Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11913 del 12/05/2017


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Cassazione civile, sez. I, 12/05/2017, (ud. 12/10/2012, dep.12/05/2017),  n. 11913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1790/2012 R.G. proposto da:

TERNA S.P.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Filomena Passeggio,

Giancarlo Bruno, Maurizio Carbone e Stefano Mastrolilli, ed

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

via F. Denza, n. 15;

– ricorrente –

contro

M.R., Rappresentata e difesa dall’avv. Raffaele Scarpelli;

elettivamente domiciliata in Roma, viale G. Mazzini, n. 13, nello

studio dell’avv. Alessandro Giuliani;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, n. 1053,

depositata in data 24 ottobre 2011;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 12 ottobre 2016

dal consigliere dott. Pietro Campanile;

sentito per la ricorrente l’avv. Carbone;

sentito per la controricorrente l’avv. Scarpelli;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto

dott. CARDINO Alberto, il quale ha concluso per l’accoglimento

parziale del primo motivo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro, disattese le eccezioni di decadenza e di prescrizione sollevate dalla convenuta Terna S.p.a., in accoglimento della domanda proposta dalla signora M.R. in relazione all’asservimento per l’imposizione di una servitù di elettrodotto di parte di un terreno di sua proprietà in (OMISSIS), ha determinato l’indennità di asservimento in Euro 30.115,80, quella di cui al R.D. n. 1775 del 1933, art. 123, comma 3 in Euro 204,49, nonchè l’indennità di occupazione in Euro 12,99.

2. A tali statuizioni la corte distrettuale è pervenuta aderendo alle conclusioni peritali, che avevano evidenziato come il terreno, avente natura agricola durante l’occupazione temporanea, al momento del perfezionamento della vicenda ablativa aveva acquisito natura edificatoria, ragion per cui l’indennità doveva essere commisurata al valore di mercato del suolo edificabile.

3. Per la cassazione di tale decisione la S.p.a. Terna propone ricorso, affidato a due motivi, illustrati da memoria, cui la M. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con la prima censura, deducendosi violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 123 nonchè omessa e insufficiente motivazione, si sostiene che erroneamente il valore dell’intero fondo sarebbe stato determinato in base alla sua ritenuta edificabilità, in quanto una parte di esso era destinata a “viabilità”, con un vincolo di natura conformativa.

2. Il motivo è fondato, nei termini che seguono.

La corte distrettuale, dopo aver correttamente affermato che la natura del terreno andava verificata alla data dell’emanazione del decreto di asservimento, ha rilevato che in base al P.R.G. in vigore alla data suddetta il terreno aveva la seguente destinazione urbanistica: “parte Zona di completamento, parte Zona di espansione e parte Viabilità”, per poi affermare: “In conclusione, il terreno di parte attrice alla data del decreto di asservimento aveva natura edificatoria”.

Sebbene la mancanza di qualsiasi spiegazione in merito a tale qualificazione, soprattutto per la zona destinata a viabilità, sia suggestiva di un vizio motivazionale, pure dedotto, deve ritenersi che tale aspetto non si sottrae a un rilievo di inammissibilità, trattandosi di mera “quaestio iuris”.

Sotto quest’ultimo profilo, deve rilevarsi che il rilievo della ricorrente prospettato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, appare condivisibile, laddove pone l’esigenza, del tutto negletta dal giudice del merito, di individuare la natura del vincolo.

A tale riguardo vale bene richiamare il principio secondo cui ai fini della ricognizione giuridica di area destinata ad opere di viabilità dallo strumento urbanistico, occorre verificare se tale destinazione comporti limitazioni incidenti su beni determinati in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione lenticolare dell’opera pubblica e sia, quindi, riconducibile a vincoli imposti a titolo particolare, a carattere espropriativo (come pure si sostiene nel controricorso, ma senza riferimenti concreti alle specifiche previsioni del P.R.G.), ovvero se venga effettuata nell’ambito del programma generale di sviluppo urbanistico così assumendo contenuto conformativo della proprietà privata (Cass., 26 novembre 2008, n. 26615).

