sig. G. e il rigetto della sua domanda”, senza formulare istanze o deduzioni in ordine a pretesi danni non patrimoniali.
Il motivo è inammissibile in quanto:
– a fronte della circostanza che il M. aveva comunque proposto una domanda in punto di “responsabilità per fatto illecito”, la censura è volta – nella sostanza – a censurare l’interpretazione che di tale domanda è stata data dalla Corte laddove l’ha ritenuta (implicitamente) comprensiva della richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali;
– atteso che l’interpretazione della domanda e l’apprezzamento della sua ampiezza costituiscono un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo motivazionale, risulta inammissibile il motivo di ricorso “che censuri l’operazione compiuta dal giudice di merito nell’interpretazione della domanda senza prospettare vizi motivazionali” (Cass. n. 7533/2004; cfr. anche Cass. n. 19475/2005, Cass. n. 20373/2008, Cass. n. 7932/2012);
– la censura non poteva dunque essere svolta in relazione all’art. 112 c.p.c., ma esclusivamente a mezzo della prospettazione di un vizio motivazionale, nei limiti in cui il novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (applicabile nel caso) consente il sindacato sulla motivazione.
Il secondo motivo (che deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c. e art. 599 c.p. e l’omesso esame di un fatto decisivo) è parimenti inammissibile in quanto volto a contestare l’apprezzamento delle risultanze istruttorie e la valutazione della natura ingiuriosa delle espressioni pronunciate dal G. e – quindi – teso a sollecitare un inammissibile accertamento di merito in sede di legittimità.
Si propone pertanto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente alle spese di lite”.
A seguito della discussione svolta in Camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con condanna alle spese di lite.
Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 1.650,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso spese forfettarie e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2016.
Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2016