Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5014 del 28/02/2017

Cassazione civile, sez. III, 28/02/2017, (ud. 27/10/2016, dep.28/02/2017),  n. 5014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10810-2014 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE B. BUOZZI

99, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO D’ALESSIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANGUIDO PORCACCHIA

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

DEI CAPRETTARI 70, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO

IAIONE, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

S.P. QUALE CUSTODE GIUDIZIARIO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5910/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato ANTONIO D’ALESSIO;

udito l’Avvocato MASSIMILIANO IAIONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con atto di intimazione di sfratto per morosità e comunque per finita locazione e contestuale citazione per la convalida, notificato a F.G. in data 28 luglio 2011, A.C.A. (quale erede dell’originaria locatrice M.R., cui era succeduto, oltre all’intimante, l’altro figlio della M., A.P., marito della F.) chiedeva che il Tribunale di Roma dichiarasse la risoluzione del contratto per morosità o per finita locazione e condannasse la convenuta alla corresponsione dei canoni relativi al secondo quadriennio di durata del contratto, oltre alle spese condominiali per tutta la durata, all’indennità per illegittima occupazione ed al maggior danno ai sensi dell’art. 1591 cod. civ..

Nel giudizio interveniva, aderendo alle domande dell’attrice, il custode giudiziario dell’immobile, avv. S.P., nominata in una procedura esecutiva per espropriazione immobiliare, instaurata dinanzi al Tribunale di Roma dal Condominio dello stabile in cui si trova l’appartamento oggetto di giudizio.

Si costituiva la convenuta, opponendosi alla convalida ed eccependo il difetto di integrità del contraddittorio nei confronti del coerede e legittimo possessore dell’appartamento, A.P., e chiedendo la sospensione del giudizio, ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., in attesa della definizione della causa pregiudiziale di divisione ereditaria pendente dinanzi al Tribunale di Roma tra i germani A., eredi della madre M.R. (nella quale era costituita anche la F.), nonchè in attesa della definizione di altra causa, di opposizione al decreto ingiuntivo emesso in favore del Condominio ed ai danni della A.C., in cui quest’ultima aveva chiamato in causa la F.. La convenuta insisteva comunque per il rigetto delle domande dell’attrice.

Rigettata l’istanza di convalida dello sfratto e disposto il mutamento di rito, seguito dal deposito di memorie integrative di tutte le parti, il Tribunale di Roma, con sentenza n. 582/2012, dichiarava la risoluzione del contratto per grave inadempimento della conduttrice dell’obbligazione di pagamento dei canoni e degli oneri accessori e, per l’effetto, condannava F.G. alla restituzione dell’immobile in favore di A.C.A. e dell’avv. S.P., nella qualità di custode giudiziario, in solido tra loro, nonchè, sempre in favore delle medesime, in solido, al pagamento dei canoni scaduti dal 1 luglio 2007 al 30 giugno 2011, per la somma complessiva di Euro 72.000,00, oltre interessi; al pagamento degli oneri accessori (spese condominiali) maturati al 31 dicembre 2010 per la somma complessiva di Euro 187.100,93, oltre interessi; al pagamento dell’indennità per illegittima occupazione ai sensi dell’art. 1591 cod. civ., in misura pari ad Euro 1.500,00 al mese, oltre interessi, a far data dal 30 giugno 2011 e fino all’effettiva riconsegna dell’immobile; al risarcimento del maggior danno ai sensi dell’art. 1591 c.c., seconda parte, in misura pari ad Euro 12.000,00 per mese, oltre interessi, a far data dal 30 giugno 2011 e fino all’effettiva riconsegna dell’immobile; al pagamento delle spese di lite.

2.- Con la sentenza qui impugnata, pubblicata il 5 novembre 2013, la Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame proposto da F.G. e l’ha condannata al pagamento delle spese del grado in favore delle appellate A.C.A. e avv. S.P., nella qualità predetta.

