Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14916 del 15/06/2017

Cassazione civile, sez. II, 15/06/2017, (ud. 15/03/2017, dep.15/06/2017),  n. 14916

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20721/2012 proposto da:

P.R., G.C.I., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA GAETA 19, presso lo studio dell’avvocato

DANIELA TROTTA, rappresentate e difese dall’avvocato GIUSEPPE

MARSALA FANARA;

– ricorrenti –

contro

A.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VIGNA

MURATA 1, presso lo studio dell’avvocato CORRADO CARRUBBA, che lo

rappresenta e difende;

L.D.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II

33, presso lo studio dell’avvocato ELIO LUDINI, rappresentato e

difeso dall’avvocato VINCENZO FALLICA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 206/2012 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 15/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/03/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato TUCCI Bruno, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato MARSALA FANARA Giuseppe, difensore delle ricorrenti

che ha chiesto di riportarsi agli scritti depositati;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento 2^ motivo del

ricorso.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Palermo, con sentenza depositata il 12 maggio 2009, rigettò le domande proposte da G.C.I., L.B.L. e P.R., nei confronti di A.D. e di L.D.R..

Il Tribunale aveva disatteso la domanda avanzata nei confronti dell’ A., escludendo la legittimazione passiva di costui, stante che la proprietaria dell’immobile sul quale erano state realizzate le opere contestate con la citazione, era la L.D..

Inoltre, L.B.L. non aveva convenuto in giudizio la predetta L.D..

Si era poi dato atto che le opere di recinzione contestate dalla P. erano state rimosse. Le piante ornamentali, poste sul terrazzo della L.D., non erano state considerate di ostacolo al diritto di veduta delle attrici. La tettoia in legno messa in opera dalla L.D. sul proprio terrazzo, valorizzandosene la precarietà e la funzione di tutela della riservatezza, era stata giudicata non lesiva delle distanze di legge.

La Corte d’appello di Palermo, con sentenza depositata il 15 febbraio 2012, rigettò l’impugnazione avanzata dalla G. e dalla P..

Appare utile, nei limiti del perimetro decisorio di legittimità, riprendere, in estrema sintesi, gli argomenti della sentenza d’appello.

Occorre precisare che la posizione di A.D., definita con la sentenza d’appello, non è oggetto del presente giudizio di cassazione, non formando oggetto di censura il capo della sentenza di secondo grado che lo riguarda (condanna alle spese ai danni delle attrici-appellanti).

Quanto al gazebo messo in opera dalla L.D., la Corte territoriale evidenziò che lo stesso risultava conforme alle prescrizioni comunali e che l’appartamento di proprietà della G. trovavasi collocato al secondo piano, esattamente sovrastante rispetto a quello della L.D., posto al primo piano. In ordine alla predetta struttura, collocata ad 85 cm dall’intradosso dei balconi della G., la Corte palermitana ritenne applicabile il “principio, più volte ribadito dalla Suprema Corte, secondo cui la normativa in materia di distanze legali, in ambito condominiale non può trovare rigida applicazione, dovendosi tenere conto, avuto riguardo alla specificità dello stato dei luoghi, della reciproca compatibilità dei diritti e delle facoltà spettanti ai singoli condomini (cfr. Cass. n. 22838/2005 e Cass. n. 6546/2010)”.

Quanto alle doglianze esposte dalla P., il cui appartamento, risultava posto al primo piano di altre scala del medesimo edificio, la Corte locale precisò che l’opera collocata sul terrazzo della L.D. non poteva in alcun modo pregiudicare il diritto di veduta del medesimo; “il balcone di tale appartamento dista dalla via (OMISSIS) ml 57,00, rispetto alla quale gode di una veduta meramente laterale limitata per la notevole distanza dalla pubblica via nonchè a causa del muretto separatore presente sullo stesso balcone e provvisto di pannelli in ferro a griglie romboidali”.

Infine la sentenza, comparando gli opposti interessi, afferma che “la mera violazione delle distanze legali non può, certamente, ritenersi prevalente rispetto al diritto alla privacy ed alla sicurezza che compete alla L.D.”.

Avverso i capi della sentenza d’appello concernenti la posizione di Roberta L.D. ricorrono per cassazione T.C.I.G. e P.R., illustrando tre motivi di censura.

