Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3130 del 07/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 07/02/2017, (ud. 16/11/2016, dep.07/02/2017),  n. 3130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. ENZO Vincenti – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14247-2013 proposto da:

(OMISSIS) INSURANCE BROKERS SRL (OMISSIS), in persona del suo legale

rappresentante p.t. Dott.ssa M.C., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE B. BUOZZI 99, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO D’ALESSIO, che la rappresenta e difende giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.P., considerato domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

PIERLUIGI CORRADINI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 599/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato ANTONIO D’ALESSIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO ROSARIO GIOVANNI che ha concluso per il rigetto del ricorso

previa eventuale correzione della motivazione della sentenza

impugnata con riferimento al 1 motivo, spese compensate.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La (OMISSIS) Insurance Brokers s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione contro F.P. e nei confronti della s.p.a. Groupama Assicurazioni (già Gan Italia s.p.a.), avverso la sentenza del 31 gennaio 2013, con cui la Corte d’Appello di Roma ha rigettato il suo appello avverso la sentenza del novembre del 2005 del Tribunale di Roma, che:

a) aveva accolto la domanda, proposta dal F., nella qualità di agente generale dell’allora Gan Italia s.p.a., subentrato ad un precedente agente, la s.n.c. Palomba, per ottenere dalla qui ricorrente la restituzione delle somme che la (OMISSIS) Insurance Brokers a suo dire aveva trattenuto indebitamente a titolo di provvigioni su nove contratti assicurativi, stipulati a suo tempo dal precedente agente con l’USL RMF di Civitavecchia, tramite l’intermediazione della medesima;

b) aveva rigettato la domanda riconvenzionale, svolta dalla (OMISSIS) Insurance Brokers per ottenere il pagamento di altre provvigioni non trattenute;

c) aveva rigettato la domanda della medesima (OMISSIS) Insurance Brokers, intesa ad ottenere dalla Gan Italia, chiamata in causa, per il caso di accoglimento della domanda principale e di rigetto della riconvenzionale, la corresponsione delle somme da restituirsi all’attore e il pagamento di quelle oggetto della riconvenzionale.

2. Al ricorso ha resistito con controricorso soltanto il F..

3. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ. in materia di indebito arricchimento e violazione della L. n. 792 del 1984istitutiva dell’attività del broker così come confluita nel Codice delle Assicurazioni D.Lgs. n. 209 del 2005, ex art. 106 con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Vi si censura la sentenza impugnata per avere qualificato l’azione esercitata dal F. come azione ai sensi dell’art. 2033 c.c., cioè di ripetizione indebito. L’illustrazione procede con il ripercorrere l’evoluzione legislativa riguardo alla figura del broker, per approdare alla conclusione che esso riveste la qualità di mediatore di assicurazione. Quindi, sulla premessa che “in conformità ai dati obiettivi ed incontestati, emergenti dagli atti di causa ci troviamo in presenza di un’attività di brokeraggio (inquadrabile come intermediazione “atipica”….) prestata dalla (OMISSIS) Insurance Broker s.r.l. in favore della ASL RM/F di Civitavecchia” si sostiene che “del tutto legittimamente l’odierna ricorrente ha trattenuto le provvigioni (relative alla nove polizze di cui è causa stipulate con la ASL RM/F) in proprio favore”, dal momento che (si riportano due brani dell’atto) il F., fin dall’atto di citazione, aveva riconosciuto di essersi reso conto che la detta ASL utilizzava per tenere i rapporti con l’agenzia un broker e di avere appreso che esso aveva collaborato al perfezionamento dei contrati originari, percependo le provvigioni di sua spettanza.

A queste deduzioni non segue, però, alcuna spiegazione del perchè la qualificazione del rapporto intercorso fra l’ASL e la ricorrente in relazione alla stipula delle polizze dovrebbe di per sè confliggere con la qualificazione della domanda nel senso di una ripetizione di indebito: infatti, la postulazione (pagina 12 del ricorso, secondo capoverso) è meramente assertiva al riguardo, sostenendosi che con quella qualificazione la corte capitolina avrebbe eluso la disciplina normativa dell’attività di brokeraggio.

Di seguito, si argomenta ulteriormente sotto altro profilo, cioè si sostiene che, spettando l’azione di ripetizione di indebito verso l’accipiens a colui che abbia effettuato un pagamento ed essendo esso “inesistente, nè lontanamente configurabile, nel caso di specie, nel quale il F. non ha versato mai alcuna somma alla (OMISSIS) Insurance”, per tale ragione la sentenza impugnata sarebbe erronea.