La Corte d’appello, in risposta ai motivi di gravame, ha ritenuto che non vi fosse litisconsorzio necessario con il comproprietario dell’immobile, A.P., atteso che ciascuno dei comproprietari può intentare le azioni, anche giudiziarie, a tutela del bene e degli interessi comuni e che l’azione intrapresa dalla comproprietaria era stata portata formalmente a conoscenza di A.P., che non vi si era opposto; che la pendenza del giudizio di divisione ereditaria non avesse alcuna incidenza sul presente giudizio, non rilevando agli effetti di questo, ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., il definitivo assetto degli interessi proprietari all’esito di quel giudizio; che la valutazione del maggior danno per l’illegittima occupazione dell’immobile fosse stata correttamente determinata facendo riferimento all’oggettiva consistenza dello stesso ed alle offerte ricevute dall’attrice per la sua locazione; che per le altre somme oggetto di condanna si fosse fatto riferimento alle evidenze contabili, peraltro non oggetto di specifica contestazione.

3.- La sentenza è impugnata da F.G. con dieci motivi.

A.C.A. e l’avv. S.P., in qualità di custode giudiziario, si difendono con distinti controricorsi.

Tutte le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo la ricorrente denuncia “violazione dell’art. 102 c.p.c. in stretta connessione all’art. 354 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4”, censurando la sentenza per il rigetto del motivo di gravame concernente il difetto del contraddittorio nei confronti di A.P.. Precisa che, con la sentenza non definitiva n. 2929 del 6 febbraio 2014, pronunciata dal Tribunale di Roma nel giudizio di divisione ereditaria, si è accertato che il predetto è proprietario jure hereditatis della quota pari al 50% del bene oggetto del contratto di locazione, per cui è processo. Ribadisce che A.P., oltre ad essere comproprietario, è anche legittimo possessore dell’immobile e coniuge convivente della signora F.G.. Aggiunge che, perciò, avrebbe diritto alla percezione nella misura del 50% dei canoni oggetto di condanna in favore della A.C. e dell’avv. S., nonchè alla conservazione del possesso, oltre che quale erede possessore al momento della morte della signora M., anche quale titolare della quota del 50%. Assume, infine, che A.P. “si pone altresì quale potenziale proprietario esclusivo dell’immobile” per averlo acquistato per usucapione, così come avrebbe dedotto nel giudizio di divisione ereditaria.

1.1.- Col secondo motivo la ricorrente denuncia “violazione, sotto altri profili, dell’art. 102 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4”, al fine di ribadire che A.P. risulta possessore esclusivo dell’immobile, per come sarebbe emerso nel giudizio di divisione ereditaria (del quale la ricorrente richiama diversi provvedimenti relativi a procedimenti possessori e cautelari in corso di causa). Pertanto, sarebbe litisconsorte necessario del presente giudizio.

1.2.- Col terzo motivo la ricorrente denuncia “violazione, sotto altri profili, dell’art. 102 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4”, al fine di censurare l’affermazione della Corte d’appello secondo cui l’azione intrapresa dalla A.C. “era stata portata formalmente a conoscenza di A.P.”. Sostiene che la Corte, oltre a non aver spiegato con quali mezzi questa conoscenza sarebbe stata assicurata, si sarebbe comunque posta in contrasto con l’art. 1105 cod. civ. in relazione all’art. 102 cod. proc. civ.. Precisa che non sarebbero stati idonei allo scopo i mezzi indicati dal primo giudice (avere A.P. ritirato la lettera di disdetta intimata dalla A.C. alla F. ed avere il predetto presenziato ad un sopralluogo del 12 settembre 2011), mentre la volontà contraria del comproprietario sarebbe emersa nel giudizio di divisione ereditaria dove A.P. aveva sempre resistito alle iniziative della sorella tese a recuperare la disponibilità dell’appartamento per cui è causa. Quindi, a detta della ricorrente, non sarebbe stata integrata la condizione, imposta dall’art. 1105 cod. civ., della prestazione del consenso del comproprietario rispetto allo sfratto intimato soltanto dall’altra comproprietaria.

