Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10380 del 27/04/2017
Cassazione civile, sez. III, 27/04/2017, (ud. 27/10/2016, dep.27/04/2017),n. 10380
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6287/2014 proposto da:
L.V., M.V., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
DEGLI SCIPIONI 268/A, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE BOZZI,
che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIER LUIGI
ZANONI, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
TELECOM ITALIA SPA, (OMISSIS), in persona del suo procuratore
speciale, Dott.ssa T.A., elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA MARCELLO PRESTINARI 15, presso lo studio dell’avvocato OBERDAN
TOMMASO SCOZZAFAVA, che la rappresenta e difende giusta procura in
calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
BRM GALILEO SRL IN LIQUIDAZIONE SVILUPPO IMMOBILIARE;
– intimate –
avverso la sentenza n. 972/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,
depositata il 25/07/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
27/10/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
udito l’Avvocato GIUSEPPE BOZZI;
udito l’Avvocato PATRIZIA MARINO per delega non scritta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 25/7/2013 la Corte d’Appello di Genova, in
accoglimento del gravame in via principale interposto dalla società
Telecom Italia s.p.a. – respinto quello in via incidentale spiegato dai
sigg. M.V. ed altri – e in conseguente riforma della
pronunzia Trib. Sanremo n. 614 del 2007,
ha rigettato la domanda da questi ultimi nei confronti della prima
originariamente proposta di a) accertamento del vantato diritto di
opzione ex D.L. n. 351 del 2001, conv. in L. n. 410 del 2001;
b) ritrasferimento in loro favore delle unità immobiliari ad uso
residenziale oggetto di tale diritto; c) risarcimento dei lamentati
danni.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i sigg.
M.V. ed altri propongono ora ricorso per cassazione, affidato a
6 (benchè formalmente enumerati in 7) motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la società Telecom Italia s.p.a., che ha presentato anche memoria.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “nullità del procedimento e della sentenza” per violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Si dolgono che la corte di merito abbia negato la spettanza del diritto di opzione ex D.L. n. 351 del 2001 (conv. in L. n. 410 del 2001)
in loro favore riconosciuto dal giudice di 1^ cure in difetto di
impugnazione della controparte al riguardo, e pertanto in violazione del
giudicato interno formatosi sul punto.
Con il 2 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 109 (come modificato dalla L. n. 488 del 1999, art. 2, comma 5 e art. 43, comma 18), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il 3 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 109 (e successive modifiche), come interpretato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 217, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto
essere venuti meno i loro diritti all’esito della mutata composizione
societaria, e in particolare la riduzione al di sotto della soglia del
30% della partecipazione pubblica al suo capitale, laddove “l’offerta di
vendita trasmessa agli inquilini riscontrata dagli esponenti nel
gennaio 1999 – nel febbraio 2002 era ancora disciplinata dal novellato
comma 109 e radicava il diritto insorto nei conduttori alla data
dell’1.01.1997”, sicchè “incombeva… su Telecom l’obbligo di vendere ai
conduttori, limitandosi a verificare se per gli stessi persistevano i
requisiti di legge, posto che gli effetti dei rapporti giuridici
esistenti – i contratti di locazione integrati dal diritto di prelazione
ope legis e stante l’avvenuto utilizzo di tale facoltà – non si erano
ancora esauriti”.
Lamentano non essersi dalla corte di merito considerato che il
momento da prendersi in considerazione ai fini della verifica della
sussistenza dei loro requisiti necessari per fruire dei suindicati
diritti è quello della ricezione della proposta di vendita (nel caso, il
13/2/2002), come risulta confermato dalla norma di interpretazione
autentica di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 217 (Finanziaria per l’anno 2007).
Con il 4 (indicato come 4 e 5) complesso motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 109, artt. 1362 c.c. e segg., in riferimento all’art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3; nonchè “omessa, insufficiente e contraddittoria”
motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si dolgono che la corte di merito non abbia considerato che in
violazione della buona fede o correttezza la controparte ha ceduto a
terzi l’intero immobile ad un prezzo inferiore a quello ad essi
richiesto.