1.1. Il motivo, quanto alla prima parte della prospettazione, è inammissibile, giacchè non spiega perchè, una volta ritenuto esistente il rapporto di brokeraggio fra la ricorrente e I’ASL, le somme trattenute non potessero considerarsi indebite con riferimento alla posizione del F. e prima ancora del precedente agente. La prospettazione è, come s’è veduto, del tutto assertoria e, di riflesso, appare generica, con la conseguenza che si è in presenza di motivo anche generico e come tale inammissibile alla stregua del consolidato principio di cui a Cass. n. 4741 del 2005, seguita da numerose conformi).

1.2. Quanto alla seconda parte, là dove pare postulare che la nozione di pagamento di cui all’art. 2033 c.c. sottenda necessariamente il trasferimento di danaro da un soggetto, il solvens, ad un altro, l’accipiens, di guisa che senza tale trasferimento la condictio indebiti non potrebbe configurarsi, assume quella nozione in modo erroneo, sia perchè il concetto di pagamento adoperato dal legislatore nella norma è, in realtà, sinonimo di prestazione e, quindi di adempimento, sia perchè, sebbene con il limite dell’oggetto, che deve essere una somma di danaro o cose di genere o una cosa determinata (e non un facere: Cass. n. 6747 del 2014), le modalità di verificazione della prestazione oggettivamente indebita, in relazione alla causa che l’ha giustificata e che, in realtà non esisteva o era invalida, possono essere dipese e, dunque, essersi realizzate in modi diversi, secondo quello che la causa inesistente o invalida prevedeva, bastando solo che la prestazione in base a tale causa si configurasse come dovuta dal solvens e dovuta all’accipiens.

Nella specie, l’acquisizione, da parte della ricorrente, delle somme di cui il F. ha chiesto la restituzione era apparentemente giustificata dal rapporto di brokeraggio, che, a dire della ricorrente, giustificava che essa incamerasse provvigioni anche in relazione ai periodi di durata delle polizze assicurative originariamente intermediate, successivi alla stipulazione, e ciò perchè il F., dopo essere subentrato nel rapporto di agenzia, sarebbe stato vincolato a siffatto modo di essere del rapporto. Nella prospettazione del F. tale vincolo non esisteva e, dunque, l’incameramento era privo di causa, così determinandosi il suo risultare una prestazione oggettivamente indebita facente carico sullo stesso F., al quale invece le somme incamerate sarebbero spettate.

2. Con il secondo motivo si fa valere “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, relativamente sia al contenuto della missiva del 19.06.2000 a firma del F. sia al precetto di cui all’art. 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Il motivo, come disvela l’evocazione dell’art. 116 c.p.c., non denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo alla stregua dell’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5 secondo a lettura della norma data da Cass. sez. un. nn. 8053 e 8054 del 2014, ma sollecita innanzitutto la Corte a valutare la motivazione con cui la sentenza impugnata ha apprezzato sia un comportamento tenuto dal F. nei primi due anni in cui era divenuto agente con il sopportare le trattenute, sia le risultanze di una lettera del 10 luglio 2000. Non si denuncia l’omesso esame circa un fatto, ma il modo in cui dei fatti sono stati apprezzati, così ponendosi al di fuori del nuovo paradigma del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. e postulandosi una rivalutazione della motivazione esistente su fatti probatori.

Ciò è tanto vero che nell’intestazione si fa riferimento all’art. 116 c.p.c., così evocandosi il modo in cui la corte capitolina ha esercitato il prudente apprezzamento su quei fatti.

2.1. Sicchè, anche a volere considerare il motivo come denunciante la violazione dell’art. 116 c.p.c. e, dunque, riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 4 (alla stregua di quanto ammesso da Cass. sez. un. n. 17931 del 2013), difetterebbe la sostanza della violazione di quel paradigma, atteso che è stato statuito che: “poichè l’art. 116 cod. proc. civ. prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4 è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi)” (Cass. n. 11892 del 2016, da ultimo).

2.2. D’altro canto, nella illustrazione del motivo, al di là della mancata indicazione della violazione di norme di diritto sull’esegesi del comportamento tenuto dal F. nei primi due anni e del tenore della lettera, nemmeno si coglie una prospettazione di un vizio di sussunzione sotto tali profili.

