Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12087 del 16/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 16/05/2017, (ud. 18/01/2017, dep.16/05/2017),  n. 12087

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7382/2011 proposto da:

N.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA MARIANNA DIONIGI 57, presso lo studio dell’avvocato ANNA

BEVILACQUA, rappresentato e difeso dall’avvocato MIRCO RIZZOGLIO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati MAURO RICCI, ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN, CLEMENTINA

PULLI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1370/2010 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 13/11/2010 R.G.N. 378/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANNA BEVILACQUA per delega Avvocato MIRCO RIZZOGLIO;

udito l’Avvocato SERGIO PREDEN.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso al Tribunale di Livorno del 5.8.2006 N.A. agiva nei confronti dell’INPS per l’accertamento del proprio diritto alla rivalutazione contributiva L. n. 257 del 1992, ex art. 13, comma 8, per essere stato esposto alle polveri di amianto nel corso della attività di lavoro dipendente prestata presso la società LUCCHINI spa.

Il giudice del Lavoro, con sentenza del 2.2.2010 (nr. 99/2010), accoglieva la domanda.

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 29.10.2010 – 13.11.2010 (nr. 1370/2010), in accoglimento dell’appello dell’INPS, rigettava la domanda originaria, dichiarando la decadenza del ricorrente dalla azione giudiziaria ai sensi del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47.

La Corte territoriale osservava che la domanda amministrativa era stata presentata nell’anno 1996 sicchè alla data del ricorso giudiziario era decorso il termine complessivo di 3 anni e 300 giorni.

Detto termine era già maturato anche alla data del pensionamento del N., nell’anno 2002 sicchè neppure poteva venire in questione la rivalutazione dei ratei di pensione liquidati, quest’ultima non soggetta a decadenza.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso N.A. articolato in tre motivi, oltre ad quarto punto relativo al merito del diritto alla rivalutazione.

Ha resistito l’INPS con controricorso.

Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 4 e del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, comma 5.

Ha assunto che la Corte di merito non aveva considerato la violazione da parte dell’INPS della disposizione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, comma 5, che imponeva all’Istituto di previdenza di indicare nella comunicazione del provvedimento adottato sulla domanda di prestazione i gravami che potevano essere proposti, la autorità cui ricorrere ed i relativi termini nonchè di precisare i presupposti ed i termini per l’esperimento della azione giudiziaria.

Nella fattispecie di causa non vi era stata risposta sulla domanda di rivalutazione dei contributi del 12.6.1996, con conseguente elusione dei suddetti obblighi di informazione; ne derivava la mancata produzione dell’effetto di decadenza, come sostenuto anche in un precedente di questa Corte di legittimità (Cass. sez. lav. 27672/2005).

Il ricorrente ha aggiunto che analoghi obblighi informativi derivavano dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 4, norma in ragione della quale si era analogamente ritenuto che la mancata comunicazione del termine e della autorità cui presentare ricorso impediva il verificarsi delle preclusioni derivanti dal mancato rispetto del termine.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47.

Ha censurato la statuizione di decadenza assumendo la non applicabilità della decadenza di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, alla azione proposta, in quanto diretta ad ottenere la riliquidazione del trattamento pensionistico, richiamando la sentenza resa sul punto dalle sezioni Unite di questa Corte (SS.UU. sent. nr. 12720/2009). Il ricorrente ha precisato che dai documenti prodotti in appello (allegati sub numeri 2 e 3) risultava la titolarità del trattamento pensionistico sin dal gennaio 2002, data anteriore al momento di proposizione della domanda giudiziaria.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La censura investe la statuizione di inapplicabilità nella fattispecie di causa dei principi in tema di decadenza relativi alle domande di riliquidazione di prestazioni, per essere già maturata alla data del pensionamento la decadenza sulla domanda ammnistrativa dell’anno 1996.

Il ricorrente ha assunto che la decadenza di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, non poteva decorrere in epoca anteriore alla data di maturazione del diritto a pensione poichè il diritto alla rivalutazione contributiva azionato in causa non era autonomo rispetto al diritto alla prestazione pensionistica.

4. Con il quarto motivo il ricorrente chiede a questa Corte di decidere, previo accoglimento delle precedenti censure, circa il buon fondamento della domanda di rivalutazione contributiva facendo proprie le decisioni del giudice del primo grado, non investite sul punto dai motivi d’appello.

I primi tre motivi, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

Gli stessi sono infondati.

Sulla questione posta con il secondo motivo e con il terzo motivo (quest’ultimo impropriamente qualificato sub specie di vizio di motivazione laddove la censura attiene alla violazione di norme di diritto) si è già formato un consolidato orientamento di questa Corte, che va in questa sede ribadito (ex plurimis: Cass. n. 12685 del 2008 e nn. 3605, 4695 e 6382 del 2012; ord. nn. 7138, 8926, 12052 del 2011, n. 1629 del 2012, sez. 6 nr. 16592/2014; nr. 13816/2015; nr. 7043/2016), nel senso che la decadenza dall’azione giudiziaria prevista dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, trova applicazione anche per le controversie aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto alla maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto.