Con il 5 (indicato come 6) subordinato motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” del D.L. n. 651 del 1991 e della L. n. 560 del 1993, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il 6 (indicato come 7) motivo denunziano erroneità della “quantificazione del danno”.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare in
tema di dismissione del patrimonio immobiliare da parte degli enti
pubblici soggetti a privatizzazione, allo scopo di contemperare
l’esigenza di alcuni enti pubblici di dismettere il proprio patrimonio
immobiliare con l’esigenza di garantire i conduttori il legislatore ha
attribuito a questi ultimi il diritto di opzione nonchè, in caso di
relativo mancato esercizio, il diritto di prelazione (v., da ultimo, Cass., Sez. Un., 25/3/2016, n. 6023),
per l’ipotesi della vendita dell’immobile (ad un prezzo ridotto 30 per
cento in meno del prezzo di mercato), con possibilità per le parti di
rivolgersi, sia congiuntamente che separatamente, all’U.T.E. ai fini
della (per entrambe vincolante) determinazione del prezzo (v. Cass., Sez. Un., 22/4/2013, n. 9692; Cass., Sez. Un., 16/7/2012, n. 12106. E già Cass., 16/10/2001, n. 12599).
La disposizione di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma
109 lett. a), riconosce dunque agli inquilini un diritto di prelazione,
caratterizzato anche dalla riduzione del 30% del prezzo di mercato,
peraltro esercitatile solamente allorquando venga validamente ed
adeguatamente manifestata la specifica volontà dell’ente di porre in
vendita gli immobili, in attuazione del dettato normativo (v. Cass.,
30/9/2014, n. 21988; Cass., 24/10/2011, n. 21988; Cass., 26/5/2008, n. 13560 Cass., 3/9/2007, n. 18499; Cass., 4/10/2004, n. 19828. E già Cass., 16/10/2001, n. 12599).
Pur essendosi al riguardo dal Consiglio di Stato in via
consultiva prospettata la tesi – ripresa dagli odierni ricorrenti – che
la suindicata norma costituisca fonte diretta di un obbligo legale per
tali enti di vendere e di un corrispondente diritto di prelazione legale
in favore dei conduttori (v. Cons. Stato, sez. 2, 18/6/2003, n. 3217),
questa Corte ha invero diversamente affermato che nell’imporre ai
predetti enti la formazione di piani di alienazione degli immobili non
adibiti ad uso strumentale la legge non prevede una figura peculiare di
offerta pubblica ma si limita ad attribuire ai conduttori un diritto di
prelazione, il cui esercizio è subordinato alla manifestazione da parte
dell’ente della volontà di porre in vendita gli immobili, in attuazione
del dettato normativo, mediante la formulazione di una specifica
proposta di alienazione, consistente nella determinazione negoziale
dell’ente di cedere la proprietà dei beni (v. Cass., 26/5/2008, n. 13560).
In altri termini, si è da questa Corte esclusa la sussistenza
di un autonomo diritto potestativo dei conduttori di acquistare gli
immobili condotti in locazione in mancanza di una specifica ed effettiva
proposta di alienazione, e cioè di una determinazione dell’ente di
cedere l’immobile, secondo gli schemi del contratto imposto di cui agli
artt. 1679 e 2597 c.c. (v. Cass., 24/10/2011, n. 21988; Cass., 26/5/2008, n. 13560).
La configurazione di un obbligo discendente direttamente dalla
legge quale peculiare offerta pubblica imposta dal legislatore si
porrebbe infatti in insanabile contrasto con la disciplina del
procedimento di alienazione, e stravolgerebbe la natura giuridica degli
atti di dismissione, trasformandoli in anomale e sistematiche procedure
ablative (v. Cass., 24/10/2011, n. 21988).
A tale stregua, la denuntiatio praelationis L. n. 662 del 1996, ex art. 3,
comma 109, non integra una proposta contrattuale, trattandosi di dovuto
mero atto di interpello (cfr. Cass., 16/4/2008, n. 9972).
Il diritto di prelazione riconosciuto ai conduttori (con
annessa riduzione premiale del 30% del prezzo di mercato) va allora
correttamente inteso come concretamente esercitatile solo se e quando
l’ente abbia validamente ed adeguatamente manifestato la specifica
volontà di porre in vendita gli immobili.
La dichiarazione del conduttore di voler esercitare il diritto
di prelazione in argomento non costituisce d’altro canto accettazione di
una proposta nè comporta l’immediato acquisto dell’immobile,
determinando solo l’insorgenza dell’obbligo, a carico di entrambe le
parti, di pervenire alla conclusione del contratto, con possibilità di
tutela ex art. 2932 c.c. (cfr. Cass., 16/4/2008, n. 9972; Cass., 16/10/2001, n. 12599).
Orbene, dei suindicati principi la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione.
E’ rimasto nella specie accertato che gli originari attori ed
odierni ricorrenti sono conduttori in locazione di appartamenti facenti
parte dello stabile sito nella stazione coassiale del Comune di Sanremo
(c.d. Condominio (OMISSIS)).