Resiste con controricorso L.R..

Si è costituito, altresì in giudizio con controricorso Dario A.. All’approssimarsi dell’udienza hanno depositato memorie illustrative i ricorrenti e la controricorrente L.D..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In preliminarietà deve chiarirsi che la costituzione con controricorso di A.D. è inammissibile, poichè il ricorso non riguarda la sua posizione.

2. Con il primo motivo le ricorrenti prospettano violazione degli articoli 905 e 907 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; nonchè violazione dell’art. 115 c.p.c., erronea determinazione delle risultanze istruttorie con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La veduta che si gode dalla terrazza della P., al contrario di quel che si afferma in sentenza, è diretta, e non laterale, tanto che la CTU, a pagina 5, così si esprime: “il balcone a livello di proprietà P. e invece posto in modo parallelo rispetto alla via (OMISSIS) e quindi è in posizione ortogonale rispetto alla corsia d’accesso condominiale”. Dall’opera realizzata dalla L.D. la predetta subisce il pregiudizio di non poter più godere del diritto di veduta sulla pubblica via; pregiudizio che si ripercuote anche sul valore dell’immobile.

Il manufatto messo in opera dalla controparte, come indicato in sentenza, si trova è soli 85 cm di distanza dei balconi della G.. La giurisprudenza di legittimità citata dalla sentenza impugnata non risulta pertinente al caso, in quanto, “nella fattispecie in esame la violazione delle distanze legali non ha ad oggetto l’uso del bene comune, bensì la struttura realizzata dal singolo condomino L.D. sul terrazzo di sua esclusiva proprietà, al fine di accrescere la superficie coperta del suo appartamento”. Quindi, deve ritenersi errato il giudizio di comparazione, peraltro cripticamente espresso dalla Corte palermitana, in quanto gli interessi in gioco riguardano le proprietà esclusive di due singoli condòmini, senza che assumono rilievo parti comuni dell’edificio.

Certamente fuori luogo è manifestamente erronea deve poi ritenersi, per le ricorrenti, l’affermazione contenuta in sentenza, secondo la quale il diritto al rispetto delle distanze legali cederebbe innanzi al diritto alla privacy ed alla sicurezza.

La struttura lignea messa in opera dalla L.D., siccome accertato dal CTU, “non può considerarsi precaria essendo non facilmente amovibile e non possedendo le caratteristiche di provvisorietà. Inoltre, la breve distanza tra l’estradosso della copertura ed il piano di calpestio dei balconi di proprietà G., lede i diritti di quest’ultima”.

Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Affermano le ricorrenti che sia il Tribunale che la Corte d’appello avevano omesso di pronunciarsi in ordine alla denunziata violazione del regolamento condominiale. Trattasi del regolamento depositato a rogito notarile il 7 dicembre 1953, tuttora vigente, di cui una copia era stata depositata in giudizio. L’art. 3, lett. e), del detto regolamento dispone che: “pur essendo investiti di tutti i privilegi della proprietà rimane vietato ai condomini erigere nuove costruzioni ed in genere fare atti od opere che siano di danno all’edificio, impedire la visuale, alterare l’estetica dello stabile, arrecare comunque danno o molestia agli altri condomini”; e la successiva lettera h), essere parimenti vietato: “erigere nuove costruzioni o casotti od altro sui balconi od altrove sia pure di carattere provvisorio, formando truogoli, senza il preventivo permesso dell’amministratore della casa e quando occorre delle competenti autorità comunali”.

3. Gli esposti motivi, che è opportuno esaminare contestualmente stante la intima connessione delle questioni trattate, meritano di essere accolti per quanto di ragione.

3.1. Si è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio di diritto secondo il quale in tema di condominio le norme sulle distanze, rivolte fondamentalmente a regolare con carattere di reciprocità i rapporti fra proprietà individuali, contigue e separate, sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purchè siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultime non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulla proprietà, quando i diritti o le facoltà da questa previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal condomino secondo i parametri previsti dall’art. 1102 c.c. (applicabile al condominio per il richiamo di cui all’art. 1139 c.c.), atteso che, in considerazione del rapporto strumentale fra l’uso del bene comune e la proprietà esclusiva, non sembra ragionevole individuare, nell’utilizzazione delle parti comuni, limiti o condizioni estranei alla regolamentazione e al contemperamento degli interessi in tema di comunione (Sez. 2, n. 7044 del 14/4/2004, Rv. 572036). Ulteriormente chiarendosi che nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 c.c., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale (Sez. 2, n. 6546 del 1873/2010, Rv. 611805).

