Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38036 del 04/07/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38036 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: PAZIENZA VITTORIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto nell’interesse di:
1) SALVATORI Maurizio, nato a Castel S. Pietro Romano il 04/09/1954
2) PRASSEDI Carmina, nata a Palestrina il 04/08/1959
3) SALVATORI Manila, nata a Palestrina il 02/04/1981
4) SALVATORI Tania, nata a Palestrina il 05/06/1986
Parti civili nel procedimento a carico di:
MAMMETTI Rita, nata a Palestrina il 04/09/1954
avverso la sentenza emessa il 29/11/2016 dalla Corte d’Appello di Roma
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vittorio Pazienza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Franca
Zacco, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con
rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello;
udito il difensore del responsabile civile BANCA IPIBI FINANCIAL ADVISORY, avv.
Gianfranco Ferreri, che ha concluso chiedendo il rigetto del primo motivo e la
declaratoria di inammissibilità nel resto;
udito il difensore dell’imputata, avv. Alessandro Tomassetti, che ha concluso
associandosi alle richieste del difensore del responsabile civile

Data Udienza: 04/07/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 29/11/2016, la Corte d’Appello di Roma ha assolto
MAMMETTI Rita dai reati di falso e truffa a lei ascritti per insussistenza del fatto,
così totalmente riformando la sentenza emessa in data 06/05/2014 dal Tribunale
di Tivoli, Sez. Periferica di Palestrina, Catania, con la quale la MAMMETTI era stata
condannata alla pena di giustizia in relazione ai predetti reati commessi in danno

Tania, (costituitisi parte civile), nonché al risarcimento, in solido con il responsabile
civile BANCA IPB, dei danni da costoro subiti.
2. Ricorrono per cassazione agli effetti civili SALVATORI Maurizio, PRASSEDI
Carmina, SALVATORI Manila e SALVATORI Tania, a mezzo del proprio difensore,
deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento. Si censura
l’impianto motivazionale della Corte, imperniato sul fatto che, essendosi il rapporto
contrattuale perfezionato con l’invio dalla banca al cliente della documentazione
contenente, tra l’altro, l’enunciazione del profilo di rischio relativo al cliente stesso,
risultava irrilevante l’eventuale difformità tra le schede consegnate dal promotore
finanziario MAMMETTI a ciascuna delle parti civili e quelle trasmesse dalla stessa
imputata alla banca. In altri termini, secondo la Corte territoriale, il cliente era
stato reso edotto dalla banca, con il predetto invio documentale, della sua
assegnazione ad un determinato profilo di rischio: era stato quindi
inequivocabilmente scoperto il presunto “raggiro” posto in essere dalla MAMMETTI,
con conseguente interruzione del nesso causale tra condotta decettiva e
disposizione patrimoniale.
Il travisamento denunciato dalle parti civili consiste nel fatto che non vi era
mai stata alcuna trasmissione dalla banca alle parti civili delle schede finanziarie,
e quindi non vi era mai stata alcuna informazione, sia pure tardiva, dell’elevato
grado di rischio degli investimenti proposti dalla MAMMETTI: le parti civili erano in
possesso delle sole schede loro consegnate dall’imputata, compilate solo
parzialmente e prive, tra l’altro, proprio dell’indicazione della propensione al
rischio. Di tale invio non era stata data alcuna prova in giudizio dall’imputata o dal
responsabile civile, né alcuna plausibile spiegazione del fatto che la copia della
scheda in possesso delle parti civili era diversa da quella in possesso della banca.
Era dunque evidente che la MAMMETTI aveva ultimato la compilazione della
scheda senza informare le parti civili, e senza chiarir loro che gli investimenti
proposti presentavano un alto grado di rischio.

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di SALVATORI Maurizio, PRASSEDI Carmina, SALVATORI Manila e SALVATORI

2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’art. 485
cod.pen. Si censura la formula assolutoria per insussistenza del fatto, avendo le
parti civili provato documentalmente cdi essersi trovati all’estero alla data di una
delle operazioni finanziarie apparentemente avallata dalla loro sottoscrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.