Trattasi di alloggi in origine di pertinenza delle stazioni
telefoniche di proprietà dell’Azienda di Stato per i Servizi Telefonici
(A.S.S.T.), divenuti poi – in ragione delle vicende soggettive della
detta società – di proprietà della odierna controricorrente società
Telecom Italia s.p.a., con mutata destinazione ad appartamenti di civile
abitazione.
Tali appartamenti – per quanto ancora d’interesse in questa
sede – sono stati con atto del 13/2/2002 dalla società Telecom Italia
s.p.a. odierna controricorrente venduti alla società Beni Reali Milano
s.r.l. e alla società Sviluppo Industriale s.p.a..
La vendita è stata comunicata ai conduttori in data 14/2/2002 dalla Immobiliare EMSA.
Assumendo la violazione “del diritto di opzione e di
prelazione” nonchè dell'”art. 2 dei patti generali dell’atto del
13/2/2002″, i conduttori hanno successivamente vocato in giudizio la
società venditrice e gli acquirenti, chiedendone la condanna al
risarcimento dei conseguentemente lamentati danni. Il giudice di prime
cure ha accolto la domanda, ritenendo la società Telecom Italia s.p.a.
responsabile per “l’inosservanza della vigente normativa in materia”, e
in particolare della L. n. 662, art. 3, comma 109, come modificato dalla
L. n. 388 del 2000,
giacchè nella relativa vigenza la Telecom “non aveva ancora trasferito a
terzi con contratti definitivamente perfezionati i beni in questione”,
e, pur se al momento della stipula del suindicato atto di vendita del
2002 la partecipazione pubblica al suo capitale non era più prevalente e
neppure superiore o quantomeno uguale al 30%, tale requisito sussisteva
alla data dell’entrata in vigore della detta legge.
Nel riformare la sentenza del giudice di prime cure la corte di merito ha osservato che la L. n. 662 del 1996
“non dispone affatto che ai fini del riconoscimento del diritto di
prelazione in capo ai conduttori il requisito della partecipazione
pubblica prevalente (nel testo originario) o pari almeno al 30% (nel
testo come modificato dalla L. n. 388 del 2000) debba esistere alla data di entrata in vigore della L. n. 662 del 1996 (1/1/1997)”.
Ha altresì correttamente sottolineato come,”a prescindere dalla circostanza che nel testo originario della L. n. 662 del 1996, prima della modifica introdotta con della L. n. 488 del 1999, art. 2,
comma 5, il diritto di prelazione fosse previsto in capo ai conduttori,
aventi i requisiti di cui dell’art. 3, comma 109, lett. a) di detta
legge, solo in caso di “vendita frazionata””, tale diritto di prelazione
non sorga affatto “in capo ai conduttori (con i requisiti previsti
dalla legge) alla predetta data” di “entrata in vigore della L. n. 662 del 1996
(1/1/1997)”, dovendo “i requisiti attinenti alla partecipazione
pubblica” viceversa sussistere “all’atto in cui le società in questione
procedono alla dismissione del loro patrimonio in osservanza della L. n.
662 del 1995 (rectius, 662/96) e, quindi, nella fattispecie, all’atto
di vendita del 13/3/2002”, in tal senso invero deponendo il rilievo che,
come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (e
dall’espressamente evocato precedente Cass. n. 13560 del 2008),
la norma di cui della L. n. 662, art. 3, comma 109, non prevede “la
fattispecie del contratto imposto, ex artt. 1679, 2597 c.c., a favore
degli inquilini”.
Ha ulteriormente posto in rilievo che a tale conclusione
d’altro canto conducono sia l’inequivoca terminologia, “prelazione”” che
il “collegamento delle domande di acquisto “agli immobili posti in
vendita”.
Ribadendo che la tesi sostenuta dagli odierni ricorrenti ed
allora appellati non può trovare conforto nel citato parere del
Consiglio di Stato, la corte di merito (espressamente evocando il
precedente costituito da Cass. n. 21988 del 2011)
ha fatto invero applicazione del richiamato principio secondo cui il
diritto di prelazione dei conduttori di immobili de quibus “è
esercitabile esclusivamente quando l’ente abbia validamente ed
adeguatamente manifestato la specifica volontà di porre in vendita gli
immobili attraverso una specifica proposta di alienazione, consistente
in una determinazione negoziale dell’Ente di cedere l’immobile”.
