Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22627 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/09/2017, (ud. 07/06/2017, dep.27/09/2017),  n. 22627

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2273-2016 proposto da:

ASSOCIAZIONE MACONDO, in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. DENZA 20, presso lo studio

dell’avvocato LAURA ROSA, rappresentata e difesa dall’avvocato

LORENZO DEL FEDERICO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1236/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE. di BOLOGNA, depositata il 15/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/06/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTO GIOVANNI

CONTI.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

L’associazione Macondo ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro la sentenza resa dalla CTR Emilia Romagna indicata in epigrafe, che ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla contribuente contro la sentenza del giudice di primo grado con la quale era stato rigettato il ricorso proposto contro l’avviso di accertamento relativo a IRES, IVA e altri tributi per l’anno 2007. Secondo la CTR la parte appellante aveva omesso di depositare l’atto di appello spedito a mezzo raccomandata presso la segreteria della CTP che aveva pronunziato la sentenza impugnata ed era, pertanto, inammissibile ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2 secondo periodo, nemmeno trovando applicazione la modifica a tale disposizione introdotta dal D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 36 che aveva soppresso il secondo periodo dell’art. 53, comma 2 elidendo l’obbligo di deposito.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

La parte ricorrente ha depositato memoria.

Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.

Il primo motivo di ricorso proposto dalla ricorrente, con il quale si prospetta la violazione degli artt. 6 e 13 CEDU, artt. 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e art. 11 Cost., è manifestamente infondato e assorbe l’esame del secondo.

Ed invero, la CTR ha correttamente indicato le ragioni poste a base della declaratoria di inammissibilità dell’appello spedito a mezzo posta e non depositato presso la segreteria della CTP che aveva emesso la sentenza, ponendosi in linea di continuità con la decisione della Corte costituzionale che ha ritenuto la compatibilità costituzionale della disposizione anzidetta, sancita dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3 bis, comma 7, introdotto dalla Legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248, in vigore dal 3 dicembre 2005 (Corte cost. n. 43/2010) – v. in senso conf. Cass. n. 15659/2014-.

Non convincente risulta, pertanto, il tentativo della parte ricorrente di indurre la Corte a modificare il proprio indirizzo in materia (per cui v. Cass. n. 8388/2010, Cass. n. 21047/2010) sul rilievo della sua irragionevolezza che, in definitiva, esalterebbe il formalismo giuridico a fronte dell’esigenza, salvaguardata dall’art.6 CEDU, di giungere comunque all’esito finale del processo, anche in relazione ad una serie di pronunzie della Corte EDU che attengono al giudizio di legittimità.

Risulta certamente condivisibile l’argomentazione difensiva, nella parte in cui prospetta la necessità che il processo tributario sia coerente con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo -avendo il legislatore costituzionale e ordinario esteso le regole in tema di giusto processo di matrice convenzionale a qualunque controversia giudiziaria (v. art. 111 Cost.): v., del resto, Cass. n. 961/2015, Cass. n. 960/2015, Cass. n. 23627/2014, Cass. n. 23510/2014, 23427/2014, 23326/2014, 23325/2014, Cass. n. 174/2015, Cass. n. 23627/2014, Cass. n. 1531/2014, Cass. n. 19835/2012 e Cass. n. 18448/2012, Cass. nn. 8605 e 8606 del 28 aprile 2015, Cass. nn. 19650 e 19651 del 19 agosto 2015 -. Tuttavia, non può però sottacersi che l’inammissibilità in parte qua prevista dal legislatore – e giustificata dal giudice costituzionale nel senso sopra ricordato – ha riguardato la fase di appello e non quella di legittimità che rappresenta, dunque, l’ultimo grado di giudizio nel quale la parte può rappresentare le proprie difese.

Peraltro, occorre rilevare che le ragioni esposte a fondamento dell’inammissibilità dell’impugnazione sono state determinate ex ante, in via generale e astratta, dal legislatore con una norma di diritto positivo che non prestava il fianco a dubbi interpretativi e che, dunque, nemmeno può esporre l’utente della giustizia ad una sorpresa circa il suo reale significato, mai posto in discussione nella giurisprudenza di legittimità.

D’altra parte, proprio la giurisprudenza costante della Corte edu afferma che non compete alla stessa Corte il compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne, spettando in primo luogo alle autorità nazionali e soprattutto alle corti e ai tribunali interpretare la legislazione interna (v., tra molte altre, Garda Manibardo c. Spagna, n. 38695/97, p. 36, CEDU 2000-11), limitandosi il ruolo di quel giudice sovranazionale alla verifica di compatibilità con la CEDU degli effetti di tale interpretazione, ciò valendo in modo particolare quando si tratta dell’interpretazione, da parte dei tribunali, delle regole di procedura come quelle che fissano i termini da rispettarsi per il deposito di documenti o di impugnazioni (Corte dir. uomo, 16 dicembre 1997, Tejedor Garda c. Spagna, p. 31; Corte dir. uomo, 15 settembre 2016, Trevisanato c/ Italia, p. 32).

Non sembra quindi potersi revocare in dubbio che la causa di inammissibilità dell’impugnazione non poteva certo considerarsi pleonastica, ma semmai diretta a regolare le vie di accesso alla tutela giurisdizionale in fase di appello secondo una scelta rientrante nel potere discrezionale del legislatore.

Parimenti ineccepibile risulta la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso ogni efficacia retroattiva alla disciplina che ha successivamente abrogato il comma 2^ del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53.

Ed invero, il D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 36 ha disposto l’eliminazione del secondo periodo del comma 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, secondo cui, qualora l’appello “non sia stato notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l’appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata”.

Pertanto, il giudice di appello ha condivisibilmente escluso di potere applicare la normativa sopravvenuta al caso di specie, nel quale la spedizione dell’appello era avvenuta in epoca anteriore all’entrata in vigore della normativa sopravvenuta 13 dicembre 2014 -cfr. Cass. n. 5376/2015-.

Nè tale affermazione contrasta con i principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo posto che l’art. 6 CEDU non garantisce il diritto a potere beneficiare di norme procedurali sopravvenute (Corte dir.uomo, De Lorenzo c. Italia, 12.2.2004) anzi riconoscendosi che lo Stato può legittimamente applicare, alle norme di procedura il principio tempus regit actum – cfr. Corte dir.uomo, Morabito c. Italia, 27.4.2010-.

Sulla base di tali considerazioni, idonee a superare anche i rilievi difensivi esposti dalla parte ricorrente in memoria, il primo motivo di ricorso va rigettato, con assorbimento del secondo, concernente profili di merito della vicenda.

Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio, dando atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

La Corte, visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c.

Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione sesta civile, il 7 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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