Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6164 del 10/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 10/03/2017, (ud. 10/11/2016, dep.10/03/2017),  n. 6164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21795-2012 proposto da:

COMMISSIONARIA PETROLI SRL in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA CIRCONVALLAZIONE CLODIA

86, presso lo studio dell’avvocato EMILIO STERPETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato NICOLA MESSINA giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

SERIT SICILIA SPA in persona del Presidente della Provincia e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

POLIBIO 15, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LEPORE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ACCURSIO GALLO giusta delega in

calce;

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI PALERMO (OMISSIS) in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 22/2012 della COMM.TRIB.REG. della Sicilia,

depositata il 15/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito per il controricorrente l’Avvocato PALATIELLO che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO

La Commissionaria Petroli s.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza n. 22/29/12, pronunciata il 25/7/2011 e depositata il 15/2/2012, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia confermava la pronuncia di primo grado che aveva respinto la domanda di annullamento di una cartella di pagamento emessa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, nei confronti della predetta contribuente, per omessi e tardivi versamenti IVA, relativamente alla dichiarazione dei redditi Mod. Unico 2002, per l’anno d’imposta 2001.

Osservava, in particolare, il giudice di appello: che l’iscrizione a ruolo, avvenuta il 27/12/2005, era scaturita da un controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi; che la notifica della cartella di pagamento era intervenuta entro il termine di decadenza del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, scadente il 31/12/2006; che il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 non poteva trovare applicazione in quanto in vigore il 12/8/2006 e, dunque, in epoca successiva alla notifica della cartella di pagamento, avvenuta il 4/5/2006; che, quanto alla mancata indicazione del responsabile del procedimento, il relativo obbligo sussiste soltanto a far data dal 10/6/2008, come previsto dal D.L. n. 248 del 2007, convertito con modifiche con la L. n. 31 del 2008.

L’Agenzia delle Entrate e Riscossione Sicilia s.p.a., già Serit Sicilia s.p.a., resistono con controricorso.

Il Collego ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

IN DIRITTO

Va, preliminarmente, disattesa la eccezione di inammissibilità del ricorso per mancanza della procura speciale.

Giova, invero, ricordare l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui “la procura al difensore apposta a margine del ricorso (principale o incidentale) per cassazione deve considerarsi conferita, salva diversa volontà, per il giudizio di cassazione, in quanto, costituendo corpo unico con l’atto cui inerisce, esprime necessariamente il suo riferimento a questo e garantisce così il requisito della specialità del mandato al difensore, restando irrilevante il mancato riferimento nel testo della procura stessa alla sentenza impugnata” (Cass. n. 1205/2015; n. 4980/2006).

Nel caso di specie, la procura, apposta in calce al ricorso, risulta rilasciata dall’amministratore unico della società Commissionaria Petroli, Sara Giuliano, all’avv. Nicola Messina, con elezione di domicilio presso lo studio dell’avv. Emilio Sterpetti, in Roma, e la menzione di essa nell’intestazione del ricorso, sia nell’originale che nella copia notificata, consente anche di superare ogni incertezza determinata dalla mancata indicazione della data (Cass. n. 12438/1995).

Deduce la società ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, (c.d. Statuto del Contribuente), in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, vizio nel quale la Commissione Tributaria Regionale sarebbe incorsa affermando la legittimità dell’impugnata cartella di pagamento ancorchè non preceduta dall’invio di un avviso bonario, ai sensi del D.Lgs. n. 426 del 1997, art. 2, comma 2, adempimento da ritenersi necessario per usufruire della riduzione delle sanzioni in caso di pagamento nei trenta giorni successivi dalla notificazione dello stesso. Deduce, inoltre, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2 e L. n. 241 del 1990, art. 21-septies per non avere il giudice di appello rilevato la nullità o annullabilità della cartella di pagamento non risultando indicato il responsabile del procedimento e neppure apposta la sottoscrizione di quest’ultimo. Si duole, infine, la società contribuente, in relazione al D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2 del mancato rilievo dell’eccepita tardività dell’iscrizione a ruolo delle somme dovute a seguito del controllo automatizzato e della successiva notificazione della cartella esattoriale.

