Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23505 del 09/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 09/10/2017, (ud. 06/04/2017, dep.09/10/2017),  n. 23505

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16933-2015 proposto da:

M.E. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

POMPEO MAGNO 23/A, presso lo studio dell’avvocato MAURO PETRASSI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI GIOVANNI BRASILE, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

RSU S.R.L. IN LIQUIDAZIONE C.F. (OMISSIS), in persona del liquidatore

e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA MAGLIANO SABINA 24, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

PETTINARI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA MEDICI,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 697/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 31/12/2014 R.G.N. 429/14;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI FRANCESCA che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

in subordine rigetto;

udito l’Avvocato LUIGI GIOVANNI BRASILE;

udito l’Avvocato ANDREA MEDICI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 31.12.2014, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto l’impugnativa del licenziamento intimato al dirigente M.E. dalla R.S.U. srl in data 8 febbraio 2008.

La Corte territoriale ha innanzitutto ritenuto che “l’esercizio del potere disciplinare da parte della datrice di lavoro non è stato tardivo, essendo stato sostanzialmente rispettato il profilo della immediatezza della contestazione, considerato che la connotazione sostanzialmente unitaria delle condotte del dirigente, una volta apprezzate in maniera inequivoca nel senso di definitiva mancanza di intenzionale collaborazione ha trovato immediato riscontro nell’esercizio del potere disciplinare della datrice di lavoro”.

Ha inoltre considerato che “le reiterate e gravi mancanze del dirigente, che, valutate in maniera complessiva, sono risultate effettivamente convergenti in una posizione di aperta contestazione del ruolo dell’amministratore delegato e di manifesta chiusura a ogni forma di collaborazione, integrano gli estremi obiettivi e soggettivi della giusta causa di licenziamento per la rottura del vincolo fiduciario che deve esistere tra datrice di lavoro e dirigente dell’impresa”.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso M.E. con due motivi. Ha resistito la società con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

3. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 con riguardo alla ritenuta immediatezza degli addebiti disciplinari insufficiente e contraddittoria motivazione”, criticando la Corte territoriale per avere ritenuto la tempestività dell’esercizio del potere disciplinare.

Con il secondo motivo si denuncia “difetto di motivazione – insufficiente, omessa e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia – violazione dell’art. 2119 c.c.”, per non avere la Corte territoriale “indicato le ragioni oggettive che hanno ritardato la percezione o il definitivo accertamento e valutazione dei fatti contestati” e per avere ritenuto la sussistenza dei fatti addebitati.

I motivi, congiuntamente esaminabili, sono entrambi inammissibili perchè censurano questioni di fatto, quali la tempestività dell’esercizio del potere disciplinare (Cass. n. 1247 del 2015; Cass. n. 5546 del 2010; Cass. n. 29480 del 2008; Cass. n. 14113 del 2006) e la sussistenza stessa degli addebiti, lamentando inadeguatezze motivazionali non più sindacabili nel vigore del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, senza rispettare gli enunciati prescritti da Cass. SS.UU. n. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici).

3. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2017

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