Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10515 del 28/04/2017

Cassazione civile, sez. III, 28/04/2017, (ud. 10/04/2017, dep.28/04/2017),  n. 10515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16175/2015 proposto da:

M.A. DITTA SRL, in persona del suo amministratore e

legale rappresentante Sig.ra M.C., considerata

domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ADALBERTO NERI,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE MORNICO AL SERIO, in persona del Sindaco pro tempore, sig.

C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

268-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO DAMINELLI

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

CAVENORD SRL, GENERALI ASSICURAZIONI SPA;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1439/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 04/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/04/2017 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ADALBERTO NERI;

udito l’Avvocato ALESSIO PETRETTI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza resa in data 4/12/2014, la Corte d’appello di Brescia ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta dalla ditta M.A. s.p.a. (ora s.r.l.) per la condanna del Comune di Mornico al Serio e della Cavenord s.r.l. al risarcimento dei danni subiti per effetto dei continui allagamenti verificatisi, dall’estate/autunno del 2004 in poi, nel piazzale ove si trova l’impianto di distribuzione di carburanti di proprietà della società attrice;

che, secondo la prospettazione della società attrice, tali allagamenti erano dovuti all’avvenuta realizzazione, da parte della Cave-nord s.r.l., su incarico dell’amministrazione comunale convenuta, di una rotatoria da cui era scaturita una variazione delle quote delle aree circostanti;

che, a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale, rilevata la correttezza processuale degli accertamenti tecnici disposti dal primo giudice, ha sancito la piena condivisibilità delle relative conclusioni, dalle quali era emersa la mancanza di alcun nesso di causalità tra i lavori realizzati su incarico dell’amministrazione comunale (che aveva, peraltro, esteso il contraddittorio, a fini di manieva, nei confronti della Assicurazioni Generali s.p.a.) e i danni denunciati dalla società attrice;

che avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per cassazione la ditta M.A. s.r.l., sulla base di due motivi d’impugnazione;

Che il Comune di Mornico al Serio resiste con controricorso, illustrato da successiva memoria;

che nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 194 e 201 c.p.c., nonchè dell’art. 90 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 111 Cost., commi 1 e 2 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente escluso l’avvenuta lesione del contraddittorio tra le parti nel corso delle operazioni di consulenza tecnica svolte in primo grado, con particolare riguardo all’esecuzione delle attività relative al supplemento di consulenza disposto dal tribunale;

che la censura e infondata;

che, infatti, la corte territoriale ha espressamente evidenziato come il quesito formulato dal primo giudice ai fini dello svolgimento del supplemento di perizia non imponesse l’esecuzione di alcun ulteriore accertamento tecnico, essendo propriamente destinato a sollecitare un mero approfondimento di carattere argomentativo circa le questioni rimaste non sufficientemente chiarite a seguito del deposito della prima relazione tecnica;

che, al riguardo, la differente interpretazione sostenuta dall’odierna ricorrente – circa la necessità di ulteriori indagini tecniche (poi realmente eseguite dal consulente tecnico al fine di corroborare l’elaborazione dei chiarimenti richiesti) – non vale a infirmare l’assunto sostenuto dalla corte d’appello, trattandosi di valutazioni critiche d’indole interpretativa non proponibili in sede di legittimità, non ravvisandosi, nella formulazione fatta propria dai giudici di secondo grado, alcuna violazione di legge, nè alcuna abnorme interpretazione dei compiti del consulente tecnico così come determinati dal mandato giudiziale;

che, pertanto, dev’essere esclusa l’avvenuta violazione di alcuna prerogativa processuale delle parti con riguardo alla pretesa lesione del contraddittorio tecnico, non avendo, peraltro, la società ricorrente, neppure specificato i concreti i profili di lesività effettivamente subiti, nonostante la perdurata possibilità di contrastare le conclusioni raggiunte dal consulente tecnico, tanto nella prima relazione tecnica depositata, quanto in quella diretta ad esplicitare i chiarimenti richiesti dal primo giudice;

che con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale trascurato di analizzare il reale deflusso delle acque determinatosi per effetto dell’intervento disposto su iniziativa dell’amministrazione comunale convenuta, con la conseguente erroneità delle conclusioni raggiunte nella ricostruzione dei fatti di causa, nella specie formulate sulla base di un’acritica ricezione delle argomentazioni fatte proprie dalla consulenza tecnica d’ufficio, senza alcuna soddisfacente motivazione in ordine alle ragioni per cui le linee di deflusso delle acque piovane o irrigue fossero quelle indicate dal consulente dell’ufficio piuttosto che quelle indicati dalla difesa attrice;

che la censura è inammissibile;

che, al riguardo, osserva il collegio come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con la L. n. 134 del 2012, introduca nell’ordinamento un vizio specifico denuncia-bile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

che da tale premessa consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);

che, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza della società ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo alle indagini svolte in sede tecnica, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativi, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

che, sulla base delle argomentazioni che precedono, accertata l’infondatezza dei motivi di censura avanzati dalla società ricorrente, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la condanna della stessa ricorrente al rimborso, in favore del Comune controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2017

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