Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11894 del 12/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 12/05/2017, (ud. 10/01/2017, dep.12/05/2017),  n. 11894

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14913-2014 proposto da:

C.R., C.F. (OMISSIS), S.C. C.F. (OMISSIS),

M.M. C.F. (OMISSIS), tutti elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA ZAMA 37, presso lo studio dell’avvocato MARIA AGATA

TESTA, rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO SAVERIO BRUNO,

giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ARTURO MARESCA,

ENZO MORRICO, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ROBERTO ROMEI, che la

rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2151/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/05/2013 R.G.N. 8050/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato CLAUDIA COSTANTINI per delega verbale Avvocato

FRANCESCO SAVERIO BRUNO;

udito l’Avvocato VALERIA COSTANTINO per delega verbale Avvocato

ARTURO MARESCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 2151/2013, depositata il 30 maggio 2013, la Corte di appello di Napoli, in accoglimento del gravame di Telecom Italia S.p.A., respingeva le domande con le quali C.R., S.C. e M.M. avevano chiesta, ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 51 e 54, come modificato dalla L. n. 422 del 2000, art. 21, che fosse accertato il loro diritto ad una pausa di quindici minuti ogni centoventi minuti di applicazione continua ai videoterminale, oltre alla condanna della società al pagamento di varie somme a titolo risarcitorio e retributivo.

La Corte, richiamata la normativa in materia, osservava, sulla scorta dei materiale di prova acquisito al giudizio, come dovesse ritenersi esclusa una continua adibizione dei ricorrenti al videoterminale e ciò con riguardo ad entrambe le attività (di front-office, o videowall, e di back-office), in cui si articolava la loro prestazione.

Hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza i lavoratori con due motivi; la società ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 51 e 54, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per non avere il giudice di merito considerato che il diritto alla pausa non può ritenersi sostituito dall’astratta possibilità “di fatto”, priva come tale di qualunque regolamentazione, che il lavoratore addetto al videoterminale interrompa spontaneamente il servizio, in tal modo esponendosi al mancato raggiungimento degli obiettivi aziendali, ovvero alla mancata diramazione dell’allarme nel previsto termine di venti minuti: possibilità che, rimettendo l’effettuazione delle pause stabilite dalla legislazione antinfortunistica all’iniziativa del lavoratore, finirebbe per condizionarne la fruizione alla violazione dei doveri di diligenza nell’adempimento della propria obbligazione.

Con il secondo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360, n. 5, i ricorrenti censurano la sentenza per avere ritenuto, nonostante che della circostanza non vi fosse traccia nella espletata prova testimoniale, che essi svolgessero contestualmente attività di front office (e cioè di diretta supervisione degli allarmi) e di back office (e cioè un’attività di tipo amministrativo); per avere considerato inattendibili le dichiarazioni dei testi indicati dalle parti ricorrenti, in quanto rese da soggetti aventi controversie in corso con la S.p.A. Telecom Italia o per esserne il contenuto in contrasto con altre risultanze ritenute più logiche e verosimili; per avere infine ritenuto che nessuna delle attività di back office comportasse la continuativa adibizione al videoterminale, nonostante che la circostanza non fosse desumibile dalla lettura della deposizione del teste, di parte resistente, citato nella parte della motivazione a sostegno di tale conclusione.

Il primo motivo non può essere accolto.

Premesso, infatti, che i ricorrenti hanno domandato in giudizio che venisse accertato e dichiarato il loro diritto, quali “videoterminalisti”, ad una pausa di quindici minuti ogni centoventi minuti di applicazione continua al videoterminale, in esecuzione di quanto espressamente stabilito dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 54, comma 3, si rileva che il motivo in esame risulta non pertinente rispetto alla decisione impugnata, la quale non pone a fondamento della propria statuizione di rigetto, nè comunque contiene, alcuna lettura della norma che possa integrare il vizio denunciato e cioè la possibilità di considerare legittimamente sostituibile ad un rapporto prestazione/pausa ben preciso e determinato nella sua sequenza, a protezione del fondamentale diritto alla salute del lavoratore, il compimento di interruzioni “di fatto” dell’attività, rimesse all’iniziativa del singolo e come tali svolte in assenza di qualsivoglia regolamentazione; ma ha semplicemente escluso, sulla scorta di un ampio e attento esame del materiale di prova e in esito ad un adeguato accertamento di fatto, che potesse configurarsi, nella fattispecie concreta, la sussistenza del requisito, dal quale discende il diritto del lavoratore alla pausa, di un’applicazione continua al videoterminale per il tempo prefissato.

Il secondo motivo è inammissibile.

Esso, infatti, non si conforma, dolendosi i ricorrenti di una inesatta valutazione del contenuto delle prove testimoniali e di carenze motivazionali sull’attendibilità di alcuni testi e l’inattendibilità di altri, allo schema normativo del nuovo vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, quale risultante a seguito delle modifiche introdotte con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, pur a fronte di sentenza depositata il 30 maggio 2013, e, pertanto, in epoca successiva all’entrata in vigore (11 settembre 2012) della novella legislativa.

Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato a seguito dei recenti interventi, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Il ricorso deve conclusivamente essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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