Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13243 del 25/05/2017
Cassazione civile, sez. VI, 25/05/2017, (ud. 20/04/2017, dep.25/05/2017), n. 13243
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12550-2016 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente –
contro
I.C.M. S.R.L., – C.F. (OMISSIS), in persona del legale
rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR
presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato
MAURIZIO VILLANI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 805/24/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE DI BARI – SEZIONE DISTACCATA DI LECCE, depositata il
14/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 20/04/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.
Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del
Presidente e del Relatore.
Fatto
RILEVATO
che:
Con sentenza in data 17 febbraio 2015 la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 540/3/10 della Commissione tributaria provinciale di Lecce che aveva accolto il ricorso della I.C.M. srl unipersonale contro l’avviso di accertamento per il recupero di ritenute d’acconto non operate e non versate su redditi da capitale relativi ad utili distribuiti nel 2003, derivando l’atto impositivo impugnato da un altro avviso di accertamento IRAP, IRES ed altro, IVA ed altro per la stessa annualità fiscale, che era stato separatamente impugnato dalla società contribuente medesima. La Commissione tributaria regionale, nella parte che rileva, osservava in particolare che doveva essere confermata la statuizione della CTP circa l’esistenza delle operazioni di cui alle fatture passive oggetto della ripresa fiscale (specificamente quelle emesse dalla FERSAL e dalla USIS srl), avendo la società contribuente adeguatamente contro provato gli indizi addotti dall’Ente impositore a sostegno della propria tesi dell’inesistenza quantomeno soggettiva di tali operazioni.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione 1′ Agenzia delle entrate deducendo un motivo unico.
Resiste con controricorso la società contribuente.
Diritto
CONSIDERATO
che:
Con l’unico mezzo dedotto – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – l’Agenzia fiscale ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, art. 2697 c.c. poichè la CTR ha erroneamente affermato l’incombenza dell’onere probatorio del diritto alla detrazione dell’IVA all’Ente impositore, piuttosto che al contribuente.
La censura è infondata.
Va infatti ribadito che “In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015, Rv. 634233 – 01).
Il giudice di appello ha fatto corretta applicazione di tale principio, puntualmente, ancorchè sinteticamente, riscontrando sia le prove indiziarie allegate dall’Agenzia fiscale sia, più specificamente, quelle a riprova date dalla società contribuente rispetto ai rapporti contrattuali oggetto della ripresa fiscale ed in particolare a quelli con la FERSAL e con la USIS srl, non limitando affatto, come sostiene la ricorrente, la propria valutazione alla mera regolarità formale della contabilità della verificata (fatturazione/registrazione), ma ampliandola anche con un preciso riferimento ai mezzi di pagamento ed alla certificazione pubblica inerente le opere edili de quibus, nonchè alle prestazioni fatturate dal legale e dal consulente del lavoro.
A ben vedere dunque lo sviluppo della censura in realtà non configura il vizio di legittimità dedotto, bensì critiche, anche a-specifiche, alle valutazioni di merito della sentenza impugnata, così ponendosi tuttavia in chiaro contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015). Per altro verso va ancora osservato il difetto di autosufficienza del mezzo dedotto dall’agenzia fiscale, poichè al di là delle ragioni di diritto addotte in astratto, non vi è la puntuale allegazione delle ragioni di fatto per le quali le fatture in contestazione debbano considerarsi “soggettivamente inesistenti”.
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714 – 01).
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna l’agenzia fiscale ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600 oltre Euro 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 20 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2017