Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7369 del 22/03/2017
Cassazione civile, sez. VI, 22/03/2017, (ud. 01/02/2017, dep.22/03/2017), n. 7369
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 888-2016 proposto da:
D.C. e B.A., elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA SESTO RUFO, 23, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI
ERCOLE MOSCARINI, rappresentati e difesi dall’avvocato EVO TALONE;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 889/7/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di L’AQUILA, SEZIONE DISTACCATA di PESCARA, depositata il
04/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata dell’ 01/02/2017 dal Consigliere Dott. CIRILLO ETTORE.
Fatto
RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte, costituito il contraddittorio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), osserva con motivazione semplificata:
Riguardo all’anno d’imposta 2009 il fisco, avvalendosi d’indagini bancarie anche a carico della moglie D.C., ha rettificato il reddito dichiarato da B.A., esercente l’attività di barbiere, da 10.106 a 150.896 Euro poi ridotti a 50.002,74 Euro all’esito del contraddittorio endoprocedimentale. Indi i coniugi hanno impugnato con successo il relativo atto impositivo ma la sentenza è stata riformata in appello. Per la cassazione di tale decisione i soccombenti ricorrono con tre motivi ai quali la difesa erariale resiste con controricorso.
Il primo motivo (art. 53 proc. trib.) va disatteso perchè nel processo tributario, ove l’amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica (Sez. 5, n. 3064 del 2012).
Gli altri due motivi muovono articolate e fondate censure per violazioni di norme di diritto sostanziale (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31) e processuale (art. 36, 53 proc. trib.; art. 116 c.p.c.) e vizio di omesso esame (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). L’assunto dei ricorrenti muove dall’esatto rilievo che, a fronte delle presunzioni di reddito scaturenti da movimentazioni bancarie, il contribuente può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre a verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati (Cass., Sez. 5, n. 25502 del 2011). Ciò comporta che il significato del materiale probatorio deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni anapodittiche, generiche, sommarie o cumulative. Tale accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se motivato nel rispetto del minimo costituzionale di adeguatezza. Resta, perciò, denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge cioè nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014). Nella sentenza impugnata la CTR prima afferma in maniera assiomatica che “il contribuente non ha fornito prova adeguata – come era suo onere – rispetto alle specifiche operazioni poste a fondamento dell’accertamento”; poi si limita ad enunciare che “il contribuente avrebbe dovuto giustificare ogni movimentazione”. Ciò fa, però, senza alcun riferimento al concreto atteggiarsi dei fatti di causa e del procedimento che ha interessato gli odierni ricorrenti, la cui evoluzione ed i cui riscontri fattuali sono del tutto pretermessi e non di certo autonomamente ricostruibili dal giudice di legittimità, essendo la ricostruzione del fatto devoluta al monopolio del giudice di merito. Il che è rende il contenuto decisorio inidoneo a far riconoscere l’iter logico seguito dalla CTR per la formazione del suo convincimento e, pertanto, non consente alcun reale controllo sull’operato del collegio giudicante (Cass., Sez. U, n. 16599 del 2016 e sent. ivi cit.). In altri termini, il giudice tributario non può limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perchè questo è il solo contenuto “statico” della decisione, ma deve anche descrivere il processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione d’iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto “dinamico” della decisione stessa. Invece, da considerazioni a dir poco laconiche la CTR fa derivare, con salto logico – giuridico assoluto, l’infondatezza delle tesi dei privati neppure esplicitate con riferimento ai riscontri offerti di cui v’è ampio e autosufficiente tracciamento nell’odierno ricorso. Inoltre, senza esternare alcun procedimento inferenziale, la CTR opera un collegamento arbitrario tra premessa logico – giuridica e conclusione finale di rigetto della domanda, così da rendere la pronuncia solo apparentemente argomentata ma sostanzialmente figurativa. Il che rende meramente apparente la motivazione della sentenza impugnata e quest’ultima, dunque, da cassare con rinvio al giudice competente che, in diversa composizione, deve procedere a nuovo e motivato esame e regolare anche le spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie gli altri, cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo (sez. Pescara), in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017