Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20308 del 23/08/2017
Cassazione civile, sez. VI, 23/08/2017, (ud. 20/06/2017, dep.23/08/2017), n. 20308
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17620-2016 proposto da:
COLLE DI SAN DOMENICO SRL, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato GIUSEPPE NARDIELLO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 546/28/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 25/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 20/06/2017 dal Consigliere Dott. GIULIA IOFRIDA.
Fatto
FATTI DI CAUSA
La Colle di San Domenico srl propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 546/28/2016, depositata in data 25/01/2016, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso per IRES, IRAP ed IVA dovute in relazione all’anno d’imposta 2009, a fronte di recupero a tassazione di anticipazioni infruttifere effettuate dai socio-amministratore, risultato non percettore di redditi, ritenute dall’Ufficio utili extracontabili, – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente.
A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e comma 1, lett. c), avendo l’Ufficio proceduto ad un accertamento induttivo in assenza di gravi irregolarità contabili, con presunzioni “a catena” inammissibili. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta poi la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 2000, dovendo ritenersi, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R., l’atto impositivo non motivato, essendosi l’Ente impositore limitato a fare mero rinvio al processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza. Infine con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 138 c.p.c., essendo stata effettuata la notifica dell’accertamento a mani di impiegato della società “neanche addetto alla ricezione degli atti”.
2. La prima censura è infondata.
Questa Corte ha ribadito (Cass. 23550/2014) che, in tema d’imposte sui redditi, “è legittimo il ricorso all’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d), anche in presenza di una contabilità formalmente corretta ma complessivamente inattendibile, potendosi, in tale ipotesi, evincere l’esistenza di maggiori ricavi o minori costi in base a presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, con conseguente spostamento dell’onere della prova a canto del contribuente”. Questa Corte (Cass,5731/2012) ha già affermato che, in tema di accertamento delle imposte, “il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, consente la rideterminazione dei ricavi e, quindi, dei redditi su base induttiva, facendo ricorso a presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 cod. civ., pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, quando la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile”.
3. Anche la seconda censura, ove ammissibile, malgrado la mancata riproduzione del contenuto essenziale dell’accertamento (Cass.9536/2013), è infondata.
La sentenza ha fatto corretta applicazione dei principio di diritto (Cass.40/7/2015, tra le altre) secondo il quale, in tema di motivazione “per relationem” degli atti d’imposizione tributaria, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione (ne specie, l’avviso di accertamento era stato motivato proprio con riferimento ad un processo verbale di constatazione, precedentemente consegnato in copia, previa sottoscrizione).
4. Il terzo motivo è inammissibile in quanto, posto che nella sentenza impugnata non vi è traccia di questioni concernenti la mancata rituale notifica dell’avviso di accertamento, la ricorrente avrebbe dovuto, ai fini dell’autosufficienza, precisare in quale sede aveva sollevato la relativa eccezione, nei giudizio di merito (cfr. Cass.25546/2006: “Qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga la questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa”; Cass. 5070/2009; Cass. 8206/2016). La ricorrente indica sinteticamente, a pag. 2 dei ricorso per cassazione, di avere sollevato la questione concernente “la nullità della notificazione dell’accertamento non consegnato a mani del legale rappresentante della società” nel ricorso introduttivo (ed a pag. 4 assume di avere, in appello, ribadito “il difetto di notifica dell’avviso di accertamento impugnato”).
5.Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente ai rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.500,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2017.
Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2017