Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 819 del 13/01/2017
Cassazione civile, sez. VI, 13/01/2017, (ud. 06/12/2016, dep.13/01/2017), n. 819
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –
Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29704-2015 proposto da:
V.P., M.A., elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA BORGOGNONA 37, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA
BRANCADORO, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO VINCENZI
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope
legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1050/2015 del 20/04/2015 della Commissione
Tributaria Regionale di BOLOGNA, depositata il 18/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
06/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO MOCCI.
Fatto
FATTO E DIRITTO
La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c. delibera di procedere con motivazione sintetica ed osserva quanto segue.
M.A. e V.P., in proprio e quali ex soci della società estinta Immobiliare A.M. s.a.s., propongono ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, che aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Forlì-Cesena. Quest’ultima, a sua volta, aveva accolto il ricorso dei contribuenti avverso gli avvisi di accertamento per l’IVA e l’IRAP in capo alla società, nonchè la rettifica in aumento dei redditi di partecipazione dei soci, relativamente all’anno 2005.
Nella decisione impugnata, la CTR ha affermato che, al verificarsi della cancellazione, l’atto di accertamento o i successivi eventuali atti processuali avrebbero dovuto essere indirizzati nei confronti dei soci succedutisi alla società estinta. L’esame dell’intestazione dell’atto avrebbe appunto comprovato la corretta notifica nei confronti dei contribuenti, nella qualità di soci della cessata società, oltre che, per il M., anche di legale rappresentante.
Il ricorso è basato su due motivi.
Col primo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Affermano che l’accertamento nei confronti di una società cancellata dal registro delle imprese sarebbe da considerarsi nullo, anzi inesistente. Conseguentemente, la società estinta non sarebbe più legittimata al giudizio, sicchè i soci non avrebbero più capacità di rappresentarla.
Col secondo, i ricorrenti assumono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. L’assunto della sentenza impugnata, secondo cui, a seguito della cessazione della società, si aprirebbe un fenomeno successorio a favore del socio della società stessa sarebbe erroneo, sotto il profilo giuridico: ai fini strettamente tributari, sarebbe escluso il subingresso automatico dei soci, giacchè l’Amministrazione avrebbe dovuto previamente dimostrare l’eventuale liquidazione di attivo a loro favore.
L’intimata non si è costituita.
Le doglianze dei ricorrenti, che possono essere esaminate congiuntamente per il loro collegamento logico, non sono fondate.
Come hanno avuto modo di affermare le Sezioni Unite di questa Corte, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali (Sez. U, n. 6070 del 12/03/2013).
In questo senso, si controverte delle obbligazioni che al M. ed alla V. competono come socio personalmente ed illimitatamente responsabile l’uno, personalmente e limitatamente responsabile, per la quota, l’altra. Il merito di tale ripartizione non è stato però oggetto del giudizio di appello.
D’altronde, le obbligazioni che, nella specie, si fanno valere sono rette dagli specifici titoli fondati sulle norme degli art. 2313-2403 c.c., e perciò senza necessità che si dimostri da parte della creditrice-esattrice che vi è stata specifica ripartizione dell’attivo sociale risultante dal bilancio finale di liquidazione (rispetto alla qual cosa l’obbligazione dei ricorrenti è del tutto autonoma ed indifferente) (Sez. 6 5, n. 13805 del 06/07/2016).
L’intimata non ha svolto attività difensiva.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2017