1.3.- Con l’ottavo motivo – da trattarsi a questo punto, perchè connesso alla decisione sui primi tre – la ricorrente denuncia “falsa applicazione dell’art. 1105 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Sostiene che, oltre al fatto che il comproprietario A.P. non sarebbe stato mai messo in grado di manifestare le proprie determinazioni, sarebbero emersi in giudizio tutti gli elementi per avere piena conferma della sua posizione di assoluta contrarietà e quindi, in assenza del consenso da parte del comproprietario di maggioranza (o quanto meno della quota del 50%), vi sarebbe stata la radicale inammissibilità (o, meglio, improponibilità) e/o infondatezza della domanda di risoluzione, per il mancato rispetto della maggioranza richiesta dall’art. 1105 cod. civ.. Anzi, essendo stato “assodato” (secondo la ricorrente) il dissenso espresso dal compartecipe A.P. alla cessazione del rapporto a suo tempo stipulato in favore della propria moglie, con lui condividente il possesso dell’appartamento, il giudice avrebbe dovuto dichiarare il difetto di legittimazione della comproprietaria A.C.A. ad agire per il rilascio dell’immobile.

Aggiunge la ricorrente che quest’ultima non ha inteso nemmeno fare ricorso al procedimento camerale previsto dall’art. 1105 cod. civ., u.c. e che, invece, il ricorso all’autorità giudiziaria è presupposto necessario ed indefettibile ex lege per risolvere il conflitto tra comproprietari.

Quindi la Corte d’appello avrebbe violato dell’art. 1105 cod. civ., i commi 1, 2 e 4.

2.- I motivi che, per evidenti ragioni di connessione, vanno esaminati congiuntamente, non meritano di essere accolti.

Punto di partenza di ogni ragionamento è il principio di diritto, ripetutamente affermato da questa Corte, che qui si ribadisce, secondo cui “Qualora in un contratto di locazione la parte locatrice sia costituita da più locatori, ciascuno di essi è tenuto, dal lato passivo, nei confronti del conduttore alla medesima prestazione, così come, dal lato attivo, ognuno degli stessi può agire nei riguardi del locatario per l’adempimento delle sue obbligazioni, applicandosi in proposito la disciplina della solidarietà di cui all’art. 1292 cod. civ., che non determina, tuttavia, la nascita di un rapporto unico ed inscindibile e non dà luogo, perciò, a litisconsorzio necessario tra i diversi obbligati o creditori” (così Cass. n. 14530/09 in una fattispecie relativa alla ritenuta ammissibilità di un procedimento di sfratto per morosità azionato solo da parte di alcuni coeredi dell’originaria locatrice; principio, non smentito da Cass. S.U. n. 11135/12, che si occupa della diversa fattispecie di contratto di locazione stipulato ab origine da uno dei comproprietari, all’insaputa o nell’inerzia degli altri, laddove nel caso di specie entrambi i locatori sono succeduti all’originaria unica parte locatrice).

Il principio è stato affermato dal primo giudice e confermato dal secondo, che in applicazione di esso hanno deciso correttamente in punto di litisconsorzio.

2.1.- Non è vero che – così come si sostiene in alcuni punti del ricorso – fosse necessario il consenso espresso del comproprietario per addivenire alla risoluzione del contratto di locazione per morosità del conduttore. E’ vero, invece, che l’azione non avrebbe potuto essere proposta o proseguita se il comproprietario diverso dall’originaria ricorrente avesse manifestato il proprio dissenso alla risoluzione del contratto di locazione.

Infatti, il principio di diritto sopra ribadito si fonda su un altro, affermato da univoca giurisprudenza di legittimità, per la quale “In tema di tutela del diritto di comproprietà, qualora il partecipante alla comunione compia un atto di ordinaria amministrazione, anche consistente in un negozio giuridico o in un’azione giudiziale aventi tali finalità, come l’agire per finita locazione contro i conduttori della cosa comune, la presunzione del consenso degli altri che sussiste ai sensi dell’art. 1105 c.c., comma 1, può essere superata dimostrando l’esistenza del dissenso degli altri comunisti per una quota maggioritaria o eguale della comunione, senza che occorra che tale dissenso risulti espresso in una deliberazione a norma dell’art. 1105 c.c., comma 2” (così Cass. n. 11553/13, impropriamente richiamata nel ricorso a sostegno delle ragioni della ricorrente).

