Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11105 del 05/05/2017
Cassazione civile, sez. VI, 05/05/2017, (ud. 09/02/2017, dep.05/05/2017), n. 11105
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –
Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10273-2016 proposto da:
D.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato GIANFRANCO CORVINO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 9276/23/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 23/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 09/02/2017 dal Consigliere Dott. MOCCI MAURO.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Preso atto:
che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., delibera di procedere con motivazione sintetica;
che D.G. propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, che aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Caserta. Quest’ultima, a sua volta, aveva accolto il ricorso del D. avverso un avviso di accertamento IRPEF anno 2007;
che, nella decisione impugnata, la CTR ha rilevato come, a fronte del beneficio del pagamento rateale concessogli, il D. non avesse provato la sussistenza della forza maggiore, non putendo ritenersi inevitabile il sequestro penale dei beni, giacchè riferito alla sua condotta, tanto più che egli era rientrato nella disponibilità dei suoi beni fin dal 31 luglio 2012, senza poi provvedere al versamento del saldo;
Rilevato:
che il ricorso è affidato a due motivi;
che, col primo, il D. deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, costituito dalla disponibilità dei conti correnti, solo a partire dal 24 ottobre 2012;
che, col secondo, il ricorrente invoca violazione e falsa applicazione di norme di diritto: la CTR avrebbe errato nel ritenere la custodia cautelare ed il sequestro certamente originate da una condotta illecita del D.;
che l’Agenzia delle Entrate non si è costituita;
che il primo motivo è immeritevole di accoglimento;
che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014);
che, nella specie, la CTR ha motivato ampiamente l’insussistenza della forza maggiore e la differenza di data circa la disponibilità dei conti correnti (il 31 luglio 2012 per la sentenza impugnata ed il 24 ottobre successivo per il ricorrente) non inficia l’affermazione che il D. era rimasto comunque inerte rispetto al pagamento del dovuto fino al gennaio 2013, quando ebbe notizia dell’accertamento ad opera dell’Agenzia;
che la seconda doglianza è inammissibile, poichè non aggredisce la ratio decidendi della pronunzia, costituita dal fatto che il D., rientrato in bonis fin dal 31 luglio 2012, aveva proposto istanza di pagamento solo nel gennaio 2013, in data successiva alla notifica dell’intimazione;
che al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo;
che, ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Motivazione Semplificata.
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017