La formulazione sopra riportata dell’unico, ancorchè articolato, mezzo d’impugnazione ripropone, sia pure sotto il profilo della dedotta violazione e falsa applicazione di diverse norme di legge, una completa rivisitazione delle risultanze processuali e delle questioni dibattute nel doppio grado del giudizio di merito, e ciò appare sufficiente a dare conto dell’inammissibilità del ricorso per i rilievi che seguono.

E’ principio di diritto costantemente affermato da questa Corte, in materia di procedimento civile, che “nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione” (Cass. 287/2016; n. 25419/2014; n. 16038/2013; n. 3010/2012; n. 16132/2005). Risulta, quindi, formulata inidoneamente la deduzione di “errori di diritto” individuati per mezzo della sola indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, specie ove non siano operate – come appunto nel caso in esame – specifiche e puntuali contestazioni delle opposte soluzioni adottate dal Giudice di appello.

Ed infatti, nel ricorso non risultano indicate – donde l’eccezione di mancato rispetto del principio di autosufficienza sollevata dalla intimata società Riscossione Sicilia – le argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme violate o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, sicchè il motivo per ciò solo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione.

Le doglianze della contribuente non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata, il cui controllo costituisce l’oggetto del giudizio di legittimità, nei limiti delle questioni prospettate con i motivi di ricorso, sicchè non risulta adeguatamente confutata dall’impugnante l’affermata infondatezza del gravame, che riposa sulla circostanza che

l’Agenzia delle Entrate di Palermo, a seguito del controllo automatizzato, aveva riscontrato “omessi e tardivi versamenti IVA da parte della società Commissionaria Petroli, relativi alla dichiarazione dei redditi Mod. Unico 2002 per il periodo d’imposta 2001” e che quest’ultima “aveva omesso o versato in maniere carenti le imposte dalla stessa dichiarate”, per cui, in buona sostanza, l’Ufficio si era limitato ad iscrivere a ruolo le somme che la contribuente aveva dichiarato, ma non regolarmente versato, ed era perfettamente inutile comunicare alla dichiarante i risultati del controllo automatico e interloquire con lei, se queste coincidevano col dichiarato.

La CTR non ha fatto altro che applicare il principio di diritto, reiteratamente affermato da questa Corte, secondo cui, sia il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, in materia di tributi diretti, sia il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3, in materia di IVA, dispongono che debba essere data comunicazione al contribuente del risultato dei controlli automatici, solo quando tale risultato (di calcolo dell’imposta, come si evince dai due commi precedenti) è “diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione”: ipotesi di dichiarazione errata, distinta da quella, cui si riferisce il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6, d’imposta regolarmente risultante dalla dichiarazione annuale, ma non versata, ragion per cui il richiamo a questo articolo, contenuto nel precedente art. 54 bis, è fatto “ai sensi e per gli effetti”, che vengono parificati (obbligo di comunicazione) quando la dichiarazione risulta erronea in sede di controllo automatico.

Fuori dal caso di risultato erroneo rivelato dal controllo automatico, infatti, nessun obbligo di comunicazione è previsto dalla legge per la liquidazione, eseguita con tale metodo, d’imposte, contributi, premi e rimborsi: ciò per l’evidente ragione che i dati contabili risultanti dalla liquidazione automatica “si considerano, a tutti gli effetti, come dichiarati dal contribuente” od anche, in materia di tributi diretti, dal sostituto d’imposta (comma 4), cosicchè sarebbe perfettamente inutile comunicare al dichiarante i risultati del controllo automatico e interloquire con lui, se questi coincidono col dichiarato, ossia se non emerga alcun errore o, con riferimento alla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, se non “sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” (Cass. n. 20431/2014; n. 8137/2012; n. 17369/2010; n. 26361/2010).

