Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5162 del 28/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/02/2017, (ud. 14/12/2016, dep.28/02/2017),  n. 5162

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ANDREAZZA Gastone – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20737-2010 proposto da:

INDUSTRIA SICILIANA PASTE ALIMENTARI Ispa di D.M. &

c. SAS in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA PIRAMIDE CESTIA 1,

presso lo studio dell’avvocato ALFIO GRASSO, rappresentato e difeso

dall’avvocato SERGIO RIZZO con studio in CATANIA V.LE A. DE GASPERI

173 (avviso postale ex art. 135) giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

sul ricorso 20738-2010 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA

PIRAMIDE CESTIA 1, presso lo studio dell’avvocato ALFIO GRASSO,

rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO RIZZO con studio in

CATANIA V.LE A. DE GASPERI 173 (avviso postale ex art. 135) giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

sul ricorso 20739-2010 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA

PIRAMIDE CESTIA 1, presso lo studio dell’avvocato ALFIO GRASSO,

rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO RIZZO con studio in

CATANIA V.LE A. DE GASPERI 173 (avviso postale ex art. 135) giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso le sentenze n. 197/2009, n. 198/2009, n. 199/2009 della

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di CATANIA, depositate il 18/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2016 dal Consigliere Dott. GASTONE ANDREAZZA;

udito per il controricorrente l’Avvocato GUIZZI che si riporta agli

atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Ispa di M.D. s.a.s. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Palermo, sez. staccata di Catania n. 127 del 05/03/2009, con la quale, accogliendosi l’appello dell’Agenzia delle entrate di Catania, si è rigettato il ricorso originario presentato dalla Ispa stessa avverso l’avviso di accertamento con cui era stata rettificata, sulla base dei parametri previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 181, comma 3 la dichiarazione dell’anno 1996 per una maggiore imposta Ilor pari a lire 43.652.000 oltre interessi e sanzioni.

Il giudice d’appello, dopo avere premesso che il D.L. n. 69 del 1989, art. 12, comma 4, di determinazione induttiva dei ricavi e dei compensi sulla base dei coefficienti presuntivi non significano automatismo dei coefficienti lasciando in capo al contribuente l’onere di dimostrare la legittimità dello scostamento tra reddito dichiarato ed accertato al fine di ricondurre l’accertamento alla effettiva situazione contributiva del ricorrente, ha rilevato che le argomentazioni addotte sul punto dalla società ricorrente sono rimaste al rango di mere enunciazioni senza un sufficiente supporto probatorio.

2. Altri due ricorsi, di analogo contenuto, sono stati proposti da M.D. rispettivamente in proprio e quale erede di M.F. e Z.M., avverso le sentenze della Commissione tributaria regionale di Palermo, sez. staccata di Catania, n. 128 e n. 129 del 05/03/2009, con le quali, accogliendosi gli appelli dell’Agenzia delle entrate di Catania, si sono rigettati i ricorsi introduttivi avverso l’avviso di accertamento con cui, sulla base del separato avviso di accertamento emesso nei confronti della Ispa di D.M. & c., sas, era stato ritenuto, sulla base dei parametri previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 181, comma 3 un maggior reddito di partecipazione nella predetta società e quindi rettificata la dichiarazione per l’anno 1996 per una maggiore imposta Irpef, Cssn e contributo straordinario per l’Europa 1996 oltre interessi e sanzioni.

Il giudice d’appello, dopo avere rilevato la stretta connessione dei due giudizi con quello relativo all’avviso di accertamento notificato alla Ispa s.a.s., e definito con integrale accoglimento dell’appello presentato dall’Ufficio, ha accolto gli appelli in oggetto e rigettato i ricorsi originari.

3. L’Agenzia delle Entrate resiste, a fronte di tutti i suddetti ricorsi, con controricorso, deducendo l’infondatezza dei motivi di ricorso presentato da Ispa s.a.s. giacchè prima di procedere all’accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri l’Ufficio ha attivato il contraddittorio con la controparte che non ha mai risposto nè ha mai fornito prova o documentazione idonea a giustificare lo scostamento dei compensi dichiarati. Quanto ai restanti ricorsi, ha posto in rilievo la legittimità della sentenza impugnata, resa in perfetta armonia con quanto stabilito dalla sentenza resa sul ricorso avanzato da Ispa s.a.s..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Va preliminarmente disposta la riunione alla controversia originata dal ricorso presentato dalla Ispa s.a.s., rubricata al R.G.N. 20737/10, di quelle originate dai ricorsi presentati da M. singolarmente e rubricati sub R.G.N. 20738/10 e 20739/10 stante la connessione oggettiva delle stesse desumibile dalla necessaria pregiudizialità delle censure di cui al primo ricorso rispetto alle altre. Nè alla riunione osta la separata decisione nel merito delle cause suddette: infatti, come già ripetutamente affermato da questa Corte, in presenza di cause decise separatamente nel merito e relative, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone ed alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, non va dichiarata la nullità per essere stati i giudizi celebrati senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari in violazione del principio del contraddittorio, ma va appunto disposta la riunione quando la complessiva fattispecie, oltre che dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, sia caratterizzata, come nella specie da: (1) identità oggettiva quanto a causa petendi dei ricorsi; (2) simultanea proposizione degli stessi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci e, quindi, identità di difese; (3) simultanea trattazione degli afferenti processi innanzi ad entrambi i giudici del merito; (4) identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici. In tal caso, infatti, la ricomposizione dell’unicità della causa attua il diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo, evitando che con la (altrimenti necessaria) declaratoria di nullità ed il conseguente rinvio al giudice di merito, si determini un inutile dispendio di energie processuali per conseguire l’osservanza di formalità superflue, perchè non giustificate dalla necessità di salvaguardare il rispetto effettivo del principio del contraddittorio (da ultimo, tra le altre, Sez. 5 n. 2014 del 2014; Sez. 5, n. 3830 del 2010).

