Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2644 del 02/02/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 02/02/2018, (ud. 22/11/2017, dep.02/02/2018),  n. 2644

Intestazione

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che:

nel 2013 C.T. convenne dinanzi al Giudice di pace di Taranto S.F., S.P. e la SARA’ Assicurazioni s.p.a., chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un sinistro stradale;

con sentenza 28.8.2014 n. 2249 il Giudice di pace accolse la domanda, accordando tra l’altro all’attore la somma di Euro 2.563, “corrisposta al proprio procuratore quale spesa stragiudiziale prima dell’instaurarsi del presente giudizio”;

con sentenza 21.10.2015 n. 3196 il Tribunale di Taranto, accogliendo il gravame proposto dalla SARA, ritenne che l’importo liquidato dal primo giudice a titolo di risarcimento del danno consistito nelle spese legali stragiudiziali fosse eccessivo, e lo rideterminò in Euro 1.750,94 (dunque riducendolo di Euro 812,06);

la sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da C.T., con ricorso fondato su due motivi;

la SARA non ha svolto attività difensiva, limitandosi a depositare il fascicolo di merito ed una procura speciale;

Considerato che:

col primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’art. 2697 c.c.; artt. 115 e 167 c.p.c.; deduce, al riguardo, che sebbene la notula per spese legali stragiudiziali, dell’importo di Euro 2.563, fosse stata prodotta sin dal primo grado di giudizio, la società convenuta non aveva in quella sede specificamente contestato l’esistenza e l’ammontare di questa voce di danno; di conseguenza, in applicazione del principio di “non contestazione”, il relativo credito doveva ritenersi ammesso;

il motivo è infondato, per varie ed indipendenti ragioni;

la prima ragione è che non corrisponde a verità l’allegazione secondo cui la SARA, nel costituirsi, non contestò l’esistenza d’un danno patrimoniale emergente, rappresentato dalle spese sostenute per l’assistenza legale; la SARA, infatti, costituendosi, dedusse di avere già pagato all’attore la somma di Euro 10.130, che doveva ritenersi satisfattiva di tutti i danni pretesi dalla vittima, e che pertanto “null’altro doveva all’attore a titolo risarcitorio” (così la comparsa di costituzione in primo grado, p. 2, secondo capoverso);

or bene, colui il quale, dinanzi alla domanda di pagamento d’un credito “A”, d’un credito “13” e d’un credito “C”, si costituisca assumendo di avere pagato il dovuto e di “null’altro dovere” assume di per sè una posizione processuale di contestazione dell’eccedenza pretesa dal creditore, rispetto a quanto già pagato dal convenuto; la volontà di non contestare una parte del credito è infatti logicamente incompatibile con l’affermazione di avere pagato tutto il dovuto, e di null’altro dovere ancora;

la seconda ragione è che in primo grado i responsabili civili del sinistro, ovvero S.F. e S.P., rimasero contumaci, sicchè rispetto ad essi non era invocabile il principio di non contestazione, opponibile soltanto alla parte costituita;

pertanto, anche a volere ritenere che la SARA non avesse contestato le pretese dell’attore in tema di rifusione delle spese legali stragiudiziali, resterebbe il fatto che tale condotta riguardava l’assicuratore ma non gli assicurati, ed in tema di assicurazione della r.c.a. le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo negato la possibilità di accogliere la domanda nei confronti dell’assicurato e rigettarla nei confronti dell’assicuratore, o viceversa (Sez. U, Sentenza n. 10311 del 05/05/2006);

col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (è denunciata, in particolare, la violazione dell’art. 2230 c.c.; art. 12 c.p.c.; D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 21); sia da un vizio di “apparente motivazione”, che viene censurato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

il motivo contiene una censura così riassumibile:

(a) il Tribunale, per liquidare il danno consistito nelle spese legali stragiudiziali sostenute dalla vittima del sinistro, ha applicato la tariffa approvata con D.M. 10 marzo 2014, e stabilito che l’onorario dovuto al legale dovesse determinarsi assumendo che la sua opera fosse stata prestata per un affare del valore di Euro 7.303, pari alla differenza tra risarcimento preteso dalla vittima e somma offerta dall’assicuratore;