Tivoli è stata ribaltata da una sentenza pienamente assolutoria emessa dalla Corte
territoriale, assume un rilievo determinante l’individuazione dei doveri
motivazionali grélvanti, in tale ipotesi, sul giudice d’appello. Si tratta di una
tematica di estremo rilievo e attualità, tra l’altro oggetto – come emerso anche in
sede di discussione – di un recentissimo intervento delle Sezioni Unite di questa
Suprema Corte, secondo il quale «il giudice d’appello che riformi in senso
assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l’obbligo di rinnovare
l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso
dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e
adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione
adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva» (Sez.
U, Sentenza n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430).
La concreta consistenza e la portata generale del principio – massimato
nell’ottica della nuova escussione delle prove dichiarative, ritenuta indefettibile
solo nell’ipotesi, opposta a quella oggi in esame, di ribaltamento in appello di una
sentenza assolutoria – è stata delineata, nella motivazione della sentenza Troise,
attraverso alcune puntualizzazioni che appaiono di assoluto rilievo anche per
l’odierna decisione, e che è pertanto qui opportuno riportare (§ 4.1. del
“Considerato in diritto”):
«Deve trattarsi, peraltro, di ricostruzioni non solo astrattamente ipotizzabili in
rerum natura, ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle
risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. E’ dunque
necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca
razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla
stregua del materiale probatorio acquisito al processo. Movendo da tali postulati
va inoltre sottolineato come, all’assenza di un obbligo di rinnovazione della prova
dichiarativa in caso di ribaltamento assolutorio, debba affiancarsi l’esigenza che il
giudice d’appello strutturi la motivazione della decisione assolutoria in modo
rigoroso, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte.

3

2. Nell’odierno procedimento, in cui la decisione di condanna del Tribunale di

La tesi favorevole alla necessità di una puntuale motivazione anche in caso di
riforma della condanna in assoluzione costituiva, d’altronde, un orientamento
largamente condiviso anche prima della sentenza Dasgupta, sul rilievo che il
giudice di appelli), quando riforma in senso radicale la condanna di primo grado
pronunciando sentenza di assoluzione, ha l’obbligo di confutare in modo specifico
e completo le precedenti argomentazioni, essendo necessario scardinare
l’impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto
diretto contatto con le fonti di prova. Tale principio affonda le sue radici in una

12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci,
Rv. 191229), che ha stabilito, in linea generale, l’obbligo di una nuova e compiuta
struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte nel
caso in cui il giudice di appello riformi totalmente la decisione di primo grado,
sostituendo all’assoluzione l’affermazione di colpevolezza dell’imputato.
Ne discende che il giudice di appello, nel riformare la condanna pronunciata
in primo grado con una sentenza di assoluzione, dovrà confrontarsi con le ragioni
addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l’integrale riforma
senza limitarsi ac inserire nella struttura argomentativa della riformata pronuncia
delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi,
il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito
in seguito, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia
adeguata ragione delle difformi conclusioni assunte».
In tale quadro ermeneutico – che impone dunque a questa Corte di valutare
la motivazione di una decisione di riforma in senso assolutorio verificandone sia
l’ancoraggio

«alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva

consistenza», sia l’adeguatezza del confronto con la sentenza di condanna
riformata, da compiersi «riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio
vagliato dal primo giudice» – ritiene il Collegio che il ricorso proposto dalle parti
civili sia fondato per le ragioni che seguono.
3. Come già in precedenza accennato, la decisione assolutoria della Corte
territoriale risulta imperniata su un unico argomento – specificamente dedotto
come motivo di appello dall’imputata – ritenuto idoneo a scardinare l’impianto
accusatorio accolto dalla sentenza di primo grado.
3.1. Nella prospettiva accusatoria, l’attività decettiva del promotore
finanziario MAMMETTI è consistita nel rassicurare – contrariamente al vero – le
parti civili quanto all’assenza di rischio negli investimenti proposti, approfittando
della fiducia in lei riposta da persone in realtà prive delle cognizioni e competenze
necessarie per comprendere l’effettiva natura ed il rischio implicato dalle
operazioni finanziarie prospettate.
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risalente elaborazione giurisprudenziale di questa Corte (Sez. U, n. 33748 del