5. Ciò posto, con il primo motivo comune a tutti i ricorsi, cui è seguita la formulazione del quesito di diritto relativo, la ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 549 del 1995, art. 3, commi da 179 a 189 e D.L. n. 69 del 1989, art. 12, comma 4, censurando l’affermazione della sentenza che, pur avendo precisato che i coefficienti presuntivi non escludono la necessità di valutare la situazione effettiva del contribuente, ha poi ritenuto sussistere a carico del contribuente l’onere della prova della inidoneità degli stessi; al contrario, i parametri in tanto sono idonei in quanto non siano oggetto di contestazione da parte del contribuente, essendo allora tenuta l’amministrazione a fornire dati circostanziati e ragguagliati alla concreta situazione economica del contribuente.

Con il secondo motivo, anch’esso comunque a tutti i ricorsi, è stata poi denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 549 del 1995, art. 3, commi da 179 a 189 e del D.L. n. 69 del 1989, art. 12, comma 4 anche in rapporto agli artt. 2697, 2727, 2728 e 2729 cod. civ.. Deduce in particolare che i parametri presuntivi, in quanto presunzioni semplici, non rappresentano indizi gravi, precisi e concordanti se non unicamente all’esito di una percorso di adeguamento alla concreta realtà economica, da valutarsi in contraddittorio col contribuente. Di qui la loro erronea qualificazione, da parte della sentenza, come presunzioni legali invece che come presunzioni semplici con conseguente onere della prova a carico dell’amministrazione di adeguatezza dei parametri al caso concreto.

Entrambi i motivi, congiuntamente esaminabili perchè fondamentalmente espressivi della medesima censura, sono infondati.

Va precisato, alla stregua del costante indirizzo di questa Corte, che i parametri o studi di settore previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (tra le altre, da ultimo, Sez. 5, n. 14288 del 2016; n. 3415 del 2015).

Nella specie, allora, la ricorrente nulla ha provato in ordine allo scostamento della attività in concreto rispetto al modello ricordato, come avrebbe dovuto, ma si è limitata ad affermare erroneamente, alla luce del principio appena ricordato, la necessità per l’Ufficio di raccordare i parametri di legge, comunque li si voglia qualificare, alla concreta situazione del contribuente.

6. Col terzo motivo, comune a tutti i ricorsi, infine, la ricorrente Ispa ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per omessa pronuncia su una parte della domanda e corrispondentemente su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, sulla invocata inapplicabilità del D.P.C.M. 29 gennaio 1996, cui si è fondato l’avviso di accertamento impugnato, a soggetti diversi dall’amministrazione finanziaria essendo lo stesso uno strumento che, come enunciato da molteplici pronunce, a differenza dei regolamenti esterni, non ha forza normativa a meno che non abbia ottenuto il preventivo parere del Consiglio di Stato, dovendo quindi essere disapplicato.

Anche tale motivo è infondato.

Va ribadito che la procedura speciale di approvazione dei parametri previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181 in quanto derogatoria rispetto a quella statuita dalla L. n. 400 del 1988, art. 17 non necessita del preventivo parere del Consiglio di Stato. In particolare, il D.P.C.M. 29 gennaio 1996 (relativo alla elaborazione dei parametri per la determinazione di ricavi, compensi e volume d’affari sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio sull’attività svolta, determinati ai sensi dell’art. 3, comma 181, cit.) non è un atto di natura regolamentare – nè attuativo di legge, nè delegificante -, non essendo espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto a quella legislativa, attribuita all’amministrazione, e non disciplina in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge. Esso è solo un provvedimento amministrativo a carattere generale, in quanto espressione di una semplice potestà amministrativa, essendo rivolto alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili. (tra le altre, Sez. 5, n. 4783 del 2016; n. 16055 del 2010; n. 27656 del 2008).

7. Ne consegue in definitiva il rigetto dei ricorsi riuniti con condanna dei i ricorrenti in solido tra loro al pagamento delle spese liquidate in Euro 6.000 oltre a spese prenotate a debito.

PQM

Riunisce alla presente le controversie nn. 20738/10 e 20739/10 NRG e rigetta i ricorsi riuniti; condanna i ricorrenti in solido tra loro al pagamento delle spese liquidate in Euro 6.000 oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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