Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 144 del 05/01/2017

Cassazione civile, sez. II, 05/01/2017, (ud. 25/10/2016, dep.05/01/2017),  n. 144

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1322/2012 proposto da:

F.M.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

E. TAZZOLI 2, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA DI GIOIA,

rappresentata e difesa dall’avvocato UMBERTO N. IPPOLITO;

– ricorrente –

contro

FR.GI.MA., FA.RO., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA BELSIANA 71, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

DELL’ERBA, rappresentati e difesi dall’avvocato RAFFAELE VINCENZO

PREZIUSO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 386/2011 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 28/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Fr.Gi.Ma. e Fa.Ro. convenivano nel 1997 in giudizio innanzi al Tribunale di Lucera F.M.G..

Gli attori esponevano che la convenuta era comproprietaria di una parte dell’estensione del fondo edificatorio in atti individuato ed ubicato in (OMISSIS) (e già oggetto, per i rimanenti lotti, di apposito giudizio di divisione parziale definita con precedente sentenza 408/1982 del Tribunale stesso), deducevano, quindi, che la medesima convenuta, nel 1993, aveva occupato una larga fascia del terreno rimasto in comunione, di circa cinque metri di larghezza, realizzando una rampa di accesso per autoveicoli.

Chiedevano, pertanto, gli attori la condanna della convenuta alla demolizione dell’opera realizzata sul bene comune, la riduzione in pristino dello stato dei luoghi (con livellamento del terreno), il risarcimento dei danni e la condanna alle spese.

La domanda era resistita dalla convenuta, che ne chiedeva il rigetto.

Il Tribunale di Lucera, con sentenza n. 182/2004 accoglieva la domanda di ripristino e rigettava quella risarcitoria, nonchè l’eccezione riconvenzionale di proprietà della convenuta.

Avverso la suddetta decisione, di cui chiedeva la riforma, la F. interponeva appello, resistito dalle parti appellate.

L’adita Corte di Appello di Bari, con sentenza n. 386/2011, rigettava l’appello con condanna dell’appellante alla refusione delle spese del giudizio.

Per la cassazione della succitata decisione della Corte territoriale ricorre la F.M.G. con atto affidato a due ordini di motivi e resistito con controricorso dalle parti intimate. Nell’approssimarsi dell’udienza hanno depositato memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., le parti contro ricorrenti.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso si deduce la “nullità della sentenza e del procedimento di appello nonchè della sentenza e del procedimento di primo grado per violazione degli artt. 102 e 354 c.p.c.”.

Nella sostanza parte ricorrente adduce che, in forza della sua eccezione riconvenzionale di proprietà (per donazione paterna) relativa alla porzione di terreno su cui insisterebbe l’opera, vi era la necessità di integrazione del contraddittorio e di pronuncia nei confronti anche degli altri litisconsorti.

La censura non può essere accolta risultando, dalla stessa prospettazione di parte, una carenza di interesse della stessa.

Per di più la Corte distrettuale, con apposita riguardo all’aspetto che qui rileva, ebbe già a rilevare con la sua sentenza (pp. 7/8) comunque la “inesistenza della originaria proprietà del donante”. E, fatto ancor più dirimente, va rilevato come quella sollevata col motivo in esame (quanto al profilo della necessità di integrazione del contraddittorio) costituisce questione nuova, non risultante come già svolta nei pregressi gradi del giudizio o comunque, come tale, da ritenersi in difetto di ogni altra dovuta opportuna allegazione.

Infatti ” i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili (Cass. civ., Sez. Prima, Sent. 30 marzo 2007, n. 7981 ed, ancora e più di recente, Sez: 6 – 1, Ordinanza, 9 luglio 2013, n. 17041).

Il motivo deve, pertanto, essere respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di “violazione e falsa applicazione dell’art. 771 c.c. in relazione agli artt. 99 e 112 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3)”.

La censura inerisce la questione della rilevabilità di ufficio della inefficacia del contratto di donazione.

Tale questione costituiva il fulcro di apposito motivo di appello già esaminato e congruamente deciso dalla Corte distrettuale.

Col motivo si rileva che l’inefficacia traslativa dell’atto traslativo ovvero della donazione alla F. della porzione di suolo per cui si controverte non poteva essere rilevata d’ufficio dal giudice.

La Corte territoriale ha affermato, nella sostanza e ad integrazione di quanto detto dal primo Giudice, che l’inesistenza della originaria proprietà del donante della detta porzione immobiliare, avrebbe in ogni caso consentito la rilevabilità d’ufficio cui aveva fatto ricorso il primo giudice (così respingendo il motivo).

La decisione oggi gravata deve essere mantenuta ferma, ma con apposita specificazione dovuta anche a a quanto affermato dalla giurisprudenza.

E’, infatti, noto che la donazione dispositiva di un bene altrui, benchè non espressamente disciplinata, deve ritenersi nulla alla luce della complessiva disciplina dell’istituto ed, in particolare, dell’art. 771 c.c. (Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 5 maggio 2009, n. 10356).

Tanto comporta che, nella fattispecie, l’indubbia nullità della detta donazione era in ogni caso rilevabile di ufficio.

Il motivo è, quindi, infondato e va respinto.

3.- Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricorso deve essere rigettato.

4.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore delle parti contro ricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2017

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