Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25846 del 31/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/10/2017, (ud. 12/07/2017, dep.31/10/2017),  n. 25846

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 343/2016 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA

38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G., Z.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

MONTESANTO 68, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA FONSI, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO VANNINI giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2691/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 23/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/07/2017 dal Consigliere Dott. COSIMO D’ARRIGO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PAOLO PANARITI;

udito l’Avvocato GIANLUCA FORESI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Z.P. e M.G. hanno intimato a C.G., con atto di precetto notificato il 17 luglio 2013, la demolizione di una porzione dell’edificio di proprietà di costei, giusto verbale di conciliazione sottoscritto in data 10 febbraio 2010 fra i predetti e terzi, ivi compreso Za.Be., marito della C., a transazione di una causa civile pendente fra le parti avente ad oggetto la violazione di distanze legali.

Avverso tale atto di precetto, la C. ha proposto opposizione, sostenendo che tale obbligo di abbattimento non era stato dalla stessa assunto: al ripristino della sagoma del tetto dell’immobile qual era prima della ristrutturazione, infatti, si era impegnato il solo Z. (punto 3 del verbale di conciliazione), mentre l’unico obbligo assunto dalla C. era di rifondere le spese processuali di controparte (punto 4).

Il Tribunale di Venezia ha accolto l’opposizione, ma contro tale pronuncia hanno proposto appello i coniugi Z.- M.. La Corte d’appello di Venezia, in integrale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato l’opposizione.

La C. ricorre avverso tale decisione affidandosi a tre motivi. Resistono con controricorso congiunto i coniugi Z. e M.. La ricorrente ha depositato memorie difensive ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i tre motivi di ricorso, tutti ricondotti al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1369 c.c., con riferimento all’interpretazione del verbale di conciliazione sottoscritto in data 10 febbraio 2010 fatta propria dalla corte d’appello.

In particolare, la C. lamenta che il giudice d’appello non avrebbe attribuito alcun peso al comportamento effettivamente tenuto dalle parti, nè alla loro comune intenzione, attribuendo valore unicamente al dato testuale dell’accordo. La sentenza impugnata sarebbe censurabile nella parte in cui avrebbe valorizzato l’espressione “per nome e per conto”, interpretata come indice dell’esistenza di un rapporto di rappresentanza tra lo Za. e la C.. Sarebbero invece plurimi gli indici di una diversa volontà delle parti (le obbligazioni della C. e del marito Za. sono previste in punti diversi del verbale conciliativo; la C. non ha assunto personalmente l’obbligazione di ripristino della situazione quo ante; il termine di adempimento era previsto solo in relazione agli obblighi assunti dallo Za.; non vi sarebbe traccia nel verbale transattivo dell’esistenza della procura).

Inoltre, la sentenza d’appello è censurata nella parte in cui non avrebbe proceduto a un’interpretazione unitaria del contenuto del verbale transattivo e delle sue varie pattuizioni, limitandosi al contrario a valorizzare singole clausole.

Infine, si denuncia specificamente il fatto che la corte d’appello avrebbe omesso di valutare la circostanza che la Covato non avrebbe avuto alcun interesse a sottoscrivere l’accordo transattivo assumendo la totalità delle obbligazioni, giacchè in tal modo il risultato finale sarebbe stato sostanzialmente corrispondente all’ipotesi di una piena soccombenza.

I tre motivi, come sopra riassunti, investendo sotto diversi profili il problema dell’interpretazione dell’accordo transattivo contenuto nel verbale di conciliazione, possono essere esaminati congiuntamente.

I motivi sono infondati.

La corte di merito ha fondato le proprie conclusioni sulla lettura testuale dell’intero accordo transattivo, in base al quale ha ritenuto che:

a) l’obbligazione dell’abbattimento della porzione di immobile che viola le prescrizioni in materia edilizia era stata assunta non solo dallo Za. personalmente, marito muratore della Covato e responsabile dell’abuso edilizio, ma anche, ed espressamente, quale procuratore della C.; ciò probabilmente in quanto lo Za. aveva realizzato tale abuso edilizio, ma la C. era l’unico soggetto che poteva validamente disporre dell’immobile da abbattere, essendone la proprietaria;

b) in ogni caso sarebbero insignificanti le ragioni che avrebbero spinto le parti ad agire in quella maniera, posto che non può revocarsi in dubbio che il procuratore fosse fornito della rappresentanza: in primo luogo, ciò si desume dal fatto che il rappresentante avesse validamente speso il nome del rappresentato; in secondo luogo, la C. avrebbe in ogni caso ratificato quanto compiuto dallo Za., firmando senza obiezioni il verbale di conciliazione;

c) il dato testuale del verbale di conciliazione non può essere smentito da un’interpretazione di natura finalistica della vicenda, poichè la volontà di obbligarsi delle parti emerge senza dubbio dai termini utilizzati nell’accordo e dalla condotta tenuta, nonchè supportata dalle ragioni sopra riportate nel giustificare un tale tipo di rapporto;

d) la fonte del potere di rappresentanza è costituita dallo stesso verbale di conciliazione, che la C. sottoscrisse senza alcuna riserva in merito agli impegni contestualmente assunti dal marito in suo nome e ratificandone in ogni caso l’operato; ne deriva che l’obbligazione veniva assunta anche dalla stessa C..

La corte d’appello ha quindi ritenuto di dover riformare la decisione di primo grado, pur ritenendo valida la procura, aveva nella però negato alcun effetto relativo alla spendita del nome. Sull’obiezione relativa al fatto che risultasse strano che la C. avesse, nel medesimo atto, assunto due distinte obbligazioni di cui una personalmente e una tramite procuratore, la corte di merito rileva che comunque non viene superato il dato testuale della sottoscrizione dell’accordo per intero, senza alcuna obiezione in merito all’attività svolta dal (falsus) procurator. In realtà, nessuna norma pone un divieto in tal senso ed inoltre la collaborazione della C. con lo Za. era indispensabile per la realizzazione delle opere promesse nel titolo esecutivo.

Le conclusioni cui è pervenuta la Corte d’appello, sopra riassunte, si sottraggono a censure di legittimità.

Infatti, l’interpretazione del contratto, traducendosi in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per inadeguatezza della motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione antecedente alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, oppure – nel vigore della novellato testo di detta norma – nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti (Sez. 3, Sentenza n. 14355 del 14/07/2016, Rv. 640551).

In altri termini, il sindacato di legittimità in tema di interpretazione del contratto non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Sez. 3, Sentenza n. 2465 del 10/02/2015, Rv. 634161).

Nella specie, la ricorrente non ha dedotto la violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, ma si è limitata a prospettare una possibile interpretazione alternativa a quella fatta propria dalla corte d’appello. Tale prospettazione, collocandosi sul piano del giudizio di merito, è inammissibile in questa sede.

Peraltro, poichè la ratio decidendi della sentenza impugnata poggia sulla considerazione che la C., sottoscrivendo il verbale, ha comunque ratificato l’operato del coniuge qualificatosi come suo procuratore, la questione dell’esistenza o meno di una procura preventiva è irrilevante.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Sussistono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta senza spazio per valutazioni discrezionali (cass. 3, sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, dal parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2017

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