Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19205 del 02/08/2017
Cassazione civile, sez. trib., 02/08/2017, (ud. 08/06/2017, dep.02/08/2017), n. 19205
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9288-2010 proposto da:
D.G., elettivamente domiciliato in ROMA CIRCONVALLAZIONE
CLODIA 6, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MARTIRE, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato BENIAMINO GROPPALI;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 47/2009 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,
depositata il 19/02/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
08/06/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI.
Fatto
RILEVATO
che:
D.G. ricorre per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Lombardia depositata il 19-22009, che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto legittimi alcuni avvisi di accertamento notificati al predetto contribuente per gli anni 1998, 1999 e 2000 in base al cd. redditometro;
l’amministrazione resiste con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO
che:
il primo motivo, che deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, e assume che era carente la motivazione degli avvisi di accertamento, è inammissibile in quanto calibrato, come ben si evince dal quesito di diritto, sugli atti di accertamento anzichè sulla sentenza che costituisce il solo possibile oggetto del giudizio di cassazione;
il secondo motivo, che deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, e assume che non sussisteva la condizione di non congruità del reddito dichiarato per due o più periodi d’imposta, è inammissibile in relazione al quesito di diritto, redatto in mero interpello in ordine alla rilevanza della condizione indicata dalla norma, senza alcun riferimento alla fattispecie concreta e ai suoi elementi di fatto;
il terzo motivo, che deduce l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione della sentenza e la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. in relazione alla valenza probatoria di alcuni documenti, è inammissibile per analoga ragione, dovendosi osservare che: (1) la denuncia di vizio di motivazione non è conclusa dall’apposita sintesi rappresentativa del cd. quesito di fatto; (2) la denuncia di violazione di legge è compendiata in mero interpello, senza alcun riferimento alle emergenze di causa, sull’operatività generale della presunzione di contitolarità di somme depositati in conti correnti cointestati;
il quarto mezzo, che ancora deduce vizi di motivazione e violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., è inammissibile sia nel generico riferimento al valore probatorio di alcuni documenti, sia nel quesito di diritto, di nuovo compendiato in mero interpello circa la rilevanza delle sottoscrizioni di partecipazioni societarie, condizionata alla prova di versamenti nelle casse sociale;
il quinto motivo, che deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 6, non possiede miglior sorte, essendo segnato dalla genericità – ancora una volta del quesito di diritto: il quale, riferendo la necessità di tener conto, nell’accertamento sintetico, dell’ammontare delle deduzioni forfetarie riconosciute ai gestori di carburanti dalla L. n. 448 del 1998, non contiene alcun riferimento alla fattispecie concreta e ai suoi elementi di fatto onde consentire alla Corte di fissare un principio utile a definire il giudizio;
infine il sesto motivo, che deduce l’omessa motivazione della sentenza e la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 5 e 7), e lamenta l’erroneità dell’applicazione delle sanzioni per la presunta mancanza, nel caso di accertamento sintetico, di azione cosciente e volontaria del contribuente tesa a sottrarre reddito all’imposizione, è inammissibile, non risultando che la questione sottostante abbia nei riferiti termini formato oggetto del giudizio di impugnazione avverso gli avvisi di accertamento: la sentenza riferisce che era stata chiesta la disapplicazione delle sanzioni (ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10) in appello, ed è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il potere del giudice tributario di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni è vincolato alla presenza di una domanda del contribuente formulata nei modi e nei termini processuali appropriati; domanda che, dunque, non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello o in quello di legittimità (dí recente, Cass. n. 14402-16); le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, su relazione del cons. Terrusi (est.), il 8 giugno 2017.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017