Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21752 del 20/09/2017
Cassazione civile, sez. trib., 20/09/2017, (ud. 28/02/2017, dep.20/09/2017), n. 21752
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16506/2012 R.G. proposto da:
C.A., R.D., R.V., rappresentati e
difesi dall’avv. Giuseppe Cacciato, con domicilio eletto in Roma,
via Marocco 18, presso lo studio Trivoli & Associati;
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,
domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura
Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Lombardia n. 70/49/11, depositata il 13 maggio 2011.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 28 febbraio 2017
dal Consigliere Giuseppe Tedesco;
udito l’avv. Pietro Garofoli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Sorrentino Federico, che ha concluso chiedendo il rigetto
del ricorso.
Fatto
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Lombardia (Ctr), sull’appello dell’Agenzia delle entrate, ha riformato parzialmente la sentenza di quella provinciale, interamente favorevole per il contribuente, con la quale erano stati annullati gli avvisi di accertamento emessi sulla base di studi di settore per gli anni 2000, 2001 e 2002.
Nel considerare il complesso delle giustificazioni fornite dal contribuente nel processo, proseguito in grado d’appello dagli eredi di lui nel frattempo deceduto, la Ctr ritenne quelle stesse giustificazioni solo in parte idonee a dare ragione dello scostamento dei ricavi rispetto a quelli derivanti dallo studio.
Contro la sentenza gli eredi del contribuente propongono ricorso per cassazione sulla base di sei motivi, cui aggiungono la richiesta di estendere alle annualità oggetto degli avvisi il giudicato favorevole per il contribuente formatosi per l’anno 2003, essendo identici i fatti giustificativi della pretesa impositiva e identiche le eccezioni mosse contro la pretesa impositiva.
L’Agenzia delle Entrate reagisce con controricorso.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54.
Secondo i ricorrenti gli studi settore non sono sufficienti a fondare una ricostruzione presuntiva del reddito, in assenza di altri elementi anche di natura indiziaria che ne confermino le risultanze.
Il motivo è infondato. La valutazione espressa su questo punto dalla Ctr, là dove ha rilevato che, nella specie, gli “accertamenti non sono stati una diretta conseguenza dell’applicazione degli studi, sono stati preceduti dalla procedura di adesione in cui il contribuente ha avuto modo di chiarire le proprie ragioni e di produrre ulteriore documentazione a supporto delle proprie affermazioni”, è perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Suprema corte ed è perciò esente da censure (Cass., S.U., nn. 26635, 26636, 26637, 26638 del 2009).
E’ stato anche chiarito che il principio dell’obbligatorietà del contraddittorio produce effetti anche sulla motivazione dell’avviso di accertamento, la quale per essere congrua, non può esaurirsi nel mero rilievo del predetto scostamento, ma deve dimostrare la concreta applicabilità dello studio di settore e deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni del contribuente: “è da questo più complesso quadro che emerge la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente” (Cass. n. 19767/2013; conf. Cass. n. 6929/2013; Cass. n. 12558/2010).
E in effetti, nell’ambito di questo motivo, la sentenza è censurata anche per non avere rilevato la carenza di motivazione degli atti impositivi sotto questo profilo.
Ma per questa parte il motivo è inammissibile. Nella sentenza non si leggono affermazioni che contrastino con il principio di cui sopra, per cui la relativa valutazione andava semmai censurata sotto il profilo della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio: il fatto che il contribuente era in condizione di dipendenza economica nei confronti di un unico cliente dal quale promanava circa il 90% del fatturato e che imponeva prezzi il cui aumento non copriva neanche l’inflazione.
Al riguardo la Commissione tributaria regionale ha ritenuto trattarsi di fatto non provato, ma la motivazione al riguardo è realmente insufficiente, perchè a sostegno della contestazione il contribuente aveva prodotto documenti (trascritti nel ricorso in ossequio al principio di autosufficienza) che la Ctr non ha considerato. Incorre pertanto nel dedotto vizio di motivazione anche l’ulteriore affermazione della sentenza, secondo cui la situazione di dipendenza dall’unico cliente risultava considerata dallo studio. Ed invero l’aspetto controverso non riguardava la misura percentuale del fatturato riconducibile al committente principale, ma l’esiguità del margine che quel committente imponeva nel caso di specie.
Il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio: il fatto che l’attività di assemblaggio veniva subappaltata a terzi e rifatturata al cliente, pressochè esclusivo, senza ricarico (art. 360 c.p.c., n. 5).
Il motivo è infondato. Seppure la Ctr abbia anche in questo caso argomentato sulla base del rilievo che tale modalità di svolgimento dell’attività di impresa era stata considerata dallo studio, risulta dal seguito della sentenza che poi ha tenuto conto di tale dato, riducendo il maggiore imponibile rispetto a quello iniziale. In verità, sotto questo profilo, il ricorrente si duole del fatto che la sentenza aveva fatto proprio il quantum proposto dall’Ufficio in sede di procedimento per adesione; ciò non toglie, però, che la Ctr abbia comunque operato una autonoma valutazione sul punto, dando anche conto delle ragioni per cui analoga riduzione non fu operata nel 2002.
Il che significa che, sotto la veste del vizio di motivazione, i ricorrenti censurano in realtà il merito della valutazione compiuta dalla Ctr, proponendone una alternativa e chiedendo perciò nella sostanza una inammissibile rivisitazione del procedimento decisorio.
Le medesime considerazioni debbono farsi per il quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso, con i quali si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione a) sul fatto che i beni strumentali “l’autoveivcolo Renault e la cabina di verniciatura a velo d’acqua” non erano utilizzate nell’attività d’impresa; b) sulla misura dell’apporto lavorativo del collaboratore familiare all’impresa familiare; c) sulla rilevanza per il 2002 dell’asserito maggior consumo di energia elettrica, smentito con prova documentale dal contribuente.
Anche in relazione a tale aspetti, infatti, la sentenza ha dato ragione della propria decisione, dando conto della differenza di valutazione per quanto riguardava l’anno di imposta 2002, così come ha dato conto del proprio convincimento in ordine al significato attribuito ai consumi di energia elettrica.
I ricorrenti evidenziano infine che “identico processo fra le stesse parti, avente ad oggetto la presunzione di maggiori ricavi da studi di settore per il periodo di imposta 2003, si è concluso con sentenza di primo grado di accoglimento del ricorso del contribuente, passata ingiudicato. Ciò al fine di richiedere l’estensione del giudicato, rilevabile anche d’ufficio”.
Tale richiesta va disattesa. Secondo il costante orientamento di questa Suprema corte il giudicato relativo a un periodo di imposta non è idoneo a far stato per i successivi o i precedenti in via generalizzata ed aspecifica, atteso che una simile efficacia va riconosciuta solamente a quelle situazioni relative a qualificazioni giuridiche o ad altri eventuali elementi preliminari rispetto ai quali possa dirsi sussistente un interesse protetto avente carattere di durevolezza nel tempo, non estendendosi a tutti i punti che costituiscono antecedente logico della decisione e, in particolare, alla valutazione delle prove e alla ricostruzione dei fatti (Cass. n. 22941/2013; cfr. Cass. n. 246/2014; Cass. n. 23532/2014).
In conclusione va accolto il secondo motivo di ricorso; vanno rigettati gli altri.
Si giustifica in relazione al motivo accolto la cassazione della sentenza, con rinvio per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2017