Ha per altro verso escluso che nella specie la prelazione possa
considerarsi dagli odierni ricorrenti esercitata mediante “la richiesta
in atti inoltrata a Telecom Italia, tramite EMSA Soc. Immobiliare p.a.,
in data (OMISSIS) per l’acquisto dell’intero edificio”, trattandosi di
mera “risposta ad una proposta effettuata da Telecom di vendita
frazionata degli appartamenti ad un determinato prezzo per ciascun
appartamento” in effetti integrante manifestazione della “volontà di
dismettere il patrimonio immobiliare”, con la quale essi “hanno solo
manifestato un interesse all’acquisto ove controparte avesse applicato
una riduzione pari al 10% del prezzo (“i sottoscritti si dichiarano
interessati all’acquisto solo se applicata una riduzione pari al 10″ dei
prezzi indicati da Telecom)”.
A tale stregua, la corte di merito ha pertanto negato che vi
sia stato l’ “effettivo esercizio del diritto di prelazione da parte
degli odierni appellati nel 1999”, e che sia conseguentemente insorto
“alcun obbligo a contrarre per entrambe le parti”, sottolineando come,
“rimasta senza effetti la denuntiatio del 1999”, ben potesse in realtà
nel 2002 Telecom Italia “procedere a nuova vendita senza l’obbligo di
osservare la normativa di cui alla legge 662/1996
essendo medio tempore venuti meno i requisiti di partecipazione
pubblica al capitale azionario ordinario non solo in termini di
prevalenza, ma anche nella misura pari al 30% di detto capitale”.
Ha d’altro canto escluso che possano “imputarsi a Telecom
Italia un’inerzia protrattasi sino al 2002” nonchè “comportamenti
finalizzati ad eludere la normativa in materia di diritto di prelazione
mediante mutamento della composizione societaria”, attesa l’effettuata
(nel 1999) denuntiatio, a fronte della quale gli odierni ricorrenti ed
allora appellati non hanno invero esercitato “il diritto di prelazione
con richiesta di determinazione del prezzo da parte dell’UTE, stante il
disaccordo con il prezzo indicato da Telecom, ma si sono limitati a
manifestare un mero interesse all’acquisto previa riduzione del prezzo
da parte della società alienante (senza peraltro alcun riferimento ad
una richiesta di intervento dell’UTE)”.
Dato atto che correttamente il giudice di prime cure non ha
esaminato le domande delle parti concernenti il quantum risarcitorio, nè
quella “fondata sul diritto di opzione di cui al D.L. n. 351 del 2001”, in quanto “assorbita dall’accoglimento della domanda fondata sulla L. n. 662 del 1996”,
la corte di merito ha quindi provveduto a scrutinare anche quest’ultima
(per la distinzione tra opzione e prelazione in favore dei conduttori
delle unità immobiliari ad uso residenziale v. Cass., Sez. Un., 16/7/2012, n. 12106, Cass., Sez. Un., 22/4/2013, n. 9692, e, da ultimo, Cass., Sez. Un., 25/3/2016, n. 6023).
Ha peraltro rigettato anche tale domanda, ponendo in rilievo che “il D.L. n. 351 del 2001,
si riferisce, oltre ai beni degli enti pubblici non territoriali, ai
beni non strumentali in precedenza attribuiti a società a “totale
partecipazione pubblica”, diretta o indiretta, riconosciuti di proprietà
dello Stato”, laddove “nella fattispecie si tratta di beni appartenenti
a società che alla data dell’11/1/97 erano a prevalente partecipazione
pubblica e non affatto a totale partecipazione”.
Ha quindi conclusivamente osservato come non si sia nella
specie “in ogni caso… in presenza di immobili previamente individuati
dall’Agenzia del Demanio e trasferiti a società di cartolarizzazione
appositamente costituite per provvedere alla successiva rivendita in
favore di terzi come previsto dal D.L. n. 351 del 2001”.
Orbene, a fronte dei suindicati argomenti posti a fondamento
dell’impugnata pronunzia gli odierni ricorrenti si sono invero limitati a
riproporre, in termini di inammissibile contrapposizione, la propria
tesi difensiva, insistendo in particolare nell’infondatamente (alla
stregua di quanto sopra rilevato ed esposto) assumere che in base alle
fonti normative debba ritenersi che la società Telecom s.p.a. avesse
l’obbligo, e non già la mera facoltà, di procedere alla dismissione del
patrimonio immobiliare in oggetto.
