Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23776 del 11/10/2017
Cassazione civile, sez. VI, 11/10/2017, (ud. 19/07/2017, dep.11/10/2017), n. 23776
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13730/2016 proposto da:
L.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CORSO
D’ITALIA n.97, presso lo studio dell’avvocato FLAVIO DE BATTISTA,
rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO MARIANI;
– ricorrente –
contro
C.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.
RIBOTY n.23, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE NAPOLI,
rappresentata e difesa da se medesima;
– controricorrente –
e contro
LA.OT., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
LUNGOTEVERE DEI MELLINI N.24, presso lo studio dell’avvocato
GIOVANNI GIACOBBE, che lo rappresenta e difende unitamente con
poteri disgiunti all’avvocato GIUSEPPE LAURETTI;
– controricorrente –
e contro
L.A.;
– intimato –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, n. cronol. 807/2016
emesso sul procedimento iscritto al n. 50693/2014 R.G. depositato il
23/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 19/07/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Rilevato che:
con sentenza passata in giudicato, veniva accertato che La.Ot. non era figlio legittimo di L.O., con conseguente perdita del cognome paterno;
con successivo atto, L.A. riconosceva Ottaviano come proprio figlio;
veniva peraltro instaurato contro L.A. un procedimento penale per la falsità del riconoscimento, e tale procedimento si concludeva con sentenza di patteggiamento, sicchè, su richiesta del pubblico ministero, il tribunale di Latina disponeva l’annotazione della sentenza suddetta a margine dell’atto di nascita di La.Ot., stabilendo che questi assumesse il cognome della madre ( C.);
precisati in tal modo i fatti, la corte d’appello di Roma, pronunciando sui reclami di C.M.A., La.Ot. e A. avverso il citato decreto del tribunale di Latina, dichiarava il difetto di legittimazione di L.O. e la cessazione della materia del contendere quanto all’istanza di Ottaviano per il mantenimento del cognome, essendo intervenuto medio tempore un altro provvedimento autorizzativo del tribunale a tutela della identità personale del medesimo; confermava il provvedimento “nel resto”;
avverso il decreto della corte d’appello ha proposto ricorso per cassazione L.O., dolendosi della dichiarata sua carenza di legittimazione e della conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., dell’omessa motivazione del decreto sul punto essenziale riguardante l’uso di un cognome frutto di reato, della non rilevata litispendenza e della annessa violazione e falsa applicazione degli artt. 131,101 e 295 c.p.c., e art. 2909 c.c., in relazione all’art. 648 c.p.p.;
L.A. non ha svolto difese;
gli altri intimati hanno resistito con separati controricorsi;
le parti hanno depositato memorie.
Considerato che:
il ricorso è inammissibile in base all’assorbente la considerazione che il provvedimento impugnato è stato assunto nel contesto di un procedimento instaurato dal pubblico ministero D.P.R. n. 396 del 2000, ex art. 95, per l’annotazione della sentenza penale;
a fronte di tale circostanza, la corte d’appello ha dichiarato la cessazione della materia del contendere a proposito della domanda di mantenimento del cognome L. proposta da Ot. ( C.) e ha confermato il decreto del tribunale “nel resto”, vale a dire con riguardo, appunto, all’annotazione della sentenza penale a margine dell’atto di nascita del medesimo;
la posizione del ricorrente L.O. non è presidiata da interesse quanto alla statuizione che qui rileva, giacchè il mantenimento del cognome L. deriva, quanto a Ot., non dal decreto de quo ma da quello separatamente assunto dal tribunale di Latina in data 26-11-2014, che, per quanto si apprende, ha giustappunto autorizzato il mantenimento del cognome quale autonomo segno distintivo dell’identità personale;
a niente serve, allora, opporre in questa sede un ipotetico contrasto tra le statuizioni, non solo (e non tanto) perchè un siffatto contrasto è inesistente (nel procedimento al quale si riferisce il ricorso essendo stata pronunciata la cessazione della materia del contendere), ma anche, e a monte, perchè ogni doglianza al riguardo avrebbe dovuto essere prospettata nei confronti del provvedimento costituente titolo per il mantenimento del cognome (tale essendo – ripetesi – quello del 26-11-2014), non certo impugnando quello della corte d’appello, meramente confermativo, infine, della necessaria annotazione della sentenza penale;
le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida per ciascuna parte costituita in Euro 2.500,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 luglio 2017.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2017