Il consenso del comproprietario al compimento dell’atto di ordinaria amministrazione da parte dell’altro o degli altri si presume fino a prova contraria (cfr. anche Cass. n. 4261/91 e n. 3831/96, citate in ricorso; ed ancora, tra le tante, Cass. n. 8996/05, n. 480/09 e n. 2399/08; quest’ultima, nel riaffermare il principio, ha precisato che solo nel caso in cui si deduca e si dimostri, a superamento di detta presunzione, il dissenso della maggioranza degli altri comproprietari, è necessario il preventivo intervento dell’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 1105 cod. civ.).

2.2.- Nel caso di specie, il giudice di merito ha accertato che il comproprietario A.P. aveva avuto notizia dell’azione di sfratto intentata dalla coerede Alessandra, non solo perchè coniuge della conduttrice (il che, peraltro, sarebbe stato più che sufficiente allo scopo), ma anche perchè destinatario, per conoscenza, della disdetta intimata in data 25 novembre 2010 (come ripetutamente evidenziato nel controricorso della A.C., anche mediante richiamo del riscontro documentale: cfr., in particolare, pag. 42 e pagg. 47-48) e perchè la sua conoscenza dell’azione in corso risultava da altri documenti (tra cui un verbale di sopralluogo).

Si tratta di un accertamento in punto di fatto non più discutibile, anche perchè non censurato in sede di legittimità, non contenendo i motivi in esame alcuna esplicita denuncia di vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Atteso ciò, la F. avrebbe dovuto dedurre e dimostrare che A.P. si fosse dichiarato contrario all’azione di risoluzione del contratto di locazione, manifestando tale sua volontà alla coerede – comproprietaria.

La ricorrente vorrebbe desumere questo dissenso dalla posizione assunta dal comproprietario nel giudizio di divisione. Tuttavia, come bene hanno ritenuto i giudici di merito, questa posizione non è affatto espressione di una volontà contraria allo scioglimento del rapporto di locazione. Si è trattato, all’evidenza, di una posizione – basata sulla qualità di coerede possessore del bene caduto in successione – contrapposta a quella della condividente, A.A.: questa nulla ha a che vedere col rapporto di locazione del bene; attiene piuttosto all’ambito dei rapporti tra comproprietari condividenti; mira a salvaguardare la situazione del comproprietario – possessore del bene comune, il quale perciò ha “sempre resistito alle iniziative (azioni possessorie e cautelari) della sorella tese a recuperare la disponibilità dell’appartamento” (come si legge alla pag. 31 del ricorso) nei suoi confronti. Analogamente è a dirsi per l’opposizione di terzo all’esecuzione spiegata da A.P. ai sensi dell’art. 619 cod. proc. civ., in qualità appunto di comproprietario non destinatario del pignoramento.

2.3.- In conclusione, non vi è stata alcuna violazione dell’art. 1105 cod. civ. perchè il coerede succeduto al locatore nel contratto di locazione – pur informato dell’azione di sfratto per morosità e/o per finita locazione intentata dal coerede – comproprietario – non ha manifestato alcun dissenso e quindi non era necessario l’intervento del giudice per legittimare la comproprietaria a chiedere la risoluzione nei confronti della conduttrice morosa, oltre che ad agire per il pagamento dei canoni e degli oneri accessori.

Non vi è, inoltre, violazione dell’art. 102 cod. proc. civ. perchè, alla stregua del principio di diritto sopra richiamato, in caso di parte locatrice costituita da più locatori, ognuno può agire nei riguardi del conduttore per l’adempimento delle sue obbligazioni, senza che si dia luogo a litisconsorzio necessario tra tutti i locatori.

Ogni altra questione prospettata a sostegno dei motivi in esame (diritto di A.P. ad una quota maggiore della proprietà dell’immobile o addirittura rivendicazione dell’acquisto della proprietà per usucapione; possesso “esclusivo” dell’immobile a seguito di successione alla madre; diritto a percepire la quota corrispondente dei canoni e degli oneri accessori; diritto a permanere nella detenzione dell’appartamento etc.) attiene al rapporto tra condividenti ed al giudizio di divisione (su cui si tornerà), ma non fa venire meno nè l’integrità del contraddittorio nè la legittimazione ad agire di A.C.A. nei confronti di F.G..

I motivi primo, secondo, terzo ed ottavo vanno perciò rigettati.