Quanto all’asseritamente erronea interpretazione dell'”art. 1
dell’atto di vendita (OMISSIS) (doc. 16), nel quale i contraenti hanno
pattuito che “nell’ipotesi di rivendita frazionata delle singole unità
immobiliari oggetto del presente atto, per sè ed i suoi successivi
aventi causa si impegna ad attenersi alle normative vigenti in materia
di diritto di prelazione e di determinazione del prezzo da applicarsi in
favore dei conduttori”, nonchè della formulata “proposta di acquisto”
che si assume riferita all’ipotesi della vendita non solo frazionata ma
anche “in blocco”, va pregiudizialmente osservato che la doglianza
risulta invero inammissibilmente formulata in violazione dell’art. 336 c.p.c., comma 1, n. 6.
I ricorrenti si limitano infatti a riprodurre nei suesposti
termini l’evocata clausola contrattuale dell’atto di vendita (senza
nemmeno indicare se si tratti o meno dell’intero testo nè riprodurre
altre clausole idonee a consentire di meglio contestualizzarla ai fini
della relativa interpretazione), nonchè a meramente richiamare la
proposta di acquisto senza invero debitamente (per la parte strettamente
d’interesse in questa sede) riprodurla nel ricorso, sia per l’uno che
per quest’ultima non fornendo invero puntuali indicazioni necessarie ai
fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello
svolgimento del processo inerente alla documentazione come pervenuta
presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame
(v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220),
con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo
d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente
acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di tale sola indicazione rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
A tale stregua non pongono questa Corte nella condizione di
adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo
fondamento.
In ordine alla lamentata erronea interpretazione della
formulata “proposta di acquisto” non risultano d’altro canto dai
ricorrenti dedotto argomento alcuno a sostegno della prospettata
violazione dei criteri interpretativi ex artt. 1362, 1366 e 1367 c.c.,
sicchè la mossa censura si appalesa come inammissibilmente in termini
meramente astratti prospettata.
Va per altro verso sottolineata l’inammissibilità della
doglianza mossa dagli odierni ricorrenti al 3^ motivo, circa il momento
da prendersi in considerazione ai fini della verifica della sussistenza
dei requisiti soggettivi necessari per fruire dei diritti de quibus.
A parte il rilievo che non risulta dai ricorrenti evidenziata
la relativa decisività, non può sottacersi che la statuizione circa
l'”irrilevanza” della “legge di interpretazione autentica” di cui della L. n. 296 del 2006, comma 217. E secondo cui “L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3,
comma 109 e successive modificazioni, si interpreta nel senso che i
requisiti necessari per essere ammessi alle garanzie di cui alle lettere
a) e b) del citato comma devono sussistere in capo agli aventi diritto
al momento del ricevimento della proposta di vendita da parte
dell’amministrazione alienante, ovvero alla data stabilita, con propri
atti, dalla medesima amministrazione in funzione dei piani di
dismissione programmati”) contenuta nell’impugnata sentenza, ove si è
comunque esclusa la configurabilità di un diritto di fonte legale in
capo ai conduttori degli immobili in argomento, a tale stregua risulta
invero non idoneamente censurata.
Atteso che rimane logicamente assorbita, stante quanto sopra
rilevato ed esposto, la censura concernente la quantificazione del danno
di cui al 6 (indicato come 7) motivo, va ulteriormente sottolineato
come la lamentata “violazione o falsa applicazione” del D.L. n. 651 del
1991 e della L. n. 560 del 1993 denunziata al 5 (indicato come 6) motivo prospetti invero inammissibili profili di novità.
Non può infine sottacersi che il vizio di motivazione risulta
inammissibilmente dedotto al di là dei limiti consentiti, giacchè alla
stregua della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 5, nel caso ratione temporis applicabile, il vizio di
motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si sostanzia
solamente nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto
inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche
l’insufficienza o la lacunosità o l’inadeguatezza della motivazione
(cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, da ultimo, Cass., 29/9/2016, n. 19312), come nella specie dai ricorrenti viceversa prospettato.
Emerge dunque evidente come, lungi dal denunziare vizi della
sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dei
ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da
quello delineato all’art. 366 c.p.c.,
comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la
dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli
elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro
aspettative.
Per tale via in realtà sollecitano, cercando di superare i
limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di
merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui
il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado
nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di
Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al
fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi (rigettato o
assorbito ogni altro e diverso profilo), consegue il rigetto del
ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente società Telecom Italia s.p.a., seguono la soccombenza.
Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese
del giudizio di cassazione in favore degli altri intimati, non avendo i
medesimi svolto attività difensiva.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al
pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che
liquida in complessivi Euro 13.200,00, di cui Euro 13.000,00 per
onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore
della controricorrente società Telecom Italia s.p.a.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte
dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso
art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2016.
Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2017