Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25006 del 06/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 06/12/2016, (ud. 28/09/2016, dep. 06/12/2016), n.25006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1046/2013 proposto da:

C.M.R., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in

ROMA, V.LE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato MARIA

LUCIA SCAPPATICCI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI

FARAONE giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PULISPLENDID S.R.L., in persona del legale rappresentante in carica,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE DI PARDO,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1233/2011 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA

del 22/12/2011, depositata il 28/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/9/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

“Con sentenza n. 1233/2011 depositata in data 28/12/2011 la Corte di appello di L’Aquila, decidendo sull’impugnazione proposta dalla Pulispendid s.r.l. nei confronti di C.M.R., in riforma della decisione del Tribunale della stessa sede, rigettava la domanda della C. intesa ad ottenere la corretta esecuzione del contratto di lavoro sottoscritto in data 2/10/2006 ed il pagamento della somma di Euro 18.616,39 a titolo di risarcimento danni in conseguenza della conversione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto part-time operata unilateralmente dalla società a partire dal mese di gennaio 2007. Riteneva la Corte territoriale che vi fosse stata da parte della lavoratrice una adesione per loda concludentia al nuovo assetto della prestazione che non giustificava la richiesta avanzata neppure sotto il profilo risarcitorio.

Avverso tale decisione C.M.R. propone ricorso affidato a due motivi.

La Pulispendid s.r.l. resiste con controricorso.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Si duole della ritenuta acquiescenza da parte della lavoratrice al nuovo assetto della prestazione disposto dalla Pulispendid s.r.l. e dell’attribuita rilevanza a documentazione che, contrariamente a quanto ritenuto, non era idonea a ricostruire le intenzioni della ricorrente nonchè della totale pretermissione delle attestazioni dell’I.N.P.S. da cui si evinceva che l’inquadramento previdenziale della ricorrente era sempre stato a tempo pieno.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 5, evidenziando che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto necessaria una formale messa a disposizione da parte della lavoratrice delle energie lavorative, energie che erano evidentemente già a disposizione in ragione dell’assunzione della ricorrente a tempo pieno e della nullità di ogni modifica unilaterale del rapporto di lavoro che non sia stata presa in accordo con il lavoratore e non abbia il requisito della forma scritta. Rileva che una corretta applicazione di tale principio avrebbe comportato l’impossibilità di ritenere che la ricorrente avesse prestato acquiescenza nei confronti della arbitraria riduzione dell’orario.

E’ manifestamente fondato il secondo motivo e determina l’assorbimento del primo.

Va, infatti, richiamato il recente precedente di questa Corte – Cass. 11 dicembre 2014, n. 26109 – che, decidendo una causa del tutto analoga alla presente, pur consapevole di altro difforme precedente (cfr. Cass. n. 1584 del 21 febbraio 1997), ha ritenuto che “configurandosi la modalità oraria come elemento qualificante la prestazione oggetto del contratto part-time, la variazione, tanto in aumento quanto in diminuzione, del monte ore inizialmente pattuito tra le parti integra gli estremi di una novazione oggettiva dell’intesa negoziale in essere tale da richiedere una rinnovata manifestazione di volontà espressa in conformità ai vincoli di forma all’epoca richiesti ad substantiam dalla richiamata normativa”. Il principio era stato, invero, già affermato da Cass. n. 16169 del 17 luglio 2006 che aveva precisato: “Ai sensi del D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 5, la trasformazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno in rapporto a tempo parziale non può avvenire a seguito di determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma necessita in ogni caso del consenso scritto del lavoratore, il cui rifiuto della trasformazione del rapporto non costituisce giustificato motivo di licenziamento; ne consegue che, per i rapporti ai quali si applica la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 61 del 2000, che stabilisce particolari cautele per la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, non vale la regola della estensione dei contratti collettivi aziendali ai non iscritti”. Anche nella pronuncia di questa Corte n. 16089 del 14 luglio 2014 è stato ribadito che: “La trasformazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno in rapporto a tempo parziale ai sensi del D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, art. 5 (seppure prevista da un contratto collettivo aziendale come strumento alternativo alla collocazione in mobilità) non può avvenire a seguito di determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma necessita in ogni caso del consenso scritto del lavoratore, il cui rifiuto della trasformazione del rapporto non costituisce giustificato motivo di licenziamento”. In particolare in tale decisione – come si rileva dalla motivazione – è stato ritenuto inapplicabile il criterio della accettazione implicita proprio in ragione della affermata necessità di un consenso espresso per iscritto dal lavoratore alla modificazione delle condizioni individualmente concordate con il datore di lavoro.

Essendo, dunque, la forma scritta richiesta ad substantiam, è da escludersi la possibilità di dimostrare che il relativo accordo si sia concluso per facta concludentia (cfr. Cass. 11 febbraio 2014, n. 3014; Cass. 19 ottobre 2006, n. 22501).

E’ allora fondata la doglianza della ricorrente secondo la quale, essendo pacifica l’inesistenza tra le parti di una formale intesa in ordine alla riduzione della durata oraria del contratto (solo unilateralmente stabilita dalla società datrice di lavoro), non era possibile desumere la stessa per facta concludentia dal comportamento successivo delle parti ex art. 1362 c.c..

In conclusione, si propone l’accoglimento del secondo motivo di ricorso (con assorbimento del primo), con conseguente cassazione della sentenza impugnata; il tutto con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5. Valuterà il collegio se sia possibile decidere la causa nel merito, ex art. 384 c.p.c. (nei termini di cui alla pronuncia di primo grado).

2 – Solo la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2 (ovviamente adesiva).

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., nei termini di cui alla pronuncia di primo grado.

5 – La regolamentazione delle spese del giudizio di appello e del presente di legittimità segue la soccombenza; va confermata la statuizione sulle spese di cui alla sentenza di primo grado.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decide nel merito nei termini di cui alla sentenza di primo grado; condanna la società controricorrente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di appello che liquida in Euro 2.300,00 di cui Euro 1.600,00 per onorari, oltre accessori di legge, e di quelle del presente giudizio che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%; conferma la statuizione sulle spese di cui alla sentenza di primo grado.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2016

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