Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19632 del 24/07/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 19632 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA

sul ricorso 10875-2016 proposto da:
CONSULMARKETING

S.P.A.,

in

del

persona

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato
BIAGIO CARTILLONE, giusta procura in atti;
– ricorrente –

2018
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contro

FEDELE LUCIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
TORTONA 4, presso lo studio dell’avvocato STEFANO
LATELLA, che la rappresenta e difende unitamente

Data pubblicazione: 24/07/2018

all’avvocato LAURA IMPARATO, giusta procura in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 312/2016 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 02/03/2016, r.g.n. n.
1318/2015;

udienza del 15/02/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIA
GARRI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso per
il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato Laura Imparato.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

r.g. n. 10875/2016

FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Milano ha respinto il reclamo proposte dalla Consulmarketing
s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Milano che aveva accertato la illegittimità
del licenziamento intimato dalla società a Lucia Fedele e, dichiarata la risoluzione del
rapporto di lavoro, aveva condannato la società al risarcimento del danno quantificato
in 14 mensilità di retribuzione.

pacifica in causa l’alterazione manuale dei dati risultanti dalle timbrature del sistema
di rilevazione automatica delle presenze. Per contro l’ha ritenuta generica nella parte
in cui contesta che le modifiche sarebbero state finalizzate ad ottenere il pagamento di
compensi non dovuti facendo figurare fittiziamente la presenza in azienda negli orari
oggetto dell’arbitraria modificazione, sicché la lavoratrice non sarebbe stata posta in
condizione di replicare puntualmente a tali addebiti. Secondo il giudice di appello
infatti una cosa sarebbe l’alterazione delle timbrature, altra invece la copertura di
assenze dal servizio con tali alterazioni. Conseguentemente la Corte di merito ha
verificato la proporzionalità della sanzione con riguardo alla contestazione ritualmente
formulata e l’ha esclusa avendo accertato che nella specie non era ravvisabile la
condotta fraudolenta contestata il che esonerava la Corte dal confrontarsi con la
censura con la quale era evidenziata la vincolatività della sanzione prevista dalla
contrattazione collettiva.
3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Consulmarketing s.p.a. con otto
motivi ai quali resiste con controricorso Lucia Fedele.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. I motivi di ricorso:
4.1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 7 comma 2 della
legge 20 maggio 1970 n. 300 in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc.
civ.. Ad avviso della società ricorrente erroneamente la Corte di appello ha ritenuto
generica la contestazione sebbene questa contenesse una dettagliata descrizione degli
addebiti rispetto ai quali la lavoratrice nel corso del procedimento disciplinare si era
compiutamente difesa.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 112 cod. proc.
civ. e dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 in relazione all’art. 360 primo comma n. 3
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2. La Corte territoriale, per quanto qui interessa, al pari del primo giudice, ha ritenuto

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cod. proc. civ.. Sostiene la ricorrente che la Corte non avrebbe potuto rilevare la
genericità della contestazione in assenza di una eccezione della parte nella specie
insussistente.
4.3. Il terzo motivo di ricorso ha ad oggetto la violazione dell’art. 229 del c.c.n.l. del
settore commercio, dell’art. 3 del codice disciplinare aziendale e dell’art. 18 commi 4 e
5 della legge n. 300 del 1970 e si deduce che il fatto contestato alla lavoratrice era

4.4. Il quarto, motivo denuncia la violazione dell’art. 18 comma 6 della legge n. 300
del 1970 e dell’art. 7 della legge citata atteso che ove pure ammessa la genericità
della contestazione dell’addebito si tratterebbe di un vizio procedurale sanzionabile
con il solo risarcimento nella misura non superiore a dodici mensilità di retribuzione ai
sensi del sesto comma del citato art. 18.
4.5. Con il quinto motivo poi si evidenzia che i giudici di merito, nel ritenere che era
stata contestata alla lavoratrice solo una falsità materiale delle timbrature e non
anche quella ideologica, avrebbero omesso di esaminare la lettera di contestazione
degli addebiti nella sua interezza trascurando di considerare che, al contrario, alla
lavoratrice era stato mosso anche il rilievo di aver modificato le timbrature per
ottenere il pagamento di compensi non dovuti certificando falsamente la sua presenza
in azienda.
4.6. Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 2697 secondo comma
cod. civ, per avere la Corte di appello ritenuto provata la assenza di dolo da parte
della lavoratrice, l’esistenza di una prassi aziendale circa la rettifica delle timbrature
ed il malfunzionamento del computer senza che al riguardo la lavoratrice, che ne era
onerata, avesse offerto alcuna prova.
4.7. Nel settimo motivo di ricorso la società si duole della mancata ammissione delle
prove testimoniali chieste tese a dimostrare che con le correzioni apportate la
lavoratrice aveva falsamente attestato la sua presenza in ufficio, tanto in violazione
dell’art. 183 settimo comma cod. proc. civ..
4.8. Con l’ultimo motivo di ricorso, infine, è denunciata la violazione degli artt. 91 e 92
secondo comma cod. proc. civ. in relazione all’avvenuta condanna della società al
pagamento delle spese che avrebbero dovuto essere compensate stante il mancato
accoglimento della richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro.
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pacificamente punibile con il licenziamento.