A tale regola ermeneutica ha dichiarato di volersi rifare la sentenza della Corte panormita.

Tuttavia, al fine di scongiurare tralatizie evocazioni della regola sopra enunciata, può essere d’utilità rimarcarne la giustificazione normativa: dal combinato disposto degli artt. 1102 e 1139 c.c., deriva il diritto del singolo condomino di godere della cosa comune più intensamente, anche apportando, se del caso, “le modificazioni necessarie”, purchè “non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”. Di conseguenza un tal regime finisce per prevalere sulla disciplina regolante le proprietà contigue.

Andando al caso al vaglio, intanto la G. è tenuta a sopportare il manufatto della L.D., posto a distanza non regolamentare in relazione al diritto di veduta in appiombo, in quanto il pregiudizio derivi da un uso più intenso delle parti comuni. Mancando una tale condizione legittimante non v’è ragione di comprimere il diritto del proprietario al rispetto della veduta in appiombo esercitata.

Da quel che è dato qui sapere la L.D. ha posto in essere un manufatto sulla terrazza di sua esclusiva proprietà; nel mentre non consta che abbia, allo stesso tempo, fatto un uso più intenso della cosa comune. Di conseguenza il principio di diritto richiamato dalla sentenza della Corte locale non s’addice alla fattispecie.

3.2. Quanto alla consistenza del manufatto deve osservarsi che dall’accertamento del CTU (passi riportati in ricorso) consta che lo stesso non può qualificarsi nè provvisorio, nè precario, trattandosi di solida struttura lignea ben ancorata.

Sul punto si è più volte in questa sede chiarito che la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa (Sez. 2, 15972, 20/07/2011, Rv. 618711; Sez. 2, n. 20574, 28/09/2007, Rv. 599914).

3.3. Deve, poi, stigmatizzarsi siccome erroneo l’immotivato asserto della Corte locale, sopra ripreso testualmente, secondo il quale il rispetto delle distanze legali cederebbe in presenza di esigenze di riservatezza e di non meglio specificata sicurezza.

La normativa codicistica, siccome integrata dai regolamenti locali, si fonda sulla necessità di tutelare plurime esigenze, nel reciproco contemperamento, fra le quali non è estranea quella della riservatezza. Trattasi di un valore, quindi, già tenuto in conto dal legislatore nello stabilire la disciplina.

La pretesa d’introdurre limitazioni e deroghe non legislativamente previste assumendone l’utilità al fine di assicurare la riservatezza costituisce un evidente errore ermeneutico, in quanto assegna alla esigenza in parola, già comparata dal legislatore, un ruolo d’ulteriore deroga esterna non previsto dalla legge.

Ancor più censurabile deve ritenersi l’affermazione ove con la stessa si sia inteso evocare la disciplina di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e successive modifiche, che regola la protezione del trattamento dei dati sensibili, quale che ne sia la fonte ed il supporto, e che qui non presenta interferenze di materia.

3.4. La prospettazione della P., tuttavia, non può trovare in questa sede accoglimento. La motivazione resa dal Giudice d’appello, corroborata dalle risultanze della CTU, che esclude la effettività della lesione, non è censurabile in cassazione.

3.5. Il Giudice dl rinvio riesaminerà la questione afferente alla posizione della G., facendo applicazione dei principi sopra enunciati ed, inoltre, tenendo conto del regolamento condominiale indicato in ricorso.

Il terzo ed ultimo motivo, con il quale le ricorrenti deducono la violazione dell’art. 91 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, resta, ovviamente assorbito.

Il Giudice del rinvio regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

Accoglie il primo ed il secondo motivo, per quanto di ragione e dichiara assorbito il terzo; cassa e rinvia alla Corte d’appello di Palermo, altra sezione, anche per le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017

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