3.- Col quarto motivo la ricorrente denuncia “violazione dell’art. 295 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4”, censurando la sentenza per il rigetto del motivo concernente la mancata sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del giudizio di divisione ereditaria. Sostiene che un primo motivo di pregiudizialità si dovrebbe rinvenire nella proposizione, in quel giudizio, da parte della A.C., di una domanda riconvenzionale di simulazione, riferita proprio al contratto di locazione di cui al presente giudizio; che questo avrebbe invece simulato un comodato della madre in favore del figlio A.P.; che l’accertamento della simulazione farebbe venire meno il titolo in virtù del quale è stata ordinata la restituzione dell’immobile nei confronti della F.. Aggiunge che la sentenza non definitiva n. 2929/2014 su citata, esaminabile in cassazione perchè sopravvenuta, ha rimesso la causa sul ruolo istruttorio come da contestuale ordinanza, proprio in riferimento alla domanda riconvenzionale di simulazione.

3.1.- Col quinto motivo la ricorrente denuncia “violazione, sotto altri profili, dell’art. 295 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4”, perchè il giudice di merito non avrebbe considerato che, essendovi un’ipotesi di litisconsorzio nei confronti di A.P., la condanna al rilascio dell’immobile avrebbe dovuto essere emessa anche in favore di quest’ultimo, così come quella al pagamento dei canoni ed all’indennità di occupazione. In conseguenza di ciò, la ricorrente sostiene che sarebbe errata l’affermazione della Corte di merito secondo cui non avrebbe avuto incidenza il definitivo assetto proprietario riguardante l’appartamento, in quanto la A.C. non avrebbe avuto diritto alla corresponsione dell’intero, ma, tutt’al più, alla corresponsione pro-quota, nella misura appunto da accertarsi in sede di divisione ereditaria.

4.- I motivi, da esaminarsi congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, non meritano di essere accolti.

Il quarto motivo è inammissibile, perchè non tiene conto dell’intervento autonomo del custode giudiziario, avv. S.P., autorizzata dal giudice dell’esecuzione ad agire in giudizio, ai sensi dell’art. 560 cod. proc. civ., per la risoluzione del contratto di locazione e la condanna della conduttrice al pagamento dei canoni e degli oneri accessori (oltre che al risarcimento dei danni).

Al custode giudiziario non sarebbe opponibile la eventuale dichiarazione di simulazione, sia perchè pronunciata all’esito di un giudizio al quale è estraneo, sia perchè la simulazione del contratto di locazione non è opponibile al Condominio, creditore procedente (arg. ex art. 1416 cod. civ.).

Anche soltanto per tale situazione processuale il presente giudizio non avrebbe potuto essere sospeso ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., non essendo nemmeno contestata dalla ricorrente la legittimazione del custode giudiziario ad intervenire nel processo e l’autonomia del suo intervento (su cui, in specie, Cass. n. 267/11).

La ricorrente è perciò carente di interesse a far valere ragioni di sospensione del processo riferibili esclusivamente alla A.C..

4.1.- Il quinto motivo non può essere accolto sia per tale ragione sia perchè comunque infondato.

La Corte d’appello ha bene deciso in diritto quando ha escluso qualsivoglia pregiudizialità rilevante ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. tra il giudizio di scioglimento della comunione ereditaria ed il giudizio di risoluzione del contratto di locazione del bene caduto in successione. Fermi restando i principi richiamati trattando dei primi tre motivi di ricorso, è consequenziale il rilievo che l’assetto proprietario definitivamente accertato all’esito di quel giudizio potrà avere conseguenze soltanto sulla ripartizione dei canoni di locazione e degli oneri accessori tra condividenti. Questa trova la sua sede elettiva nel rendiconto tra coeredi, laddove dovrà e potrà essere definitivamente regolata la percezione da parte della A.C. di somme maggiori rispetto all’entità della quota, in esecuzione della sentenza conclusiva del presente giudizio. Non senza osservare che, avendo la A.C. agito anche per conto del coerede comproprietario, è legittimata – tenuto conto altresì della concorrente legittimazione del custode giudiziario – ad eseguire la condanna per intero nei confronti della conduttrice, anche per conto di A.P. (fatte salve rivendicazione o remissione del debito da parte di quest’ultimo nei confronti della debitrice, pur sempre possibili pro-quota in sede esecutiva).