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5. I primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono in parte
inammissibili ed in parte infondati.
5.1.Va rammentato che ai sensi dell’art. 7 comma 2 della legge n. 300 del 1970 ai fini
della legittima irrogazione di una sanzione disciplinare si impone la previa
contestazione dell’addebito, da intendersi come esposizione dei dati e degli aspetti
essenziali del fatto materiale posto a base della sanzione da irrogare. La contestazione

la condotta ritenuta disciplinarmente rilevante, in modo da tracciare il perimetro dell’
immediata attività difensiva del lavoratore. Conseguentemente per essere specifica
deve fornire le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua
materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni
disciplinari (cfr. tra le tante Cass. 21/04/2017 n. 10154, 13/06/2013 n. 14880,
06/05/2011 n. 10015). Si tratta evidentemente di un accertamento che richiede
un’indagine di fatto che è censurabile in sede di legittimità nei limiti dettati oggi dal
testo novellato dall’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ.,

ratione temporis

applicabile nel caso in esame (cfr. Cass. ult. cit.).
5.2. Tanto premesso va rammentato che, nella specie, l’addebito non si sostanziava
solo nell’alterazione delle timbrature degli orari di entrata e di uscita, ma anche
nell’essersene avvantaggiato per ottenere un indebito pagamento di compensi non
dovuti. E’ con riguardo a tale ultimo e decisivo profilo fattuale che la Corte di merito
ha motivatamente ravvisato una genericità della contestazione. Ed infatti il giudice di
appello ha proceduto ad un analitico esame della contestazione disciplinare ed ha
accertato che la stessa conteneva una articolata descrizione dell’addebito consistito
nella alterazione manuale dei dati risultanti dalle timbrature del sistema di rilevazione
automatica delle presenze. Ha poi evidenziato che la norma collettiva invocata (l’art.
229 del c.c.n.I.) e la disposizione del codice disciplinare che la società ha inteso
applicare (art. 3 del codice disciplinare), comminano il licenziamento nel caso in cui
l’alterazione sia volta a far risultare una fittizia presenza sul luogo di lavoro. Ha quindi
sottolineato che la contestazione di addebito, se era dettagliata nell’indicare le date e
gli orari che erano risultati alterati, non lo era altrettanto con riguardo alla fittizietà e
fraudolenza di tali timbrature alterate. Nel rammentare che in tal modo la ricorrente
non era stata posta in grado di comprendere quali fossero le alterazioni che erano da
ricollegare ad un fraudolento occultamento dell’assenza dal luogo di lavoro, e quindi di

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disciplinare deve delineare l’addebito, come individuato dal datore di lavoro, e quindi

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predisporre una difesa circostanziata, ha concluso per la parziale genericità della
contestazione.
5.3. Ciò posto, la censura con la quale si lamenta l’erroneità della decisione che ha
ritenuto generica la contestazione, nonostante questa contenesse una dettagliata
descrizione degli addebiti rispetto ai quali la lavoratrice nel corso del procedimento
disciplinare si era compiutamente difesa, non coglie il senso della decisione e si limita

specificità, senza tuttavia in nessun modo scardinare la ricostruzione operata dalla
Corte di appello, aderénte al contenuto dell’addebito e rispettosa della’ regola dettata
dall’art. 7 comma 2 dello Statuto dei lavoratori.
5.4. Quanto alla denunciata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. osserva il Collegio
che dalla sentenza della Corte di appello risulta che il tema della inadeguata
contestazione di alcuni dei fatti contestati apparteneva al processo già nel giudizio di
opposizione e dunque la società ricorrente avrebbe dovuto specificare nel suo motivo
di ricorso in che termini esattamente la questione era stata sollevata così da
consentire a questa Corte di apprezzare l’esistenza del vizio denunciato. Alla
genericità del motivo formulato consegue allora la declaratoria di inammissibilità dello
stesso.
6. Il terzo, il quinto, il sesto ed il settimo motivo di ricorso, che attengono sotto vari
profili all’esatta ricostruzione del fatto addebitato alla lavoratrice ed al conseguente
giudizio di gravità, devono essere esaminati congiuntamente e non possono essere
accolti perché inammissibili (il quinto che mira ad una diversa ricostruzione dei fatti) e
comunque per alcuni aspetti infondati (il sesto non essendo stato affatto invertito
l’onere della prova nel dimostrare l’esistenza della prassi aziendale di procedere alla
correzione manuale in caso di malfunzionamenti del sistema informatico atteso che la
Corte si è basata sulle dichiarazioni rese da alcuni dei testi escussi nel corso del
giudizio).
6.1. Va rilevato che una volta espunta dalla contestazione, a cagione della genericità
dell’indicazione, la condotta ulteriore rispetto all’alterazione di alcuni cartellini di
presenza, correttamente la Corte territoriale ha valutato i soli fatti correttamente
contestati alla lavoratrice e, con una ricostruzione che non è incisa dalle censure
formulate nel ricorso, ne ha escluso sia la riconducibilità alla fattispecie delineata dalla
norma collettiva ( )’art. 229 c.c.n.l. del settore commercio) ed a quella indicata
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ad opporre una sua lettura della contestazione disciplinare, di cui assume la