L’attendibilità delle dichiarazioni rese in tal senso dalle parti civili è risultata
comprovata, sempre nell’ottica accolta dal Tribunale, dalla difformità rilevabile tra
la copia delle schede personali relative al “profilo di rischio” dell’investitore,
consegnate dalla MAMMETTI a ciascuna persona offesa (schede recanti la sola data
e la sottoscrizione dell’interessato), e la copia delle medesime schede consegnate
dalla MAMMETTI alla banca (schede invece integralmente compilate, anche quanto
– ed è quel che qui interessa – alle indicazioni del livello della propensione al
rischio, dell’esperienza in materia di investimenti e degli obiettivi perseguiti

schede in questione dovrebbero essere identiche in quanto compilate una sola
volta con “carta copiativa” (cfr. sul punto la deposizione dell’operante e quelle delle
persone offese, le quali avevano escluso di aver compilato le schede nelle parti
predette: punti 2 ss. della sentenza di primo grado).
3.2. La Corte d’Appello ha ritenuto del tutto irrilevanti tali difformità, dal
momento che le schede “complete” erano state comunque trasmesse dalla banca
alle singole persone offese (ed era questo il momento, per la Corte, in cui si
perfezionava il rapporto contrattuale tra banca e cliente). Le parti civili, come ogni
altro cliente, erano perciò state messe in grado di conoscere il profilo di rischio a
ciascuna attribuito dalla MAMMETTI nella scheda, e quindi di «valutare la
conformità alla realtà della classificazione effettuata

ex adverso,

e

conseguentemente l’adeguatezza dell’investimento proposto all’effettiva
propensione al rischio del cliente stesso» (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
Immediate e dirimenti, secondo la Corte territoriale, sono le conseguenze
dell’accertamento di tale situazione fattuale sull’accusa di truffa contestata alla
MAMMETTI: la trasmissione dalla banca ai clienti delle schede integralmente
compilate avrebbe infatti determinato «la scoperta inequivocabile del presunto
“raggiro” da parte del soggetto passivo del delitto», con conseguente interruzione
del nesso causale tra le condotte decettive ascritte alla MAMMETTI e gli atti di
disposizione patrimoniale delle persone offese (cfr. pag. 6 della sentenza
impugnata).
4. Ritiene il Collegio che tale percorso argomentativo non sia in linea con i
principi affermati dalla sentenza Troise delle Sezioni Unite, perché la sussistenza
del presupposto fattuale da cui prende le mosse – l’avvenuta spedizione a ciascuna
parte civile delle schede compilate integralmente, anche quanto alla propensione
al rischio ecc. – viene affermata in modo del tutto apodittico, senza alcun tipo di
indicazione delle fonti probatorie da cui la Corte ha tratto tale convincimento.
Come ripetutamente evidenziato nel ricorso delle parti civili, tale spedizione
con effetti sananti non emerge da alcuna delle risultanze valorizzate nella sentenza
di primo grado, da cui emerge invece pacificamente la richiamata difformità tra le

dall’investitore). Tale difformità è stata ritenuta totalmente anomala, perché le

copie delle schede in possesso delle parti civili e le copie rinvenute dalla banca,
complete in ogni :oro parte (cfr. punto 3 della sentenza). Del resto, il Tribunale ha
diffusamente valorizzato tale difformità, ritenuta pienamente funzionale alla
condotta delittuosa della MAMMETTI (cfr. punto 6 della sentenza di primo grado),
come indirettamente confermato dal fatto che, dopo il cambio di promotore
finanziario avvenuto in conseguenza della presentazione della querela, il nuovo
operatore aveva attribuito alle parti civili un profilo di rischio (“prudente”) del tutto
difforme da quello indicato nella copia delle schede rinvenuta in banca (ma non

5. Quanto fin qui esposto consente di ritenere assorbita ogni ulteriore censura
prospettata (anche in ordine all’individuazione del momento perfezionativo del
contratto e alla falsificazione delle schede mentre le parti civili si trovavano
all’estero), in quanto l’impianto motivazionale utilizzato dalla Corte d’Appello per
riformare la sentenza di condanna in primo grado, non risulta ancorata «alle
risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza»: (cfr. supra, § 2).
In accoglimento dell’impugnazione proposta agli effetti civili, la sentenza della
Corte territoriale deve pertanto essere annullata, con rinvio al giudice competente
per valore in grado d’appello.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in
grado di appello.

Così deciso il 4 luglio 2018
,

anche in quella in possesso delle parti civili).

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