Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16133 del 28/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/06/2017, (ud. 22/05/2017, dep.28/06/2017),  n. 16133

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13006/2010 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

S.F., rappresentato e difeso dagli avv. Raffello Lupi

e dall’avv. Claudio Lucisano, con domicilio eletto in Roma, via

Crescenzio 91, presso lo studio dell’avv. Claudio Lucisano;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

depositata il 25 marzo 2009;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 maggio

2017 dal Consigliere Giuseppe Tedesco.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio (Ctr), che ha accolto l’appello del contribuente contro la sentenza di primo grado, per lui sfavorevole, in relazione a un avviso di accertamento emesso per l’anno 2001, a seguito di mancato perfezionamento della procedura di condono;

che il ricorso è proposto sulla base di due motivi di ricorso, uno per violazione di legge, in particolare della L. n. 289 del 2002, art. 8, commi 3 e 6 e l’altro per vizio di motivazione;

che all’esame dei motivi è bene premettere che, nella narrazione in fatto, la ricorrente precisa:

a) che il contribuente non ha presentato la dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 2001;

b) che in data 13 giugno 2003 aveva presentato istanza di condono L. n. 289 del 2002, ex art. 8;

c) che non aveva effettuato i versamenti integrativi ai fini Irpef e aveva versato solo una minima parte di quanto dovuto a titolo di Iva;

che l’Agenzia delle entrate, nel ricorso per cassazione, assume che tali fatti siano pacifici, ma tale convinzione non sembra trovare conferma nella sentenza, che dà la seguente ricostruzione dei fatti: “il contribuente, per l’anno 2001, eseguiti tutti i versamenti dovuti, non presentava la dichiarazione dei redditi. In seguito all’emanazione della L. n. 289 del 2002, art. 8, il contribuente presentava istanza di condono, compilando i soli quadri riferiti alla dichiarazione dell’anno 2001, con versamento delle relative imposte; non compilando invece in quadro “C” della dichiarazione e, di conseguenza, non versando la relativa imposta che il condono prevedeva”;

che nel ricostruire la vicenda processuale la sentenza prosegue, ribadendo che, a seguito della presentazione della istanza di condono, furono eseguiti tutti i versamenti dovuti, a parte l’Irpef;

che, secondo la Ctr, tale omissione andava considerata avuto riguardo al complessivo comportamento del contribuente e, in conseguenza di tale valutazione, ha ritenuto che l’istanza di condono fosse valida, invitando l’Ufficio a richiedere i versamenti dovuti per il perfezionamento dello stesso;

che la ricostruzione operata dalla Ctr si distacca notevolmente da quella assunta come pacifica dall’Agenzia delle entrate e ciò non può non pregiudicare l’ammissibilità del ricorso, poichè la Corte non è nella condizione di identificare i termini della fattispecie;

che, in disparte tale rilievo, occorre ancora aggiungere che la censura mossa con il motivo in esame attiene al fatto che la Ctr aveva ritenuto valida l’istanza di condono nonostante il “mancato versamento delle somme indicate nella dichiarazione integrativa L. n. 289 del 2002, ex art. 8” (così quesito di diritto), sulla base di considerazione equitative o comunque non metagiuridiche, in una materia nella quale, ovviamente, non vi era spazio per valutazioni del genere; il che è sicuramente vero ma ciò non toglie che, sul punto, la decisione sia comunque conforme a diritto, in quanto nel condono ex art. 8 cit. a cui si riferisce la ricorrente il pagamento non integrale non comporta l’inefficacia del condono, ma solo il recupero delle somme dovute (cfr. Cass. n. 21364/2012);

che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfetarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2017

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