Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 999 del 17/01/2017
Cassazione civile, sez. VI, 17/01/2017, (ud. 16/11/2016, dep.17/01/2017), n. 999
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28652-2015 proposto da:
ASSOCIAZIONE RICONOSCIUTA “NESSUN DORMA”, in persona del suo legale
rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CASSAZIONE rappresentata e difesa dall’avvocato FABIO
RIZZA, giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1530/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di MILANO del 10/04/2015, depositata il 16/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CRICENTI;
udito l’Avvocato Fabio Rizza difensore della ricorrente che si
riporta agli scritti.
Fatto
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle Entrate ha contestato alla associazione Nessun Dorma il fatto di agire in realtà quale impresa commerciale. Conseguentemente ha rideterminato in redditi dichiarati dall’associazione, presumendone di maggiori, proprio in ragione della dissimulata attività imprenditoriale svolta dalla compagine oggetto di verifica.
L’accertamento ha riguardato gli anni dal 2006 al 2012, ed i relativi avvisi sono stati impugnati dalla contribuente, con ricorsi respinti dai giudici di merito di entrambi i gradi.
Propone ricorso per Cassazione l’associazione con due motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia.
I motivi sono infondati.
Con il primo motivo la contribuente lamenta nullità della sentenza per violazione del litisconsorzio, tra l’associazione ed il rappresentante legale quale persona fisica.
Ritiene la ricorrente che, avendo l’Agenzia ritenuto l’esistenza di un’impresa, sotto forma di associazione, allora era d’obbligo che venisse chiamato in causa l’imprenditore, ossia il rappresentante legale della associazione, in proprio.
In realtà la regola che impone il litisconsorzio tra società e soci, a ristretta base personale, riguarda, per l’appunto, le società e non già le associazioni, per le quali peraltro la responsabilità di colui che ha agito è regolata dall’art. 38 c.c..
In sostanza, il fatto che l’Agenzia ha ritenuto che l’associazione, pur formalmente tale, ha svolto in realtà attività di impresa, non fa cambiare natura giuridica alla associazione e conseguentemente non determina l’applicazione delle norme sul litisconsorzio, dettate per le società personali. L’associazione resta formalmente tale, e sta in giudizio con il suo legale rappresentante, valendo per essa le regole processuali sulle associazioni e non (indie sulla società, anche se l’associazione ha svolto attività di impresa.
In sostanza, l’associazione che svolge attività di impresa (di fatto), non diventa perciò stesso una società.
Così che non ricorrono le condizioni per il litisconsorzio previste in tema di società commerciali.
Con il secondo motivo lamenta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e carente e contraddittoria motivazione.
Secondo la ricorrente gli elementi posti dall’Agenzia a base dell’accertamento non sarebbero sufficienti a far presumere un’attività di impresa, e comunque la CTR non avrebbe adeguatamente motivato perchè, invece, ha ritenuto corretto il metodo presuntivo usato dal Fisco.
Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
E’ inammissibile poichè chiede una nuova valutazione del materiale probatorio usato dall’Agenzia al fine di ritenere la natura imprenditoriale dell’associazione, ed in particolare lamenta una erronea valutazione delle prove addotte dalla stessa contribuente.
Così che quest’ultima si duole in realtà dell’errata formazione del convincimento del giudice, ossia della errata valutazione delle prove da parte della CTR.
E’ infondata, del resto, al riguardo la doglianza circa la mancata ammissione di prove testimoniali nel giudizio di merito, attesa l’inammissibilità delle prove orali nel giudizio tributario.
Per altro verso, la motivazione della CTR non può ritenersi affatto apparente, posto che i giudici danno conto sia degli elementi su cui l’Agenzia ha basato il suo convincimento, sia del valore presuntivo di tali elementi al fine della conclusione raggiunta.
PQM
La Corte respinge il ricorso condanna la ricorrente al pagamento di 5600,00 Euro di spese, oltre a spese prenotrate a debito, dando atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2017