Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 52 del 03/01/2017

Cassazione civile, sez. lav., 03/01/2017, (ud. 06/10/2016, dep.03/01/2017),  n. 52

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21152 – 2014 proposto da:

ABRAMO CUSTOMER CARE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25-B STUDIO PESSI, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

SANTORI, che rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE

GALLO, ADOLFO LARUSSA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.L.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA E. FAA’ DI BRUNO 15, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

COMBARIATI, che lo rappresenta difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 658/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/06/2014 r.g.n. 1561/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2016 dal Consigliere Dott. SPENA FRANCESCA;

udito l’Avvocato GENTILE GIOVANNI per delega verbale Avvocato SANTURI

MAURIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Catanzaro in data 14.3.2011 D.L.S., già dipendente della società ABRAMO CUSTOMER CARE spa dal 17.12.2007 al 21.1.2001, impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli ai sensi dell’art. 48, lett. h) CCNL, norma che prevedeva il licenziamento del lavoratore recidivo in una della mancanze indicate nel precedente art. 47 nei casi di applicazione nel biennio precedente di due provvedimenti di sospensione.

Il Giudice del Lavoro rigettava la domanda (sentenza del 4.7.2013 nr. 961/2013).

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 6.5.2014 – 19.6.2014 (nr. 658/2014), in accoglimento dell’appello di D.L.S. ed in riforma della sentenza di primo grado dichiarava la illegittimità del licenziamento e condannava la ABRAMO CUSTOMER CARE spa alla reintegra del ricorrente ed al risarcimento del danno, nella misura delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra, oltre al versamento dei contributi. La Corte territoriale osservava che erroneamente il giudice del primo grado aveva ritenuto tardive le contestazioni sulla regolarità del procedimento disciplinare.

Nel ricorso introduttivo era stata dedotta la violazione dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori; pur se nel prosieguo si faceva riferimento all’obbligo di affissione del codice disciplinare era stata comunque allegata una violazione procedurale e ciò abilitava il ricorrente ad illustrare la allegazione nel corso del giudizio.

Sussisteva, in particolare, il vizio di mancata contestazione di uno dei precedenti disciplinari necessari ad integrare la recidiva; oltre al fatto disciplinare era contestato un unico precedente (del 31.3.2001) e non anche la sanzione del 18.12.2009, richiamata soltanto nell’atto di licenziamento e necessaria ad integrare la recidiva prevista dall’art. 48 CCNL (due provvedimenti disciplinari di sospensione nel biennio precedente).

In ogni caso neppure ricorreva la giusta causa.

Il fatto contestato consisteva nella attivazione di una promozione – ad attivazione gratuita e rinnovo settimanale al costo di 1 Euro a settimana – ad un cliente che aveva smentito di averne fatto richiesta, anche in sede di esame testimoniale.

L’addebito non era provato giacchè seppure il cliente aveva confermato la sua posizione in sede di esame testimoniale, risultava un contatto tra l’operatore e la utenza telefonica della durata di 21 secondi, riconosciuto dalla stessa azienda.

Non era dunque da escludersi che il cliente avesse prestato il consenso ad una promozione attivata senza oneri di spesa pur senza averne pienamente inteso le condizioni e che il D.L. avesse poi attivato la promozione quando il cliente non era in linea.

Il fatto,poi, non era di gravità tale da giustificare il licenziamento.

Al riguardo doveva considerarsi:

– sotto il profilo oggettivo, che un contatto telefonico con il cliente vi era stato, breve ma comunque astrattamente sufficiente a raccogliere il consenso e che il danno economico per la azienda ammontava a soli Euro 5.000, importo pari al rimborso degli addebiti settimanali;

– sotto il profilo soggettivo, che non vi era nè dolo (inteso come consapevolezza di arrecare danni alla azienda), neppure contestato, nè la colpa grave, in quanto il D.L. non sapeva che la utenza del cliente era utilizzata solo per il collegamento con un antifurto; laddove la utenza fosse stata utilizzata in modo ordinario il cliente avrebbe avuto modo di accorgersi immediatamente del prelievo di 1 Euro a settimana.

Per la Cassazione della sentenza ricorre la società ABRAMO CUSTOMER CARE spa articolando tre motivi illustrati con memoria.

Resiste con controricorso D.L.S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 329 c.p.c., comma 2, art. 342 c.p.c., lett. b), L. n. 300 del 1970, art. 7.

Ha esposto che l’appellante aveva impugnato la statuizione di primo grado, che aveva ritenuto tardiva la allegazione del vizio procedurale compiuta nelle note conclusive, assumendo la rilevabilità ex officio iudicis dei vizi del procedimento disciplinare; ha riportato per estratto il relativo motivo d’appello.

Ha lamentato che il giudice dell’appello, pur avendo espressamente disatteso l’assunto della rilevabilità del vizio procedurale ex officio, aveva riformato la statuizione impugnata sotto un profilo non dedotto, ritenendo sufficiente la avvenuta allegazione nel ricorso introduttivo della violazione del L. n. 300 del 1970, art. 7.

