Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29309 del 06/12/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 06/12/2017, (ud. 19/05/2017, dep.06/12/2017),  n. 29309

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Avv. P.A. evocava, dinanzi al Tribunale di Napoli, il Condominio di Via Leopardi 132 in Napoli chiedendone la condanna al pagamento della somma di Lire 23.334.000 a titolo di compenso per l’attività professionale prestata.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, che eccepiva l’estinzione del credito per intervenuto pagamento, il giudice adito rigettava la domanda.

In virtù di rituale appello interposto dal P., la Corte di Appello di Napoli, nella resistenza dell’appellato, respingeva il gravame e per l’effetto confermava la pronuncia di primo grado.

Avverso la sentenza della Corte di appello partenopea ha proposto ncorso per cassazione sempre il P., formulando tre motivi di ricorso, cui ha resistito con controricorso il Condominio intimato.

Ritenuto che il ricorso potesse essere respinto, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Parte ricorrente ha depositato anche memoria illustrativa.

Atteso che:

è prioritario l’esame del secondo motivo di ricorso (col quale è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1131 c.c. e artt. 82,83 e 182 c.p.c., per aver la Corte di appello rigettato, per tardività, la sua eccezione di carenza di ius postulandi del Condominio, nonostante la verifica circa la regolare costituzione delle parti in giudizio fosse un’attività da operarsi d’ufficio), ponendo la questione pregiudiziale della legittimazione processuale. Esso è manifestamente infondato.

L’art. 1131 c.c., comma 2, stabilisce che (l’amministratore) “può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio”.

Nel ricostruire la portata di questa disposizione, Cass., sez. un., 6 agosto 2010, n. 18331 ha ritenuto che l’amministratore convenuto possa certamente in modo autonomo costituirsi in giudizio, così come impugnare la sentenza sfavorevole al condominio, e ciò nel quadro generale di tutela urgente di quell’interesse comune che è alla base della sua qualifica e della legittimazione passiva di cui è investito; non di meno, l’operato dell’amministratore deve poi essere sempre ratificato dall’assemblea, in quanto unica titolare del relativo potere. La ratifica assembleare vale a sanare retroattivamente la costituzione processuale dell’amministratore sprovvisto di autorizzazione dell’assemblea, e perciò vanifica ogni avversa eccezione di inammissibilità, ovvero ottempera al rilievo ufficioso del giudice che abbia all’uopo assegnato il termine ex art. 182 c.p.c. per regolarizzare il difetto di rappresentanza. Questa soluzione, autorevolmente affermata dalle Sezioni Unite, nega che l’amministratore sia titolare di una legittimazione processuale passiva illimitata “ex lege” (ovvero, della titolarità di una “difesa necessaria”). La finalità dell’art. 1131 c.c., comma 2, sarebbe, in pratica, limitata a facilitare i terzi nell’evocazione in giudizio di un condominio, consentendo loro di notificare la citazione al solo amministratore anzichè a tutti i condomini; dovendo poi l’amministratore munirsi di autorizzazione dell’assemblea per resistere nella lite. Peraltro, come di seguito ribadito da Cass. 23 gennaio 2014, n. 1451 e da Cass. 25 maggio 2016, n. 10865, la necessità dell’autorizzazione o della ratifica assembleare per la costituzione in giudizio dell’amministratore va riferita soltanto alle cause che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1131 c.c., commi 2 e 3.

Ne consegue che l’amministratore di Condominio può, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, resistere nella controversia avente ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del Condominio dal terzo creditore in adempimento di obbligazione assunta dal medesimo amministratore nell’esercizio delle sue attribuzioni in rappresentanza dei partecipanti, ovvero dando esecuzione a deliberazione dell’assemblea o erogando le spese occorrenti per la manutenzione delle parti comuni o per l’esercizio dei servizi condominiali, e quindi nei limiti di cui all’art. 1130 c.c.;

– il primo motivo di ricorso (col quale è denunciata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 169 e 190 c.p.c., per aver la Corte di appello rigettato la sua eccezione di inammissibilità della documentazione presente nel fascicolo di controparte, nonostante questo fosse stato ridepositato dopo la scadenza del termine concesso per il deposito della comparsa conclusionale in primo grado) è parimenti infondato.