(b) tale valutazione fu tuttavia erronea: sia perchè il valore dell’affare doveva determinarsi nella maggior somma di Euro 10.130, pari all’offerta formulata dall’assicuratore dopo l’intervento del legale; sia perchè la somma spesa dal danneggiato per l’assistenza legale stragiudiziale (Euro 2.563,36) era inferiore a quella media prevista dalla tariffa applicabile ratione temporis, con la conseguenza che il Tribunale non avrebbe potuto ritenerla “esagerata” e non congrua, come invece fece;

nella parte in cui prospetta il vizio di “motivazione apparente” (anche a prescindere dall’erroneo riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, che contempla il ben diverso vizio di omesso esame d’un fatto decisivo) il motivo è infondato, in quanto la motivazione della sentenza impugnata non potrebbe essere più chiara: il danneggiato, ha sentenziato il Tribunale, ha speso troppo per remunerare il proprio legale per l’attività stragiudiziale, e di conseguenza non può pretendere il risarcimento integrale per tale voce di danno; gli spetterà, dunque, solo la minor somma da ritenersi congrua rispetto all’attività effettivamente svolta dal legale in sede precontenziosa;

nella parte in cui prospetta il vizio di violazione di legge, il motivo è del pari infondato;

le spese sostenute dalla vittima di un sinistro stradale per remunerare l’avvocato al quale si sia rivolta per avere assistenza stragiudiziale, costituiscono una ordinaria ipotesi di danno emergente, di cui all’art. 1223 c.c.; pertanto, come qualsiasi altra voce di danno, anche quella in esame sarà soggetta alle regole generali: e dunque – non sarà dovuto il risarcimento per le spese che la vittima avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza (art. 1227 c.c., comma 1); non sarà dovuto il risarcimento per le spese che, pur necessarie, sono state sostenute in misura esagerata (art. 1227 c.c., comma 2); non sarà dovuto il risarcimento per le spese non legate da un nesso di causa rispetto al fatto illecito (art. 1223 c.c.);

nello specifico caso del danno consistito) nella spesa sostenuta (o nel debito contratto) per l’assistenza legale stragiudiziale, stabilire se la vittima abbia speso o no somme eccessive è giudizio che va compiuto in base alle norme di legge che fissano la misura dei compensi dovuti agli avvocati per l’attività stragiudiziale;

nel caso di specie, l’offerta di pagamento fu formulata in sede stragiudiziale dalla SARA il 7.7.2012, e dunque l’attività stragiudiziale compiuta dal legale cui C.T. si rivolse fu compiuta nella vigenza del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, rimasto in vigore fino al 28.8.2012;

tale decreto prevedeva, per le prestazioni di assistenza e consulenza stragiudiziale, compensi in misura fissa o variabile in funzione del valore dell’affare, che nel caso di specie era sicuramente inferiore a 20.000, dal momento che lo stesso attore, nell’atto di citazione dinanzi al Giudice di pace, dichiarò espressamente di volere “contenere e ridimensionare” la propria pretesa entro tale valore; per gli affari di valore compreso tra 5.200,01 e 25.900 Euro la Tabella allegata sub 1 al D.M. n. 127 del 2014, prevede, come valori minimi:

– 15 Euro per le consultazioni orali;

– 90 Euro per i pareri orali (non è stato mai allegati che al ricorrente siano stati forniti pareri scritti);

– 13 Euro per la posizione ed archivio;

– 10 Euro per ogni lettera;

– 180 Euro per lo studio della pratica;

– 60 Euro per ogni ora di conferenza col cliente;

le altre attività previste dalla Tabella (redazione di contratti, statuti, ecc.) suddetta non pertengono al caso di specie;

ne consegue che il compenso minimo dovuto al professionista per l’attività svolta in sede stragiudiziale, secondo i criteri legali di determinazione, non sarebbe potuto essere inferiore ad Euro 368; il Tribunale ne ha invece liquidati 1.200, e dunque non ha violato la legge; stabilire, poi, se l’attività compiuta in sede stragiudiziale dal legale della vittima meritasse di essere compensata con i valori minimi, medi o.. massimi è questione puramente di merito, insindacabile in questa sede;

il Tribunale, in conclusione, non ha violato alcuno dei precetti invocati dal ricorrente: non l’art. 12 c.p.c., perchè lo scaglione di riferimento per il calcolo del compenso è stato correttamente individuato in base a quanto dichiarato dallo stesso attore; e non le norme sui minimi tariffari, avendo liquidato un compenso comunque superiore al minimo;

non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata;

il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di C.T. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 22 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2018

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