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dall’art. 3 del codice disciplinare aziendale. In realtà la censura tende, ancora una
• volta, ad ottenere dalla Corte di legittimità una riconsiderazione dei fatti non
consentita. Quanto ai dedotti vincoli alla valutazione della proporzionalità della
sanzione rispetto al fatto comunque accertato va rilevato che la Corte di merito nella
sua valutazione si è attenuta vi principi affermati dalla Cassazione che ha in più
occasioni affermato che la valutazione della legittimità del licenziamento disciplinare di
un lavoratore per una condotta contemplata, a titolo esemplificativo, da una norma

ogni caso, effettuata attrayerso un accertamento in concreto, da parte del giudice di
merito, della reale entità e gravità del comportamento addebitato al dipendente,
nonché del rapporto di proporzionalità tra sanzione ed infrazione, anche quando si
riscontri l’astratta corrispondenza di quel comportamento alla fattispecie tipizzata
contrattualmente, occorrendo sempre che la condotta sanzionata sia riconducibile alla
nozione legale di giusta causa, tenendo conto della gravità del comportamento in
concreto del lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo, con
valutazione in senso accentuativo rispetto alla regola della “non scarsa importanza”
dettata dall’art. 1455 c.c. (cfr. Cass. 05/04/2017 n. 8826,

04/03/2013 n. 5280,

19/08/2004 n. 16260).
6.2. Quanto alla mancata ammissione delle prove testimoniali chieste tese a
dimostrare che con le correzioni apportate la lavoratrice aveva falsamente attestato la
sua presenza in ufficio la censura è inammissibile poichè con essa il ricorrente si duole
della valutazione rimessa al giudice del merito, quale è quella di non pertinenza della
denunciata mancata ammissione della prova orale rispetto ai fondamenti della
decisione, senza allegare le ragioni che avrebbero dovuto indurre ad ammettere tale
prova, né adempiere agli oneri di allegazione necessari a individuare la decisività del
mezzo istruttorio richiesto e la tempestività e ritualità della relativa istanza di
ammissione (cfr. in termini recentemente Cass. sez. VI-L ord. 04/04/2018 n. 8204 ma
già Cass. 23/04/2010 n. 9748)

7. Il quarto motivo di ricorso con il quale è denunciata la violazione dell’art. 18 comma
6 della legge n. 300 del 1970 e dell’art. 7 della legge citata sul rilievo che, ove pure
ammessa la genericità della contestazione dell’addebito, allora trattandosi di un vizio
procedurale la Corte avrebbe dovuto applicare la tutela dettata dal sesto comma
dell’art. 18, non coglie il senso della decisione che, limitata l’analisi della legittimità al
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del contratto collettivo fra le ipotesi di licenziamento per giusta causa deve essere, in

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solo addebito ritualmente contestato, avendo accertato la sproporzione della sanzione
ha, in adesione ai principi dettati in proposito da questa Corte correttamente applicato
la tutela indennitaria forte (cfr. con riguardo alle nuove tutele di cui all’art. 18 dello
Statuto nel testo novellato dalla legge n. 92 del 2012 Cass. 25/05/2017 n. 13178).
8. Anche l’ultimo motivo che investe il capo delle spese è infondato.
8.1. Costituisce principio ripetutamente affermato da questa Corte dal quale non vi

valutazione della opportunità della compensazione totale o parziale delle stesse rientra
nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunciate in sede di
legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza (consistente nel divieto di
condanna alle spese della parte che risulti totalmente vittoriosa), o liquidazioni che
non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole
voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di
ulteriori indagini (ex plurimis: Cass. 29 aprile 1999, n. 4347; Cass. 14 aprile 2000, n.
4818; Cass. 2 febbraio 2001, n. 1485; cfr. pure Cass. 4 luglio 2011, n. 14542). In
particolare, poiché il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che
non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a
carico della parte totalmente vittoriosa, esula dai limiti commessi all’accertamento di
legittimità e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione
dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi
di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (cfr. Cass.19
giugno 2013, n. 15317).” (cfr. Cass. 05/07/2016 n. 13660).
9. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le
spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi
dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13
comma 1 bis del citato d.P.R..
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.

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sono ragioni di discostarsi quello secondo cui “in tema di spese processuali, la

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Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si
liquidano in C 5000,00 per compensi professionali, C200,00 per esborsi, 15% per
spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 febbraio 2018

Il Consigliere estensore
Fabrizia Garri

dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R..

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