Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7988 del 28/03/2017
Cassazione civile, sez. VI, 28/03/2017, (ud. 18/01/2017, dep.28/03/2017), n. 7988
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24141/2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO SFATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente –
contro
S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR
presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE
BOTTIGLIONI, giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1720/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALI di BARI SEZIONE DISTACCATA di TARANTO del 28/01/2014,
depositata il 28/07/2014;
vista la memoria difensiva di parte ricorrente;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 18/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLA
VELLA.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
1. il giudice d’appello ha confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento per maggiore Irpef dell’anno di imposta 2003 a carico del socio di minoranza (5%) di una s.r.l. a ristretta base societaria (di cui l’altro socio al 95% era anche amministratore) ritenendo fornita la prova contraria rispetto alla presunzione di distribuzione degli utili extracontabili accertati in capo alla società;
2. l’amministrazione ricorrente deduce la “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 44, 45 e 47; D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39, artt. 2263, 2727, 2728, 2729 e 2697 c.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7; art. 115 c.p.c.” e della L. n. 280 del 2002, art. 12″, assumendo che le circostanze valorizzate dalla C.T.R. sarebbero “giuridicamente irrilevante”, essendo il contribuente tenuto a provare “unicamente l’accantonamento e/o il reinvestimento da parte della società, degli utili extracontabili”.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
3. non è in discussione, in astratto, il consolidato orientamento di questa Corte, richiamato da parte ricorrente, per cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nemmeno la eventuale mera deduzione del profilo per cui l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili” (Cass. n. 15834/16; cfr. ex pluribus Cass. nn. 10793/16, 17928/12, 18640/08);
4. va preso invece atto, in concreto, che i giudici di merito – tanto di primo quanto di secondo grado – hanno ritenuto raggiunta, in via presuntiva, la prova contraria che i maggiori ricavi accertati a carico della società non erano stati distribuiti al contribuente socio di minoranza, e ciò sulla base di una serie di elementi evidentemente ritenuti nel loro insieme gravi, precisi e concordanti (la dichiarazione scritta resa dal socio-amministratore che il contribuente non aveva mai percepito alcun utile di esercizio; l’imputazione per bancarotta fraudolenta del socio-amministratore, per le sue “manovre finanziarie finalizzate al perseguimento di un disegno per realizzare illecitamente profitto e utili”; la mancata partecipazione del socio di minoranza “ad alcuna attività posta in essere dalla società” e la sua mancata percezione di utili, risultanti dalle indagini penali; gli estratti conto dei suoi conti correnti bancari; il reddito percepito come lavoratore dipendente; “la sua posizione di incensurato e l’assenza di carichi pendenti”);
5. il motivo è quindi inammissibile poichè, sotto l’apparente contestazione di un error in iudicando, censura in realtà un accertamento in fatto congruamente motivato e quindi insindacabile in sede di legittimità (ex multis, Cass. Sez. U. n. 7931/13, Cass. un. 12264/14, 26860/14, 3396/15, 14233/15), non essendo consentita in questa sede – nemmeno per il tramite di censure motivazionali – una revisione del giudizio di fatto, ai cui fini spetta in via esclusiva al giudice di merito la selezione degli elementi del suo convincimento (Cass. nn. 962/15, 26860/14);
6. al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo;
7. risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, in quanto amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica invece il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (Cass. S.U. sent. n. 9338/14; conf. Cass. sez. ord. n. 1778/16 e Cass. 6-T, ord. n. 18893/16).
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2017.
Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017