Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14505 del 09/06/2017
Cassazione civile, sez. II, 09/06/2017, (ud. 23/02/2017, dep.09/06/2017), n. 14505
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 1394-2013 proposto da:
C.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
PARIOLI 77, presso lo studio dell’avvocato PAOLO COLOSIMO, che la
rappresenta e difende giusta procura speciale autenticata il
13.2.2017 per dottor B.F. Notaio in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CA.MA.RO.RO., (OMISSIS) in proprio ed in qualità di
rappresentante di G.T.A. (OMISSIS), entrambe eredi
di G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA
FREZZA 59, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MIRIGLIANI, che
la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1109/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,
depositata il 31/10/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
23/02/2017 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;
udito l’Avvocato MARCO GIULIANI, con delega dell’Avvocato PAOLO
COLOSIMO difensore della controricorrente.
Udito il p.m. in persona del Sostituito Procuratore Generale Dott.
RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità della
procura dell’avvocato Colosimo, per l’inammissibilità del ricorso
ex art. 366 c.p.c., per la condanna aggravata alle spese.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 31 ottobre 2011, ha accolto l’appello proposto da Ca.Ma.Ro. ved. G., in proprio e nella qualità di rappresentante di G.T.A., avverso la sentenza del Tribunale di Catanzaro in data 28 settembre 2003 e nei confronti di C.A..
1.1. Il Tribunale aveva condannato le eredi G. a pagare l’importo di Euro 85.164,59 oltre interessi e rivalutazione, a saldo dei lavori eseguiti dall’impresa C. sia in esecuzione del contratto di appalto 12 febbraio 1985, sia in esecuzione di richieste successive formulate dal committente G.G..
2. La Corte d’appello, adita in via principale dalle eredi G. e in via incidentale da C.A., ha ritenuto fondata l’eccezione di pagamento proposta dalle eredi G. nonchè la domanda riconvenzionale di restituzione dei maggiori importi corrisposti, avendo accertato a mezzo CTU che, a fronte di pagamenti per complessivi Euro 608.990,47, l’impresa C. aveva eseguito lavori per Euro 535.702,20. Le eredi G. vantavano un credito pari ad Euro 73.288,27, oltre interessi dalla domanda e maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.A. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso Ca.Ma.Ro. in proprio e nella qualità di rappresentante di G.T.A..
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, e si lamenta l’incompletezza dell’accertamento effettuato dal CTU nominato dalla Corte d’appello, carente di riscontri fotografici e di ricognizione diretta, in loco, dei lavori eseguiti ai fini della verifica della loro consistenza e qualità, rilievo che non era stato effettuato neppure dal CTU nominato dal Tribunale, che si era limitato a sopralluoghi non decisivi. Il deficit istruttorio non aveva consentito il confronto dialettico tra le parti, così pregiudicando il diritto di difesa.
1.2. La doglianza è inammissibile.
La denunciata incompletezza dell’accertamento effettuato dal CTU è innanzitutto carente sotto il profilo dell’autosufficienza, poichè il ricorso non riporta il testo dell’elaborato, ed è inoltre priva di decisività, in quanto la Corte d’appello ha utilizzato la CTU rinnovata in appello ai fini della decisione, il che implica un giudizio di idoneità della stessa CTU a soddisfare le esigenze istruttorie (ex plurimis, Cass. 30/07/2010, n. 17915).
2. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1657 c.c. nonchè vizio di motivazione, e si contesta che la Corte d’appello non aveva tenuto conto dei prezzi previsti nel contratto, che avrebbero dovuto trovare applicazione quanto meno per le opere contrattuali, ed aveva recepito l’operato del CTU che aveva effettuato ribassi non giustificati.
2.1. La doglianza è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto la ricorrente non riporta il testo del contratto nè l’elaborato del CTU utilizzato dal giudice d’appello, e quindi non mette questa Corte in condizione di controllare la correttezza della decisione e la sufficienza della motivazione.
3. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo. Non ricorrono le condizioni per dare seguito alla richiesta del Sostituto Procuratore generale di condanna della ricorrente principale per responsabilità.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 febbraio 2017.depo
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2017