L’art. 169 c.p.c., comma 2, allorchè prevede che il fascicolo ritirato ritualmente per come consentito direttamente dalla legge all’atto della rimessione della causa al collegio, cioè in decisione, deve essere ridepositato “al più tardi al momento del deposito della comparsa conclusionale”, prevede un termine che, per il tenore della norma, certamente deve essere inteso come perentorio agli effetti dell’art. 153 c.p.c., comma 2, poichè, com’è stato correttamente detto in dottrina, la proclamazione dell’avverbio “espressamente” come condizione di perentorietà di un termine stabilito dalla legge va intesa nel senso che deve sussistere una previsione di legge che in modo inequivoco sottenda la perentorietà, e, dunque, dire che il rideposito deve avvenire “al più tardi” implica una siffatta previsione.

Tuttavia, la perentorietà della previsione rimane interna allo svolgimento del giudizio di primo grado e rileva in funzione del suo svolgimento successivo con le attività proprie della fase decisoria, per cui essa, una volta che il procedimento trasmigri in appello, non può in alcun modo operare, perchè quando l’art. 345 c.p.c.allude alle prove nuove è palese il riferimento alle prove e, quindi, ai documenti che nel giudizio si pretenda di introdurre come “nuovi” e, dunque, che non vi siano stati introdotti prima del grado di appello. Di modo che, quando la parte che aveva omesso di ridepositare il fascicolo produce in appello il fascicolo di parte di primo grado in cui i documenti erano stati prodotti nell’osservanza delle preclusioni probatorie previste in primo grado, come deve fare ai sensi degli artt. 165 e 166 c.p.c. (giusta la previsione dell’art. 347 c.p.c., comma 1), compie un’attività che, riguardo alla reintroduzione nel processo dei documenti non può in alcun modo considerarsi come di introduzione di nuove prove documentali.

In buona sostanza, la perentorietà del termine dell’art. 169 c.p.c., comma 2, quando il tardivo rideposito sia dipeso da mero errore della parte, è una perentorietà che, stante il riferimento dell’art. 345 c.p.c. solo alle prove nuove e, quindi, ai documenti nuovi, va riferita solo alla decisione del giudice di primo grado, secondo il principio per cui una previsione di un onere di osservanza di una forma va intesa con riferimento allo scopo che essa ha (v. in termini Cass. n. 28462 del 2013 e Cass. n. 15672 del 2011);

il terzo motivo (col quale si deduce la violazione e la falsa interpretazione della documentazione depositata in atti in relazione all’eccezione di avvenuto pagamento, nonchè la violazione al falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 75 disp. att. c.p.c., per non aver la Corte di appello valutato le attività professionali da lui poste in essere, in favore del condominio, successivamente all’anno 1995 e per aver, anche in assenza di contestazioni specifiche da parte del condominio, liquidato in misura globale il compenso in difformità alla notula delle spese, senza motivare in ordine alle voci ritenute non dovute o dovute in misura inferiore) è manifestamente infondato.

La corte locale ha espressamente preso in considerazione le prestazioni eseguite dall’avvocato dal 1995 al 2000, riconoscendo a questo titolo l’importo di Lire 2.000.000 (cfr. fine pag. 6 della sentenza impugnata) ed a fronte di detto accertamento di merito il ricorrente non ha neanche curato la trascrizione della nota spese depositata, limitandosi ad una generica contestazione, senza tenere conto che è onere del ricorrente in cassazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, specificare analiticamente le voci tariffarie e gli importi in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, nonchè le singole spese contestate o dedotte come omesse, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (cfr Cass. n. 24635 del 2014; Cass. n. 7654 del 2013).

Nella specie il ricorrente sottopone alla Corte – nella sostanza – profili relativi al merito della valuta -ione delle prove, che sono insindacabili in sede di legittimità, sicchè deve escludersi tanto la “mancanza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico”, quanto la “motivazione apparente”, o il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, figure queste – manifestazione di violazione di legge costituzionalmente rilevante sotto il profilo della esistenza della motivazione – che circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità dopo la riforma dell’art. 360 cod. proc. civ. operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori – ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 – non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. Un. n. 8053 del 2014).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6-2^ Sezione Civile, il 19 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2017

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