2. Con il secondo motivo la società ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., art. 437 c.p.c., comma 2, L. n. 300 del 1970, art. 7.

Con il motivo si censura la statuizione della Corte di merito nella parte in cui affermava che il lavoratore aveva dedotto nel ricorso introduttivo del giudizio la mancata contestazione della recidiva.

La società ricorrente ha esposto che nel ricorso introduttivo, trascritto per stralcio nella presente sede di impugnazione, era dedotta come unica violazione procedurale la mancata affissione del codice disciplinare.

Ha censurato il principio affermato della Corte di merito secondo cui la specificazione di un determinato vizio procedurale non vale a circoscrivere la allegazione di violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, sicchè tale allegazione può essere specificata ed ampliata anche in corso di causa.

Ha dedotto che la allegazione della violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, costituisce una eccezione in senso stretto e che la parte ha l’onere di denunziare un vizio specifico.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha lamentato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nr. 5, omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti. Ha dedotto che la Corte territoriale aveva omesso di considerare il fatto decisivo – risultante dagli atti di causa e pacificamente accertato- che la scheda telefonica relativa alla utenza su cui era stata attivata la promozione era inserita in un sistema di allarme domestico sicchè non poteva esservi stata alcuna conversazione telefonica tra l’operatore ed il cliente, come supposto, invece dalla Corte di merito.

Il cliente (sig. R.D.) – sentito come teste – aveva dichiarato che la scheda telefonica era inserita in un apparecchio che non aveva una funzione di telefono e che egli neppure sarebbe stato capace di estrarla dal punto in cui era ubicata.

L’omesso esame di tale fatto aveva inficiato tanto il giudizio sulla mancanza di prova dell’addebito che quello sulla gravità del fatto.

La Corte territoriale,infatti, aveva basato il proprio convincimento sulla affermata possibilità di una conversazione “frettolosa” con il cliente e di un consenso del cliente non pienamente consapevole laddove non era tecnicamente possibile che vi fosse stata alcuna conversazione tra l’operatore ed il cliente.

I motivi possono essere esaminati congiuntamente; essi colgono le diverse rationes decidendi della sentenza sicchè la impugnazione proposta potrebbe trovare accoglimento, con la conseguente cassazione della decisione gravata, soltanto nel caso in cui fossero ammissibili e fondate le ragioni di impugnazione relative a ciascuno dei capi della statuizione autonomamente decisivi.

In particolare, la sentenza della Corte territoriale si fonda su tre autonome statuizioni, ciascuna ex se decisiva:

1) Vi era un vizio del procedimento disciplinare, consistente nella mancata contestazione della doppia recidiva, che integrava il tipo di licenziamento adottato (ex art. 48, lett. h CCNL); tale vizio doveva ritenersi dedotto dal lavoratore, stante il generico riferimento nel ricorso introduttivo della lite alla violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7.

La predetta statuizione è stata impugnata con il primo ed il secondo motivo di ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

2) Non vi era la prova del fatto disciplinare addebitato ovvero la attivazione di una promozione a pagamento ad un cliente che non ne aveva fatto richiesta.

Tale statuizione è stata impugnata con il terzo motivo di ricorso sotto il profilo del vizio della motivazione.

3) In ogni caso, il fatto addebitato non giustificava la sanzione del licenziamento, per difetto di proporzionalità.

Tale statuizione è stata impugnata con il terzo motivo di ricorso sotto il profilo del vizio della motivazione.

Tanto premesso, è decisivo rilevare che il vizio della motivazione dedotto con il terzo motivo non è sussumibile nella ipotesi contemplata come motivo di ricorso per cassazione nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis (la sentenza impugnata è stata depositata in data 19.6.2014).

Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Al compito assegnato alla Corte di Cassazione resta,invece, estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti.

La Corte territoriale nella fattispecie di causa ha esaminato il fatto che la parte ricorrente assume non considerato; si legge infatti alla pagina 7 della sentenza d’appello che il lavoratore “non era comunque a conoscenza del fatto che la utenza in questione fosse utilizzata non per il traffico telefonico ma solo per il collegamento con un antifurto”.

Il giudice del merito, dunque, ha esaminato il fatto che la scheda telefonica – sulla quale veniva registrato un contatto tra il D.L. ed il cliente TELECOM – non fosse inserita in un apparecchio telefonico ma in un antifurto, di cui dà espressamente conto.

Non vi è dunque l’omesso esame di un fatto decisivo, come dedotto con il terzo motivo, ma un eventuale vizio di contraddittorietà della motivazione, che sfugge al sindacato rimesso a questa Corte di legittimità nel nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Dal rigetto del terzo motivo consegue il difetto di interesse della società ricorrente all’esame del primo e del secondo motivo del ricorso, dal cui accoglimento non potrebbe comunque derivare la cassazione della sentenza per la definitività dalle altre e concorrenti rationes decidendi.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 100 per spese ed Euro 3.500 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2017

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