Secondo le richiamate decisioni il suddetto art. 47, per l’ampio riferimento alle controversie in materia di trattamenti pensionistici, comprende tutte le domande giudiziarie in cui venga in discussione l’acquisizione del diritto a pensione ovvero la determinazione della sua misura, così da doversi ritenere incluso anche l’accertamento relativo alla consistenza dell’anzianità contributiva utile ai fini in questione (sulla quale incide il sistema più favorevole di calcolo della contribuzione previsto dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8).

Tale decadenza è applicabile anche alle domande giudiziali avanzate da soggetti già pensionati, alle quali non sono riferibili i principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 12720/2009) con riguardo alle domande di riliquidazione delle prestazioni previdenziali liquidate in misura inadeguata (Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n. 19482/2012; n. 11400/2012; nr. 7043/2016), dovendo sul punto correggersi la motivazione della sentenza impugnata.

A tale conclusione questa Corte è pervenuta sul rilievo che ciò che si fa valere in questi casi non è il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica erroneamente liquidata in sede di determinazione amministrativa, bensì il diritto ad un beneficio dotato di una sua specifica individualità e autonomia. Il beneficio della rivalutazione contributiva è riconosciuto dalla legge in presenza di condizioni diverse rispetto a quelle previste per la liquidazione di pensioni e supplementi secondo le regole ordinarie, condizioni all’evidenza conosciute solo da chi le invoca e, come tali, da portare a conoscenza dell’INPS mediante apposita domanda amministrativa. La rideterminazione della pensione, in questo caso, consegue al giustificato sopravvenuto mutamento – anche se con effetti retroattivi – della posizione contributiva e non è pertanto corretto qualificarla come correzione di una precedente determinazione amministrativa ingiusta od erronea (cfr. nello stesso senso Cass. n. 1576/2013 in tema di decadenza dell’assicurato a seguito della domanda di rivalutazione contributiva L. n. 113 del 1985, ex art. 9).

La applicabilità della norma sulla decadenza non è esclusa, contrariamente a quanto assunto con il primo motivo di ricorso, nel caso in cui manchi un provvedimento di rigetto della domanda amministrativa contenente precise indicazioni sulle modalità ed i mezzi di impugnazione.

Questa Corte ha già chiarito (Cass. sez. lav. nr. 7043/2016; nr. 19290/2015; n. 1576/2013 in tema di decadenza sulla domanda di rivalutazione contributiva L. n. 113 del 1985, ex art. 9; 01/03/2010, n. 4896 in tema di decadenza dalla prestazione della indennità di maternità per le lavoratrici agricole; Cass. SU 12718/2009) che l’obbligo dell’INPS, ai sensi del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, u.c., di indicare ai richiedenti le prestazioni, nel comunicare il provvedimento adottato sulla domanda, i gravami che possono essere proposti, gli organi ai quali debbono essere presentati ed i relativi termini e di precisare, altresì, i presupposti ed i termini per l’esperimento dell’azione giudiziaria non interferisce sulla decorrenza del termine di decadenza.

I precedenti citati hanno superato il diverso orientamento espresso nella pronunzia di questa Corte nr. 21595/2004, seguita poi da Cass. nr. 27672/2005, in cui si era affermato, in ragione di una interpretazione costituzionalmente orientata, che la mancanza di un provvedimento esplicito dell’Inps sulla domanda ovvero l’omissione nel provvedimento delle indicazioni prescritte del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, comma 5, impediscono il decorso del termine di decadenza previsto dallo stesso articolo.

Il principio era stato già limitato nella sua portata nell’arresto di questa Corte nr. 25670/2007, dove si era affermata la sua inapplicabilità ove il silenzio dell’INPS riguardasse non la domanda della prestazione (silenzio-rifiuto sulla domanda) ma la decisione sul ricorso amministrativo (silenzio rifiuto sul ricorso).

Successivamente le sezioni Unite (sentenza del 29/05/2009, n. 12718) hanno precisato che il citato art. 47, individua nella “scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo” la soglia oltre la quale la presentazione di un ricorso tardivo (pur restando rilevante ai fini della procedibilità dell’azione giudiziaria) non consente lo spostamento in avanti del dies a quo per il computo del termine di decadenza; tale disposizione, per configurarsi come norma di chiusura, deve trovare applicazione tanto nel caso di mancanza di un comportamento esplicito sulla domanda dell’assicurato che in quello di omissione delle indicazioni di cui al citato art. 47, comma 5.

A tale riguardo si è valorizzata la esigenza di impedire qualsiasi sforamento del termine decadenziale, previsto nell’interesse pubblico e perciò indifferente alle condotte tanto del privato che dell’ ente previdenziale.

Le Sezioni Unite hanno nella pronunzia citata altresì evidenziato che diverse conclusioni non possono trovare fondamento nelle prescrizioni della L. n. 241 del 1990 e che la norma dell’art. 3 della legge suddetta – nella parte in cui dispone che in ogni atto da notificare devono essere indicati il termine e l’autorità cui ricorrere- va inquadrata tra le misure di tipo organizzativo volte ad assicurare una amministrazione trasparente ed efficiente e non tra quelle dirette ad incidere sulla validità degli atti emanati.

Il quarto motivo del ricorso è all’evidenza inammissibile, in quanto dichiaratamente diretto all’esame, non consentito in questa sede di legittimità, delle condizioni di merito della domanda.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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