L’orientamento giurisprudenziale è univocamente nel senso che in tema di sospensione necessaria ex art. 295 cod. proc. civ., sussiste il rapporto di pregiudizialità di una controversia rispetto ad un’altra solo nei casi in cui l’accertamento da compiere in un giudizio costituisca un necessario antecedente, non solo logico, ma anche giuridico, rispetto all’oggetto dell’altro (principio affermato, tra le altre, da Cass. n. 4314/08, che ha cassato l’ordinanza impugnata con cui era stata sospesa la causa di rilascio di un appartamento per cessazione del comodato in attesa della definizione di un altro processo, tra le stesse parti, relativo ad una divisione in cui era stata denunciata la simulazione dell’atto da cui l’attore della causa di rilascio traeva il titolo di proprietà sull’immobile; nonchè da Cass. n. 19408/07, che, in un caso analogo al presente, ha affermato che “tra la causa di sfratto per finita locazione di un immobile proposta da alcuni dei comproprietari (jure hereditatis) del proprietario-locatore e causa di divisione (tra tutti ed otto i comproprietari) dell’immobile, non esiste alcun nesso di pregiudizialità – come sopra indicato – di guisa che non si scorge come la azione di scioglimento della comunione possa anche solo parzialmente espletare autorità di giudicato nella causa avente ad oggetto la cessazione del rapporto locatizio”; cfr., nello stesso senso, da ultimo, Cass. ord. n. 4183/16).

I motivi quarto e quinto vanno perciò rigettati.

5.- Col sesto motivo la ricorrente denuncia “omesso esame di un fatto decisivo e discusso tra le parti, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5”. Sostiene che il giudice avrebbe errato nel non aver considerato, ai fini della debenza degli oneri condominiali da parte della conduttrice, la sentenza emessa dal Tribunale di Roma nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dal Condominio nei confronti di A.C.A. per il recupero delle rate condominiali insolute. A detta della ricorrente, la sentenza avrebbe deciso in “senso opposto” a quella qui impugnata, rigettando l’opposizione della A.C. nonchè la domanda da questa proposta chiamando in causa, nel giudizio di opposizione, F.G., a cui favore sono state liquidate anche le spese di quel giudizio.

5.1.- Il motivo è inammissibile.

La sentenza conclusiva del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è del tutto priva di decisività nell’ambito della presente controversia. Essa ha riguardato il debito della A.C. nei confronti del Condominio, scaturente dalla sua qualità di comproprietaria dell’appartamento dato in locazione; qualità, che costituisce il presupposto della sua legittimazione ad agire nei confronti della conduttrice morosa, anche quanto al pagamento degli oneri condominiali (per il quale tuttavia la comproprietaria risponde in proprio, ed in solido col comproprietario, nei confronti del Condominio).

Quanto poi alla soccombenza, verificatasi in quel giudizio, nei rapporti tra la A.C. e la F., questa è stata determinata da motivi di rito – per come è detto in ricorso (dichiarazione di inammissibilità della chiamata in causa: cfr. pag. 42). Non risulta pertanto che con la sentenza conclusiva dell’opposizione a decreto ingiuntivo sia stata affermata la non debenza degli oneri condominiali da parte della conduttrice nei confronti della locatrice. Ove così fosse (ma ciò è smentito anche dalla resistente: cfr. pag. 30 del controricorso), il ricorso sarebbe comunque inammissibile per mancanza di autosufficienza, poichè di tale (eventuale) rigetto nel merito non riporta affatto il contenuto.

In conclusione, il sesto motivo è inammissibile.

6.- Col settimo motivo la ricorrente denuncia “violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4”, perchè la Corte d’appello non si sarebbe pronunciata sul motivo di gravame col quale la F., in riferimento alla condanna agli ulteriori danni patiti dall’attrice per l’occupazione dell’immobile protrattasi oltre il termine di cessazione del contratto di locazione, aveva rilevato che operava comunque l’art. 1102 cod. civ.. Con la conseguenza che, essendo pacifico e non contestato che l’uso dell’immobile fosse condotto dal coerede A.P., per ciò stesso l’altra comproprietaria non avrebbe potuto pretendere un indennizzo o un corrispettivo.

