Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12789 del 22/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/05/2017, (ud. 11/04/2017, dep.22/05/2017),  n. 12789

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10367-2016 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA MONTE ZEBIO

30, presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, rappresentato e

difeso dall’avvocato CARLO CIABATTI;

– ricorrente –

contro

ACQUEDOTTO PUGIAESE SPA AQP, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FELICE GROSSI GONDI,

62, presso lo studio dell’avvocato CARLO SEBASTIANO FOTI

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE AGNUSDEI;

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MICHELE ORSOGNA;

– controricorrenti –

contro

COMUNE DI CASALVECCHIO DI PUGLIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1696/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 29/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/04/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

rilevato che A.G. ha presentato ricorso per cassazione avverso sentenza 21-29 ottobre 2015 della Corte d’appello di Bari, che ha rigettato il suo appello avverso sentenza n. 10/2011 del Tribunale di Lucera, la quale aveva respinto le domande da lui proposte avverso C.L., Acquedotto Pugliese S.p.A. e il Comune di Casalvecchio di Puglia in relazione a uno scarico fognario che sarebbe stato a servizio di un immobile di proprietà dell’attuale ricorrente e che pertanto avrebbe dovuto essere ripristinato, e che invece avrebbe apportato danni a quest’ultimo;

rilevato che il ricorso propone un unico motivo, e che si difendono con controricorso C.L. e con altro controricorso Acquedotto Pugliese S.p.A., non difendendosi invece l’intimato Comune di Casalvecchio di Puglia; rilevato che il ricorrente ha depositato altresì memoria;

rilevato che il motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione di norme di diritto ovvero dell’art. 50 del Regolamento Edilizio del Comune di Casalvecchio di Puglia, per cui i luoghi per gli scarichi pubblici sono stabiliti dal tecnico comunale e ne viene data indicazione nella licenza concessa ai sensi dell’art. 6 dello stesso Regolamento: nel caso in esame, invece, non vi sarebbe stata alcuna indicazione nella concessione edilizia;

rilevato che la corte territoriale ha fondato la sua pronuncia su due rationes decidendi: in primo luogo ha qualificato inammissibile l’appello “perchè non contiene una adeguata critica alla sentenza di primo grado idonea a confutarne il contenuto”, in considerazione dell’insegnamento della giurisprudenza di questa Suprema Corte (viene richiamata Cass. sez. 3, 18 giugno 2015 n. 12606) per cui, in sintesi, l’appellante deve criticare la motivazione della sentenza impugnata nella parte idonea a reggere il decisum, incorrendo altrimenti in una acquiescenza tacita, cioè ponendo in essere un atto incompatibile con la volontà di avvalersi del mezzo di impugnazione: e in particolare rileva la corte che il giudice di prime cure aveva attribuito valore decisivo alla mancanza di una richiesta di allaccio del nuovo fabbricato realizzato dall’attore in sostituzione di quello preesistente, in forza della concessione edilizia rilasciata nel 1997, al riguardo nulla però avendo dedotto l’appellante (motivazione, pagine 4s.); e in secondo luogo (motivazione, pagine 5s.) la corte territoriale ha scrutinato l’appello anche nel merito, giungendo a disattenderlo;

rilevato che delle due rationes decidendi il ricorrente ha affrontato soltanto la seconda (e peraltro, si nota per inciso, argomentando su un piano direttamente fattuale), per cui il ricorso patisce inammissibilità per difetto di interesse dell’unico motivo in carenza di un ulteriore motivo attinente alla prima ratio decidendi (cfr. Cass. sez.3, 7 novembre 2005 n. 21490; Cass. sez.3, 11 gennaio 2007 n. 389; Cass. sez. 3, 5 giugno 2007 n. 13070; Cass. sez. lav., 11 febbraio 2011 n. 3386; Cass. sez. 3, 14 febbraio 2012 n. 2108; S.U. 29 marzo 2013 n. 7931; Cass. sez. L, 4 marzo 2016 n. 4293);

ritenuto in conclusione che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente a rifondere le spese, come liquidate in dispositivo, a ciascuno dei due controricorrenti;

ritenuto che sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, stesso art..

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese processuali, per ciascuno dei quali liquidate in complessivi Euro 6065, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2017

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