Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24829 del 05/12/2016
Cassazione civile sez. VI, 05/12/2016, (ud. 10/11/2016, dep. 05/12/2016), n.24829
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6299/2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope
legis;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA IN FALLIMENTO, in persona del CURATORE A.G.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 7685/45/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE della CAMPANIA del 10/07/2014, depositata il 05/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
10/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.
Fatto
IN FATTO
L’Agenzia delle Entrate, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Fallimento (OMISSIS) spa, in persona del Curatore p.t., (che non resiste), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 7685/45/2014, depositata in data 5/09/2014, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso per maggiori IRES, IVA ed IRAP dovute in relazione all’anno d’imposta 2004, a seguito della contestazione di fatture per operazioni inesistenti, – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della società contribuente (sotto il profilo della nullità dell’atto impositivo, sia per decadenza dell’Amministrazione finanziaria dalla potestà accertatrice sia per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7).
In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, hanno sostenuto che, pacifica, nella specie, l’inosservanza del termine dilatorio di gg. 60 dal rilascio di copia del processo verbale di constatazione, essendo avvenuta la notifica dell’avviso il 20/08/2012, non ricorrevano le assente ragioni di urgenza, rappresentate dall’essere la società contribuente sottoposta a procedura fallimentare, in quanto il termine ultimo per l’Amministrazione finanziaria per insinuarsi tardivamente al passivo del fallimento scadeva il 19/03/2013, mentre l’atto impositivo era stato notificato molto tempo prima.
A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti. Si dà atto che il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.
Diritto
IN DIRITTO
1. La ricorrente lamenta, con il primo morivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.
2. La censura è fondata.
Questa Corte ha già affermato con decisioni applicabili alla fattispecie in esame che “le particolari ragioni di urgenza, che, ove sussistenti e provate dal fisco, consentono l’inosservanza del termine dilatorio di cui della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, non possono consistere nell’imminente scadenza del termine decadenziale utile al fine dell’accertamento da parte dell’Ufficio, qualora ciò sia dovuto esclusivamente ad inerzia o negligenza di quest’ultimo e non anche ad altre circostanze che abbiano ritardato incolpevolmente l’accertamento avvero abbiano reso – come nel caso in cui il contribuente versi in un grave stato di insolvenza – difficoltoso con il passare del tempo il pagamento del tributo e necessario procedere senza il rispetto del termine” (Cass. 9424/2014) e che “in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’intervenuta dichiarazione di fallimento di quest’ultimo giustifica l’emissione dell’avviso di accertamento senza l’osservanza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, a prescindere dalla sua esternazione all’interno dell’atto impositivo, non richiesta dallo Statuto del contribuente, nè da altra specifica disposizione, discendendo l’urgenza dalla necessità dell’Erario di procurarsi tempestivamente il titolo utile per insinuarsi al passivo fallimentare” (Cass. 13294 – 13295 – 13296 e 13297/2016; Cass. 18939/2015).
La sentenza della C.T.R. non è conforme al suddetto principio di diritto.
3. La seconda censura (violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 112 c.p.c.), è, del pari, infondata, non venendosi in ipotesi di omessa pronuncia su motivo di appello, avendo i giudici della C.T.R. ritenuto assorbito il motivo concernente l’ulteriore ragione di nullità dell’atto impositivo, affermata (per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43) dal giudice di primo grado (Cass. 1360/2016; Cass. 3417/2015).
4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dei primo motivo del ricorso, respinto il secondo, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese dei presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla C.T.R. della Campania.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2016