Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19152 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 19152 Anno 2018
Presidente: ARMANO ULIANA
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

ORDINANZA

sul ricorso 8624-2016 proposto da:
DEL BUONO DARIO, FORMICHETTI MARIA LUISA, DEL BUONO
FABIO nella qualità di eredi di DEL BUONO EUFEMIO,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CAIO MARIO, 13,
presso lo studio dell’avvocato SAVERIO COSI, che li
rappresenta e difende giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrenti contro

2018
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GENERALI ASSICURAZIONI SPA;
– intimata-

Nonché da:
GENERALI ITALIA SPA in persona del procuratore

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Data pubblicazione: 19/07/2018

speciale PIERLUIGI PELLINO, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA G. D’AREZZO 32, presso lo studio
dell’avvocato MATTEO MUNGARI, che la rappresenta e
difende giusta procura speciale in calce al
controricorso e ricorso incidentale;

contro

FORMICHETTI MARIA LUISA, DEL BUONO FABIO, DEL BUONO
DARIO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 4424/2015 del TRIBUNALE di
ROMA, depositata il 25/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 08/03/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA
GRAZIOSI;

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– ricorrente incidentale –

Rilevato che:

8624/2016

Avendo Eufemio Del Buono ottenuto, in relazione a una polizza attinente a spese
sanitarie stipulata con Generali Assicurazioni S.p.A., negli anni 2000 e 2001 dal giudice di
pace di Roma alcuni decreti ingiuntivi per rimborso di spese mediche derivate da un
intervento chirurgico subito nel marzo 2000, con distinti atti di citazione Generali si
opponeva, adducendo che, quando controparte aveva subito l’intervento, la polizza era
sospesa per mancato pagamento del premio assicurativo, scaduto da oltre quattro mesi.

Riunite cinque cause di opposizione a cinque decreti, il giudice di pace in data 7 dicembre
2001 si dichiarava incompetente per valore; Generali riassumeva le cause davanti al
Tribunale di Roma, che a sua volta si dichiarava incompetente, chiedendo quindi
regolamento di competenza. Con ordinanza n. 10374/2005 questa Suprema Corte
dichiarava competente il giudice di pace, davanti al quale Generali riassumeva, e il Del
Buono si costituiva eccependo la nullità dell’atto di citazione in riassunzione per mancata
determinazione dell’oggetto della domanda, avendovi Generali chiesto la revoca di un
sesto decreto ingiuntivo, il decreto n. 13576/2001, oggetto di autonomo giudizio davanti
al Tribunale di Roma; il Del Buono eccepiva anche violazione del principio ne bis in idem
nonché litispendenza di domanda riconvenzionale di Generali.
Con sentenza n. 933644/2008 il giudice di pace accoglieva l’opposizione avverso il
decreto n. 13576/2001, revocandolo.
Generali proponeva appello, adducendo violazione dell’articolo 112 c.p.c.: assumeva di
avere riassunto le opposizioni avverso gli altri cinque decreti ingiuntivi, e non
l’opposizione avverso il decreto revocato, che non sarebbe stato oggetto del giudizio;
ribadiva la fondatezza delle sue opposizioni agli altri cinque decreti – precisamente i
decreti ingiuntivi nn. 23028 e 23815 del 2000 nonché 1637, 2803 e 6716 del 2001 chiedendone la revoca. Da questo appello derivava dinanzi al Tribunale di Roma la causa
n. 74423/2009 R.G., nella cui prima udienza, il 3 febbraio 2010, veniva comunicato il
decesso dell’appellato, e alla cui successiva udienza il Tribunale dichiarava l’interruzione.
Generali riassumeva la causa e si costituivano gli eredi del Del Buono, cioè Maria Luisa
Formichetti, Dario Del Buono e Fabio Del Buono. Questi nel frattempo avevano appellato
la stessa sentenza del giudice di pace, chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo n.
13576/2001, dando così luogo alla causa n. 70252/2009 R.G. dinanzi al Tribunale di
Roma, nella quale Generali, chiesta la riunione dell’altra causa, proponeva comunque
appello incidentale per la revoca degli altri cinque decreti.
Riunite le due suddette cause, con la sentenza del 25 febbraio 2015 il Tribunale di Roma
rigettava l’appello principale degli eredi del Del Buono e accoglieva l’appello incidentale di
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L’opposto si costituiva insistendo nella sua pretesa.