6.1.- Col nono motivo la ricorrente denuncia “violazione dell’art. 1102 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3” sia per la condanna al pagamento dei canoni dovuti per il secondo quadriennio sia per la condanna al pagamento dell’indennità di occupazione per il periodo successivo e del maggior danno.

Quanto alla prima condanna, richiama la domanda riconvenzionale di simulazione che la A.C. ha spiegato nel giudizio di divisione ereditaria.

Quanto alla seconda condanna, ribadisce che nè l’indennità di occupazione nè il maggior danno sarebbero dovuti perchè, anche dopo la scadenza del contratto di locazione, la F. ha continuato ad abitare l’immobile unitamente al coniuge e coerede A.P., in forza di un valido titolo di possesso riconducibile alla de cuius M.R..

6.2.- Col decimo motivo la ricorrente denuncia “violazione degli artt. 2697 e 2704 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in merito alla prova della sussistenza e dell’ammontare del maggior danno ai sensi dell’art. 1591 cod. civ..

7.- Il nono motivo va rigettato per la parte in cui è riferito al pagamento dei canoni di locazione per le ragioni già dette trattando della asserita pregiudizialità della causa di divisione ereditaria e della domanda riconvenzionale di simulazione.

7.1.- Sono, inoltre, in parte inammissibili e in parte infondati il settimo ed il nono motivo, quest’ultimo in riferimento alla condanna al risarcimento del danno per occupazione illegittima e ritardo nella restituzione dell’immobile, ai sensi dell’art. 1591 cod. civ..

Il settimo è infondato quanto alla denuncia di omessa pronuncia, atteso che il giudice d’appello ha confermato sul punto la statuizione del primo giudice, facendo applicazione dell’art. 1591 cod. civ., dopo aver constatato che la F. era rimasta nella detenzione dell’immobile locato dopo la scadenza del contratto di locazione, fissata alla data del 30 giugno 2011 (data non contestata).

D’altronde, trattandosi di condanna pronunciata “a far data dal 30 giugno 2011 e sino alla onere della conduttrice dedurre riconsegna, così adempiendo,

all’obbligazione di restituzione scadenza del contratto. Siffatta deduzione non si esame.

7.2.- Nè essere tenuta ad effettuare la riconsegna del bene locato nei confronti della A.C. o del custode giudiziario avv. S.P..

Piuttosto, ha genericamente dedotto in merito

all’applicabilità al caso di specie dell’art. 1102 cod. civ., che, in quanto destinato a regolare i rapporti tra comproprietari, non spiega alcuna efficacia nei rapporti tra uno di costoro (nel caso di specie, la resistente A.C.) e la conduttrice.

Nè appare coerente con la ratio decidendi della sentenza impugnata l’assunto della stessa conduttrice secondo cui ella avrebbe mutuato il titolo del proprio possesso da quello della dante causa della A.C., signora M.R.: ancora una volta, si verifica che la F. si difende in giudizio confondendo la propria posizione con quella del coniuge, A.P., coerede della M., e comproprietario dell’appartamento.

Il settimo motivo va perciò rigettato; il nono è inammissibile, per la parte in cui è riferito alla condanna risarcitoria.

8.- Parimenti inammissibile è il decimo motivo, atteso che la Corte d’appello ha correttamente deciso in diritto sul maggior danno ex art. 1591 cod. civ., gravando l’attrice dell’onere della prova e ritenendo che l’avesse assolto mediante la produzione dei documenti (comprovanti le offerte di locazione provenienti da terzi) sulla cui valutazione ha fondato la decisione.

All’evidenza, la contestazione di questa valutazione da parte della ricorrente dà luogo ad una censura non riconducibile a quella di violazione di legge (specificamente degli artt. 2697 e 2704 cod. civ., richiamati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3). Potrebbe trattarsi, tutt’al più, di vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che però non è stato dedotto col motivo in esame.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, per ciascuna delle parti resistenti, nell’importo di Euro 7.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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