Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26868 del 29/11/2013
Civile Sent. Sez. 2 Num. 26868 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO
equa riparazione
SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE,
Ministro
pro
tempore,
rappresentato
in persona del
e
difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici
in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– ricorrente
–
contro
ULIANO Fabio (LNU FBA 57M02 D612B) e ULIANO Franca (LNU FNC
47P69 D612A), rappresentati e difesi, per procura speciale
a margine del controricorso, dall’Avvocato Francesco
Manconi, elettivamente domiciliati in Roma, via Pierluigi
da Palestrina n. 19, presso lo studio dell’Avvocato Luigia
Lazzaro;
Data pubblicazione: 29/11/2013
- controricorrenti avverso il decreto della Corte d’appello di Genova
depositato in data 27 luglio 2012.
Udita
la relazione della causa svolta nella pubblica
Stefano Petitti;
sentito l’Avvocato Francesco Manconi;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Luigi Salvato, che ha chiesto il rigetto del
ricorso.
Ritenuto che, con ricorso depositato in data 12 marzo
2012 presso la Corte d’appello di Genova, Uliano Fabio e
Uliano Franca chiedevano la condanna del Ministero
dell’economia e delle finanze al pagamento del danno non
patrimoniale derivato dalla irragionevole durata di un
giudizio iniziato dinnanzi al TAR per la Toscana, con
ricorso depositato il 9 maggio 1997, definito con sentenza
depositata in data 28 novembre 2011;
che l’adita Corte d’appello riteneva che il ritardo
indennizzabile fosse di dodici anni e sei mesi, stimata
ragionevole per il giudizio presupposto una durata di due
anni, in relazione ai quali riconosceva a ciascuno dei
ricorrenti un indennizzo di euro 8.000,00, computato, in
considerazione della ritardata presentazione delle istanze
di prelievo, adottando il criterio di 500,00 euro per i
udienza del 5 novembre 2013 dal Consigliere relatore Dott.
primi nove anni di ritardo e di 1.000,00 euro per ciascuno
degli anni successivi, oltre agli interessi legali dalla
data della domanda al saldo;
che per la cassazione di questo decreto il Ministero
base di due motivi;
che gli intimati hanno resistito con controricorso.
Considerato
che il Collegio ha deliberato l’adozione
della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo di ricorso, denunciando
violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e
dell’art. 6, par. 1, della
CEDU,
l’amministrazione
ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia
ritenuto ragionevole per il giudizio presupposto una durata
di due anni in luogo di quella ordinaria di tre anni,
nonché della eccessività dell’indennizzo, segnatamente per
il riconoscimento di euro 1.000,00 per ciascuno degli anno
successivi ad otto;
che con il secondo motivo il ricorrente si duole del
rigetto della eccezione di prescrizione;
che il primo motivo è, innanzitutto, ammissibile,
atteso che, pur se il Ministero ha denunciato vizio di
violazione di legge, ciò di cui esso in concreto si duole è
un vizio di motivazione, ed è noto che «in tema di ricorso
dell’economia e delle finanze ha proposto ricorso sulla
per cassazione, la configurazione formale della rubrica del
motivo di gravame non ha contenuto vincolante per la
qualificazione del vizio denunciato, poiché è solo la
esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che
contenuto della censura. (Fattispecie relativa a ricorso in
cui, a fronte della evocazione, nella rubrica dei motivi,
dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per vizio di
motivazione, il contenuto delle contestazioni concerneva
anche il vizio di violazione e falsa applicazione di norme
di diritto)»(Cass. n. 7981 del
2007;
Cass. n. 14026 del
2012, relativa ad un caso in cui il ricorso aveva
erroneamente indicato in rubrica l’art. 112 cod. proc.