Il motivo è, pertanto, inammissibile.

3. Con un terzo motivo si denuncia “violazione dell’art. 2558 c.c. relativamente al contenuto del documento di cui all’allegato n. 3 del fascicolo di parte (OMISSIS) di primo grado in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Il motivo, più che dolersi di una valutazione erronea del documento evocato nell’intestazione (del quale, peraltro, non riproduce, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, il contenuto nè direttamente nè indirettamente indicando in quale parte del documento l’indiretta riproduzione troverebbe riscontro) si duole dell’affermazione, con cui la sentenza impugnata, dopo avere rilevato che il prospetto non recava sottoscrizione, ha escluso che nella pattuizione contrattuale stipulata fra il precedente agente e la ricorrente, in tesi giustificante la trattenuta delle somme, fosse subentrato il F. ai sensi dell’art. 2558 c.c., assumendo che la pattuizione non si caratterizzava come contratto stipulato per l’esercizi dell’impresa, in quanto “per il suo oggetto” non era annoverabile “fra quelli necessari all’esercizio dell’azienda”.

3.1. Il motivo viene sostenuto con la sola accusa che tali affermazioni sarebbero apodittiche, ma non svolge argomenti in iure per dimostrare che esse, specie avuto riguardo al concetto di necessarietà, non rivelino una motivazione. In tal modo, il motivo, che si astiene dallo svolgere deduzioni sull’esegesi della norma dell’art. 2558 c.c., come sarebbe stato comunque necessario trattandosi di censura di violazione di norma di diritto, sebbene si sia evocato dell’art. 360, il n. 5 dopo avere indicato violata la norma dell’art. 2558 c.c., è privo della struttura necessaria di un vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

3.2. In ogni caso l’assunto della corte capitolina appare fondato, tenuto conto che il concetto di necessarietà appare correttamente evocato.

Come ha statuito in motivazione Cass. n. 13651 del 2004 “la regola dell’art. 2258 c.c. relativa al trasferimento automatico al cessionario di tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive non aventi carattere personale, si applica non soltanto con riguardo ai contratti d’azienda (aventi ad oggetto, cioè, il godimento di beni aziendali non appartenenti all’imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento della attività imprenditoriale), ma anche ai cosiddetti “contratti d’impresa”, aventi come oggetto non direttamente beni aziendali, ma rapporti attinenti alla organizzazione dell’impresa medesima, come ad esempio i contratti di somministrazione con i fornitori, quelli di assicurazione, i contratti di appalto e simili (cfr., tra le altre, Cass. 2 marzo 2002, n. 3045; 12 aprile 2001, n. 5495; 29 aprile 1999, n. 4301; 8 giugno 1994, n. 5534)”.

E’ palese che l’accordo asseritamente intervenuto fra l’agente precedente e la ricorrente non rientra nella nozione appena indicata.

Dunque, correttamente la sentenza impugnata ha escluso che il F. fosse subentrato nell’ipotizzato contratto.

Il motivo è infondato.

4. Con il quarto motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 2721 e 2724 cod. civ. in relazione alla mancata ammissione delle prove testimoniali richieste dalla (OMISSIS), in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo resta assorbito, a parte ogni valutazione sulla sua fondatezza, perchè, una volta consolidatasi la motivazione criticata con il precedente motivo, anche se esso fosse fondato, le prove non ammesse sarebbero funzionali alla dimostrazione della conclusione del contratto fra il precedente agente e la ricorrente, la quale ricadrebbe nel brocardo frusta probator quod probatur non relevat, atteso che il contratto non sarebbe opponibile al F..

5. Il quinto motivo nella prima parte, relativa al rigetto del secondo motivo di appello concernente la riconvenzionale di pagamento delle “provvigioni” non trattenute, resta assorbito dall’esito del terzo motivo, cioè dall’inopponibilità del preteso contratto con il precedente agente.

Mentre nella seconda parte, relativa al terzo motivo di appello, integra una censura non rispondente al nuovo n. 5 e, quanto al capitolo di prova n. 5, se lo si intende ai sensi del n. 4, non riesce a dimostrare la decisività e rilevanza del capitolo.

6. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, nel rapporto fra ricorrente e resistente seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione al resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro ottomiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre accessori e spese generali come per legge come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2017

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