Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25544 del 27/10/2017
Cassazione civile, sez. VI, 27/10/2017, (ud. 11/07/2017, dep.27/10/2017), n. 25544
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6988-2016 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente –
contro
L.P.A. GROUP S.P.A. in persona dell’Amministratore unico e legale
rappresentante pro tempore D.P.A., quale
incorporante, per effetto di fusione, della L.P.A. – IMPORT EXPORT
S.R.L., nonchè S.R. in proprio, già Amministratore
unico della incorporata società L.P.A. – IMPORT EXPORT S.R.L.,
elettivamente domiciliati in ROMA piazza Cavour presso la
Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi
dall’avvocato CLAUDIO PREZIOSI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 7933/12/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE DI NAPOLI SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata il
08/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 11/07/2017 dal Consigliere Dott. VELLA PAOLA.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
1. con riguardo ad avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2006 recante ripresa a tassazione di operazioni ritenute soggettivamente inesistenti in quanto fatturate alla contribuente da una cd. “società cartiera”, annullato dal giudice d’appello a seguito di espletamento di apposita c.t.u., l’amministrazione ricorrente censura la decisione impugnata per “violazione e falsa applicazione”: 1) del D.Lgs. n. 346 del 1992, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4″, avendo la C.T.R. “operato un mero richiamo all’elaborato peritale, sostanzialmente demandando al consulente d’ufficio la soluzione di questioni tecnico-giuridiche”, peraltro sulla scorta di “documentazione contabile della società cartiera Fish Group” estranea alle “allegazioni processuali; 2) “dell’art. 193 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per “mancato rispetto dei termini disposti” con l’ordinanza di conferimento dell’incarico al c.t.u.; 3) degli “artt 2729 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, poichè “l’Ufficio, contrariamente a quanto asserito dal collegio di secondo grado, ha ampiamente dimostrato (nei fatti) che la società Fish Group Import Export era una vera e propria cartiera”, circostanza non “smentita dalle conclusioni del CTU”;
2. all’esito della camera di consiglio, il Collegio ha disposto l’adozione della motivazione in forma semplificata.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
3. i motivi risultano inammissibili prima ancora che infondati;
4. le doglianze di cui alle prime due censure non integrano invero vizi qualificabili come errores in procedendo, e in ogni caso il contenuto dei quesiti assegnati al c.t.u. (trascritti a pag. 26 del controricorso), i termini assegnati a norma dell’art. 195 c.p.c. (riepilogati a pag. 29 del controricorso) e la motivazione svolta a pag. 5 della sentenza impugnata, mostrano che si è trattato di una consulenza tecnica d’ufficio non meramente “esplorativa”, ma ritualmente disposta sulla scorta dei fatti allegati e della documentazione prodotta dalle parti (v. pag. 12 e ss. del controricorso), alle cui conclusioni il giudice d’appello non ha aderito acriticamente, ma all’esito di specifica valutazione;
5. il terzo motivo veicola invece censure di merito, attinenti alla valutazione del materiale probatorio da parte dei giudici di secondo grado, in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione rappresenta un rimedio impugnatorio a critica vincolata e cognizione determinata dall’ambito dei vizi dedotti, non già uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito la selezione degli elementi del suo convincimento (ex plutimis, Cass. S.U. n. 7931/13; Cass. nn. 14233/15, 959/15, 26860/14, 12264/14); in tal senso, è stato anche precisato che “il vizio di viola,/one di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Cass. Sez. 5^, 26110/15; Sez. 6^-5, 13238/17);
6. il giudice d’appello ha comunque fatto corretta applicazione del principio per cui “qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture ai fini IVA ed IRPEG, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, ovvero non è stata posta in essere tra i soggetti indicati nella fattura, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione anche in merito alla conoscenza ovvero alla conoscibilità della fittizietà delle operazioni da parte del cessionario/committente che richiede la detrazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili e la sua mancanza di consapevolezza di partecipare ad un’operazione fraudolenta, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Cass. Sez. 5^, 428/15, 12650/17; Sez. 6^-5, 13238/17; cfr. Corte Giust. 22/10/2015, C-277/14);
7. al rigetto del ricorso segue la condanna alla rifusione delle spese, liquidate in dispositivo; non si applica invece il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, poichè il soccombente risulta una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, in quanto amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (Cass. SU 9338/14; Sez. 4^, 1778/16; Sez. 6-5, 18893/16).
PQM
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 9.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Motivazione Semplificata.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 luglio 2017.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017