Generali, revocando i cinque decreti ingiuntivi e condannando, come richiesto, gli eredi
del Del Buono a restituire a Generali le somme eventualmente ricevute in forza dei
decreti.
Hanno presentato ricorso Maria Luisa Formichetti, Dario Del Buono e Fabio Del Buono,
articolandolo in quattro motivi; si è difesa Generali con controricorso, nel quale è stato
proposto anche ricorso incidentale con un unico motivo. Generali ha depositato pure

Considerato che:
1. Deve essere in primo luogo esaminato il ricorso principale.
1.1 II motivo sub A denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione o falsa
applicazione dell’articolo 339 c.p.c.
Il Tribunale avrebbe omesso di valutare l’inammissibilità dell’appello per i decreti
ingiuntivi n. 23028/2000 – ingiungente il pagamento di £. 1.512.000 -, n. 23815/2000 ingiungente il pagamento di £. 500.400 -, n. 1637/2001 – ingiungente il pagamento di £.
1.436.000 -e n. 6716/2001 – ingiungente il pagamento di £. 2.000.000 – (il quinto
decreto ingiuntivo, cioè il n. 2803/2001, ingiungeva al pagamento di £. 3.727.500).
Richiamano i ricorrenti giurisprudenza di questa Suprema Corte attinente alla
competenza funzionale del giudice di pace sull’opposizione ai decreti ingiuntivi che abbia
emesso, invocando altresì il consolidato orientamento per cui il cumulo del valore delle
opposizioni a decreti ingiuntivi non incide sulla competenza del giudice adito, solo un
eventuale domanda riconvenzionale che ne supera la competenza per valore potendo
essere rimessa ad altro giudice competente. Quindi osservano che tutti i decreti ingiuntivi
su cui decise la sentenza di primo grado, tranne il n. 2803/2001, avevano un valore
inferiore a C 1100, per cui Generali avrebbe potuto proporre appello soltanto ai sensi
dell’articolo 339, ultimo comma, c.p.c. per violazione delle norme costituzionali o
comunitarie e dei principi regolatori della materia; ma Generali non avrebbe addotto tali
motivi in atto d’appello (qui il motivo si dilunga in una trascrizione di ben cinque pagine
di tale atto), per cui sussisterebbero inammissibilità “della domanda” e violazione
dell’articolo 339 c.p.c.
Questo motivo è manifestamente infondato perché nell’atto di appello fu denunciata da
Generali violazione delle norme processuali in relazione alle opposizioni a decreto
ingiuntivo (tale violazione, tra l’altro, fu denunciata anche per la domanda
riconvenzionale risarcitoria). E a fronte della violazione di norme processuali consolidata
giurisprudenza di questa Suprema Corte insegna che non si riscontra alcuna
inappellabilità ex articolo 113 c.p.c., giacché esse investono la tutela del diritto di difesa
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memoria.

costituzionalmente sancita (v. Cass. sez. 1, 22 marzo 2007 n. 6990; Cass. sez. 3, 25
agosto 2006 n. 18508; Cass. sez. 3, 25 agosto 2006 n. 18493; Cass. sez. 1, 2 febbraio
2006 n. 2332; Cass. sez. 3, 11 gennaio 2006 n. 270; Cass. sez. 3, 8 novembre 2005 n.
21663; Cass. sez. 3, 8 luglio 2005 n. 14454; S.U. 22 gennaio 2003 n. 875; S.U. 15
ottobre 1999 n. 716).
1.2.1 II motivo sub B denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e
falsa applicazione degli articoli 324, 112 e 50 c.p.c.: il giudice d’appello ha accolto le