A tale accertamento provvederà il giudice del rinvio, applicando il seguente principio di diritto: “L’indicazione delle opere di viabilità nel piano regolatore generale (L. n. 1150 del 1942, art. 7, comma 2, n. 1) comporta, in via ordinaria, un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio interessate, che non concreta un vincolo preordinato ad esproprio, a meno che non si tratti, in via eccezionale, di destinazione assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno ed a servizio delle singole zone (L. n. 1150 cit., art. 13), come tali riconducibili a vincoli imposti a titolo particolare, di carattere espropriativo” (cfr. Cass., 28 settembre 2016, n. 19204; Cass., 30 giugno 2016, n. 13425).

3. Il secondo profilo di censura riguarda la violazione del citato R.D. n. 1775 del 1933, art. 123 per aver determinato l’indennità di asservimento in base al valore di mercato dell’intero fondo, applicando una percentuale del 50 per cento, mentre la servitù di elettrodotto riguarderebbe una parte limitata dello stesso.

3.1. La doglianza, in parte assorbita dall’accoglimento del primo motivo, tale da comportare l’eventualità di una rideterminazione dell’indennità, è in parte inammissibile, ed in parte infondata.

3.2. Sotto quest’ultimo profilo deve rilevarsi che, trattandosi di vicenda antecedente l’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, l’indennizzo per il fondo residuo è disciplinato dal TU n. 1775 del 1933, art. 123, comma 1, secondo cui “Al proprietario del fondo servente è dovuta una indennità la quale deve essere determinata tenendo conto della diminuzione di valore che per la servitù subiscono il suolo e il fabbricato in tutto od in parte….”.

Tale previsione, introduce sostanzialmente nella determinazione dell’indennizzo l’obbligo di tener conto del criterio differenziale di cui alla L. n. 2359, art. 40. In proposito questa Corte ha affermato il principio secondo cui la componente dell’indennizzo costituita dalla diminuzione di valore di tutto o parte del fondo, inteso come complessiva entità economica, non opera in modo indistinto ed automatico, potendo essere attribuita solo quando sia dimostrata l’attualità del deprezzamento e comunque il suo documentato verificarsi in connessione alla natura del fondo o all’oggettiva incidenza causale della costituzione della predetta servitù (Cass., 9 marzo 2012, n. 3751).

Trattasi di questione, che, indipendentemente dalle ragioni che possano determinare in concreto il deprezzamento, attiene, anche per quanto involge l’accertamento del nesso di causalità, al merito della vicenda.

3.3. Nel caso di specie viene in considerazione la ritenuta incidenza della servitù sulle capacità edificatorie dell’area residua.

Gli aspetti relativi a tale questione non risultano analiticamente affrontati nella decisione impugnata, che sul punto si è limitata ad aderire alle risultanze peritali, “facendo proprie tutte le considerazioni svolte nel relativo paragrafo dal consulente tecnico d’ufficio, con riguardo anche alle limitazioni alla edificabilità..”.

Deve pertanto ribadirsi, ai fini del profilo di inammissibilità sopra indicato, il principio costantemente affermato da questa Corte, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass., 3 giugno 2016, n. 11482; Cass., 17 luglio 1014, 16368).

Nel ricorso in esame si svolgono dei rilievi, anche articolati, all’operato del consulente tecnico d’ufficio e alle conclusioni cui lo stesso è pervenuto senza minimamente indicare in quali termini e con quali modalità tali conclusioni siano state criticate nel corso del giudizio di merito, ragion per cui la questione dedotta, oltre ad implicare valutazioni di merito precluse in questa sede, assume un carattere di novità che parimenti comporta l’inammissibilità della censura.

4. La sentenza impugnata, pertanto, va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla corte di appello di Catanzaro, che applicherà il principio sopra precisato, provvedendo, altresì, a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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