Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25291 del 25/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 25/10/2017, (ud. 05/10/2017, dep.25/10/2017),  n. 25291

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. GIORDANO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21828/2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.M.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 245/2009 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SALERNO, depositata il 29/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/10/2017 dal Consigliere Dott. DE MASI ORONZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, indicata in epigrafe, con la quale è stato accolto l’appello proposto da D.M.V. avverso la sentenza della C.T.P. di Avellino, parzialmente favorevole al contribuente, in controversia concernente avviso di accertamento in rettifica per recupero Irpef, Irap, Iva, oltre interessi e sanzioni, relativamente all’anno d’imposta 2000, emesso a seguito di verifica fiscale della Guardia di Finanza, giusta processo verbale di constatazione redatto il 28/3/2002, secondo cui le fatture annotate in contabilità, e dichiarate ai fini impositivi, erano riconducibili ad operazioni oggettivamente inesistenti;

che il giudice a quo, per quanto qui d’interesse, riteneva illegittime le riprese a tassazione contenute nell’atto di accertamento, e riformava la sentenza di prime cure, appellata da entrambe le parti, annullando integralmente l’avviso contestato, sul rilievo che le dichiarazioni rese da terzi, innanzi ai militari verbalizzanti, non riscontrate da ulteriori controlli, in ordine all’esistenza di giacenze di magazzino presso l’azienda del D.M., ed alle operazioni di trasporto della merce acquistata dalle ditte fornitrici, mostrano “elementi di equivocità” e non possono assurgere a presunzioni aventi valore probatorio;

che il contribuente non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacchè la C.T.R. ha ritenuto illegittima la pretesa tributaria in quanto fondata sulle dichiarazioni, non adeguatamente riscontrate, rese dai titolari delle ditte fornitrici, omettendo di valutare tutte le allegazioni dell’Amministrazione finanziaria, e le correlate risultanze documentali, da sole sufficienti a dimostrare la fondatezza dell’accertamento, “non rendendosi necessario da parte della Guardia di Finanza verificare la merce presente in azienda ovvero disporre ispezioni presso la ditta di trasporto della merce indicata nelle fatture” oggetto di contestazione;

che la censura è fondata e merita accoglimento;

che, ad avviso del Giudice di appello, le sommarie informazioni rese agli organi investigativi da L.G. e D.M.A., in quanto titolari, rispettivamente, della (OMISSIS) e della (OMISSIS), i quali avevano disconosciuto i documenti contabili emessi nei confronti della (OMISSIS) di D.M.V., ed escluso la effettività dei sottostanti rapporti commerciali, non trovano riscontri in atti, non risultando suffragate “nè da controlli presso la ditta verificata di eventuali giacenze di magazzino relative agli acquisti ritenuti inesistenti, nè presso la ditta che aveva effettuato il trasporto delle pelli, a conforto della veridicità degli acquisti di cui alle fatture contestate, nè, infine, da seri dati probatori che possano smentire i dedotti acquisti presso le ditte fornitrici”;

che la impugnata sentenza non nega che, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), la prova dell’esistenza di attività non dichiarate o dell’inesistenza di passività dichiarate possa essere data anche mediante presunzioni semplici, munite dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ma afferma che “elementi di equivocità” residuano alle dichiarazioni degli interrogati, e che in mancanza dei controlli e delle verifiche sopra ricordati esse non costituiscono presunzioni gravi, precise e concordanti, ma meri indizi;

che, invero, l’insufficienza della motivazione denunciata dalla ricorrente consiste proprio nell’omessa disamina degli indizi forniti dai verbalizzanti, da compiersi nel complessivo quadro del materiale raccolto, al fine di valutare, con giudizio di merito non censurabile in questa sede se correttamente motivato, la possibilità o l’impossibilità di pervenire, con un grado di approssimazione ragionevole, all’accertamento dell’evasione fiscale, essendo sufficiente che il fatto ignoto da provare (evasione fiscale) sia desumibile dal fatto noto non in termini di assoluta certezza, ma come conseguenza ragionevolmente possibile o probabile, secondo regole di esperienza (Cass. nn. 22656/2011, 16993/2007, 13546/2006, 12802/2006, 3390/2005, 16831/2003, 15399/2002);

che, del resto, come è stato ritenuto da questa Corte (Cass. n. 6548/2009) con giurisprudenza da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, “le dichiarazioni rese da terzi nel corso della procedura di accertamento sono utilizzabili nel contenzioso tributario, pur caratterizzato dal divieto di prova testimoniale, quali indizi a supporto della pretesa dell’ufficio (C. cost. sent. n. 18/2000; Cass. nn. 9402/2007, 14774/2000), e la presunzione ha valore autonomo di prova della pretesa fiscale, senza necessità di riscontri documentali, se fondata, con criterio probabilistico e non di assoluta necessità (Cass. nn. 16993/2007, 13546/2006, 12802/2006 ed altre), su indizi che, valutati singolarmente e nel complesso delle acquisizioni processuali (Cass. nn. 3390/2005, 16831/2003, 15399/2002 ed altre), siano ritenuti dal giudice di merito gravi, precisi e concordanti, con giudizio non suscettibile di riesame in sede di legittimità se congruamente motivato. Tale presunzione sposta sul contribuente l’onere della prova contraria (Cass. nn. 9203/2008, 1575/2007)”;

che, pertanto, il giudice di merito può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari considerati, ovviamente nel rispetto dei principi innanzi ricordati, e dandone adeguato conto in motivazione, mentre, nel caso di specie, la C.T.R. non ha esplicitato l’iter logico seguito, individuando le ragioni per le quali va esclusa la inferenza probabilistica di una serie di elementi fattuali, che pure sono desumibili dal processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, e che erano stati evidenziati dall’Agenzia delle Entrate, come, appunto, il mancato rinvenimento di “alcun opificio od azienda con denominazione (OMISSIS) nè tantomeno di una ditta riconducibile al Signor L.G.” in (OMISSIS), nonchè “le modalità di pagamento indicate nelle suddette fatture”, nonchè la mancata presentazione, da parte della “ditta (OMISSIS) di L.G…. di alcuna dichiarazione fiscale”, ed ancora, la mancata presentazione di dichiarazioni fiscali anche da parte della (OMISSIS) di D.M.A., dichiaratamente destinata alla lavorazione e non alla vendita del pellame, così come l’assenza di annotazioni contabili, essendo la sentenza del giudice di merito incentrata piuttosto sul ritenuto bisogno di ulteriori, e differenti, attività di controllo e verifica dei dati già acquisiti, che però non risolve la questione della ricorrenza, rispetto agli indizi disponibili, dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza;

che, infine, spetta al giudice di merito esaminare e giudicare – in caso di valutazione positiva degli indizi – se il contribuente abbia prodotto prove sufficienti a vincere la presunzione eventualmente scaturita da tali indizi, tenendo presente che, in tal caso, l’onere di provare l’inesistenza del fatto costitutivo della pretesa fiscale (natura fittizia delle operazioni commerciali) grava, per effetto della presunzione, sul contribuente medesimo (Cass. n. 9402/2007, n. 7421/1986);

che l’accoglimento dei profili di censura sopra illustrati impone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio della causa alla medesima C.T.R., in diversa composizione, la quale provvederà alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

LA CORTE, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2017

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