civ., relativo al vizio di omessa pronuncia, ma in realtà
si doleva della carenza assoluta di motivazione sul punto
controverso);
che il motivo è fondato solo in parte;
che, infatti, la statuizione della Corte d’appello
concernente la determinazione in due anni della durata
ragionevole del giudizio presupposto è del tutto carente di
motivazione, essendosi la Corte limitata ad affermare che
la durata complessiva del processo «ha ecceduto per 12 anni
e mezzo il periodo ritenuto di congrua durata per il
procedimento amministrativo (anni 2)»;
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chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il
che in contrario deve rilevarsi che il giudizio
amministrativo non si sottrae agli ordinari criteri di
durata ragionevole del processo, stabiliti in tre anni per
il giudizio di primo grado e in due anni per quello di
riparazione di discostarsi da tali parametri in aumento o
in riduzione, ma sulla base di una adeguata motivazione,
nella specie del tutto inesistente;
che il motivo è invece infondato quanto alla censura
concernente la determinazione dell’indennizzo, atteso che
se è vero che l’accertato ritardato deposito della istanza
di prelievo (nel caso di specie la prima istanza di
prelievo è stata presentata nel 2008) costituisce elemento
che vale di per sé a connotare il comportamento processuale
della parte in termini di manifestazione di un non
rilevante interesse alla definizione del giudizio
presupposto (Cass., S.U., n. 28507 del 2005), è altresì
vero che di tale circostanza la Corte d’appello ha tenuto
conto, procedendo alla liquidazione per il periodo
anteriore alla presentazione della istanza di prelievo di
un indennizzo determinato in euro 500,00, per anno di
ritardo, e solo per gli anni di ritardo successivi
ragguagliato ad euro 1.000,00;
che quindi il denunciato vizio non sussiste;
appello, salva la possibilità per il giudice della equa
che il secondo motivo del ricorso è infondato, atteso
che le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 16783
del 2012, hanno affermato che «in tema di equa riparazione
per violazione del termine di ragionevole durata del
giudiziale per ottenere l’equo indennizzo a ristoro dei
danni subiti a causa dell’irragionevole durata del
processo, contenuta nell’art. 4 della legge 24 marzo 2001,
n. 89, con riferimento al mancato esercizio di essa nel
termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della
decisione che ha definito il procedimento presupposto,
esclude la decorrenza dell’ordinario termine di
prescrizione, in tal senso deponendo non solo la lettera
dell’art. 4 richiamato, norma che ha evidente natura di
legge
speciale, ma anche una lettura dell’art. 2967 cod.
civ. coerente con la rubrica dell’art. 2964 cod. civ., che
postula la decorrenza del termine di prescrizione solo
allorché il compimento dell’atto o il riconoscimento del
diritto disponibile abbia impedito il maturarsi della
decadenza; inoltre, in tal senso depone, oltre
all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se
riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà
pratica di accertare la data di maturazione del diritto,
avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata
del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua
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processo, la previsione della sola decadenza dall’azione
determinazione, nonché il frazionamento della pretesa
indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali
che l’operatività della prescrizione in corso di causa
imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultredecennale
che all’accoglimento del primo motivo consegue la
cassazione del decreto impugnato in relazione alla censura
accolta;
che
non essendo
tuttavia necessari
ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.;
che, invero, stabilita in anni tre la durata
ragionevole del giudizio presupposto, la durata
irragionevole da indennizzare è pari ad anni undici e sei
mesi, in relazione ai quali, adottando il criterio di
500,00 euro per i primi sette anni di ritardo, l’indennizzo
spettante a ciascuno dei ricorrenti deve essere determinato
in euro 7.500,00;
che il ministero dell’economia e delle finanze va
dunque condannato al pagamento, in favore di ciascuno dei
ricorrenti, della somma di euro 7.500,00, oltre agli
interessi legali dalla data della domanda al saldo;
che il Ministero deve essere altresì condannato al
pagamento delle spese del giudizio di primo grado, che si
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nella definizione del processo;
liquidano in misura conforme a quella del decreto
impugnato, ferma la già disposta distrazione;
che le spese del giudizio di legittimità possono essere
compensate in considerazione del parziale e limitato
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione;
cassa in relazione alla censura accolta il decreto
impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero
dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore di
ciascuno dei ricorrenti, della somma di euro 7.500,00,
oltre agli interessi legali dalla data della domanda al
saldo; condanna altresì il Ministero al pagamento delle
spese del giudizio di merito, che liquida in euro 900,00,
di cui euro 50,00 per esborsi, euro 400,00 per diritti ed
euro 450,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli
accessori di legge, ferma la già disposta distrazione;
compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Seconda Sezione Civile della Corte suprema di cassazione,
il 5 novembre 2013.
accoglimento del ricorso.