E mancando in radice l’obbligo della comunicazione, non solo è del tutto superfluo disquisire degli effetti invalidanti che la relativa omissione determina (quando tale comunicazione sia invece doverosa) sull’atto amministrativo finale (iscrizione a ruolo ed emissione della cartella di pagamento), ma neppure è ravvisabile un interesse della contribuente a lamentare una pretesa perdita dell’opportunità di pagare in misura ridotta le sanzioni, per effetto della mancata comunicazione o quanto meno dell’avviso bonario di cui al D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, poichè analoga opportunità è offerta in caso di pagamento entro trenta giorni dalla notifica della cartella (Cass. n. 11292/2016; n. 17369/2010 cit.) e, d’altro canto, difetta pure l’allegazione, da parte della contribuente, circa la concreta sussistenza dei presupposti in presenza dei quali può essere invocata la prospettata riduzione (Cass. 20152/2016; n. 5394/2016).

Ma la società ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata neppure quando si duole della omessa indicazione nella cartella di pagamento del responsabile del procedimento, dell’assenza della sottoscrizione di quest’ultimo, nonchè del mancato rilievo dell’eccepita tardività dell’iscrizione a ruolo delle somme dovute a seguito del controllo automatizzato.

Le questioni, che malamente ripropone la contribuente, trovano agevole soluzione nella univoca giurisprudenza di questa Corte della quale il Giudice di appello ha fatto buon uso e che, qui di seguito, per mera compiutezza d’indagine si espongono.

Innanzitutto, la cartella esattoriale che ometta di indicare il responsabile del procedimento, se riferita a ruoli consegnati – come nel caso in esame – agli agenti della riscossione in data anteriore giugno 2008, non è affetta da nullità in quanto il D.L. n. 31 n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter, convertito nella L. n. 31 del 2008, ha previsto tale sanzione solo in relazione alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dalla data dell’1 giugno 2008.

Nè la dedotta mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente comporta l’invalidità dell’atto, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana, giacchè l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge, mentre, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore ma solo la sua intestazione (Cass. n. 26053/2015; n. 25773/2014; 13461/2012). Preso atto, inoltre, che l’iscrizione a ruolo è avvenuta il 27/12/2005 e la notifica della cartella di pagamento è stata eseguita il 4/5/2006, relativamente alla dichiarazione dei redditi Mod. Unico 2002, per l’anno d’imposta 2001, presentata dalla società contribuente nel 2002, il Giudice di appello ha fatto propria la univoca giurisprudenza di questa Corte, in tema di accertamenti e controlli delle dichiarazioni tributarie D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis secondo cui “la legittimità della pretesa erariale è subordinata, alla luce dell’intervento legislativo realizzato con il D.L. n. 106 del 2005, art. 1, commi 5 bis e 5 ter, convertito nella L. n. 156 del 2005, alla notificazione della cartella di pagamento al contribuente entro il termine di decadenza del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, dovendo l’ordinamento garantire l’interesse del medesimo contribuente alla conoscenza, in termini certi, della pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni, regola applicabile anche per i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della detta legge di conversione n. 156 del 2005” (Cass. n. 22223/2015 che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto tempestiva la notifica della cartella derivante da dichiarazione avente ad oggetto l’anno 2002, effettuata nell’ottobre 2006).

L’anzidetto termine (“31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione”) risulta, nel caso di specie, incontestabilmente rispettato, essendo stata notificata la cartella di pagamento il 4/5/2006, trattandosi nella specie di dichiarazione presentata nell’anno 2003 (vedi D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5-bis, lett. b)), mentre la infondatezza della dedotta intempestività dell’iscrizione a ruolo deriva dal D.L. n. 143 del 2003, art. 1, comma 2 octies, convertito nella L. n. 112 del 2003, che ha prorogato il termine per l’iscrizione a ruolo previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, comma 1, lett. a) (relativo alla iscrizione a ruolo delle somme dovute a seguito della liquidazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis) al 31/12/2005, con riferimento alle dichiarazioni presentate negli anni 2001 e 2002, per cui nessuna decadenza del termine di iscrizione a ruolo si era consumata prima della abrogazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 17 disposta dalla L. n. 156 del 2005, art. 5 ter di conversione con modificazioni del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, entrata in vigore l’1 agosto 2005 (Cass. n. 384/2016).

Il ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile e le spese del presente giudizio, che seguono la soccombenza, sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida, in favore dell’Agenzia delle Entrate, in Euro 10.000,00 per compensi, oltre rimborso spese prenotate a debito, ed in favore della società Riscossione Sicilia, in Euro 7.500,00 per compensi, oltre rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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