2803 e 6716 del 2001 in forza della motivazione: “tutte le opposizioni ai decreti ingiuntivi
poi riunite si fondano su prova scritta”. In realtà, dopo Cass. ord. 10374/2005, che aveva
effettuato il regolamento della competenza individuandola in capo al giudice di pace,
Generali avrebbe riassunto soltanto l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 13756/2001,
come risulterebbe dalla sentenza del giudice di pace di primo grado che limiterebbe
infatti la sua decisione ad esso, revocandolo. Generali avrebbe dovuto riassumere anche
le opposizioni agli altri cinque decreti ingiuntivi entro il termine ex articolo 50 c.p.c.,
all’omessa riassunzione conseguendo l’estinzione del giudizio di opposizione e la
irrevocabilità del decreto ingiuntivo. Pertanto il Tribunale avrebbe violato pure l’articolo
112 c.p.c., perché si sarebbe pronunciato su opposizioni estranee al thema decidendum.
1.2.2 Il motivo è infondato.
Il decreto ingiuntivo n. 13756/2001, quando fu effettuato l’atto di riassunzione a seguito
dell’ordinanza di regolamento di questa Suprema Corte, era stato opposto davanti al
Tribunale di Roma, e non era quindi tra i cinque decreti ingiuntivi opposti che avevano
dato luogo alle cinque cause riunite davanti al giudice di pace già prima che questo se ne
dichiarasse (erroneamente, come poi fu accertato) incompetente.
Peraltro, come risulta anche da un passo della sentenza di primo grado riportato nel
ricorso, l’atto di riassunzione esponeva nelle premesse proprio le questioni attinenti ai
cinque decreti ingiuntivi e vi faceva riferimento comunque anche nelle conclusioni. In
particolare (motivazione della sentenza di primo grado, pagina 8) il giudice di pace vi
aveva esattamente rilevato che Generali aveva concluso chiedendo la revoca del decreto
ingiuntivo n. 13576/2001 per quanto esposto “negli atti di opposizione a decreto
ingiuntivo proposti dinanzi al Giudice di Pace” e la condanna del Del Buono a restituire “le
somme eventualmente corrisposte in esecuzione ai decreti ingiuntivi di cui in premessa”;
e ancora il giudice di primo grado (sempre a pagina 8 della motivazione) aveva rimarcato
che “nelle premesse” dell’atto di riassunzione Generali “si riporta al contenuto delle
opposizioni a decreto ingiuntivo precedentemente svolte (relative ai D.I. nn. 23028/00;
23815/00; 1637/01; 2803/01 e 6716/01)”. E nelle conclusioni dell’atto di riassunzione
Generali chiedeva inoltre la condanna dell’opposto “a ripetere le somme eventualmente
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opposizioni nei confronti dei cinque decreti ingiuntivi nn. 23028 e 23815 del 2000, 1637,

corrisposte in esecuzione ai decreti ingiuntivi di cui in premessa” nonché la condanna
risarcitoria chiesta con la domanda riconvenzionale che aveva presentato nell’atto di
opposizione ad uno degli altri cinque decreti ingiuntivi, e precisamente al decreto n.
6716/2001.
Il giudice d’appello dà atto che Generali hanno proposto il gravame proprio per avere il
giudice di pace revocato il decreto n. 13756/2001 anziché gli altri cinque. Poi, pur sulla
base una motivazione non particolarmente chiara, accoglie tale gravame revocando i

La decisione del Tribunale è condivisibile.
In primo luogo deve darsi atto che la giurisprudenza di questa Suprema Corte afferma
che nell’atto di riassunzione, dal momento che non genera un nuovo procedimento, bensì
attua la prosecuzione di un procedimento già avviato, deve valere quel che è nel corpo
dell’atto, anche nell’ipotesi in cui le sue conclusioni siano diverse (tra gli arresti più
recenti, v. Cass. sez.2, 19 dicembre 2017 n. 30529, Cass. sez. 6-2, 8 febbraio 2017 n.
3389 e Cass. sez. 1, 30 ottobre 2014 n. 23073).
In secondo luogo, non si può non riconoscere che si è dinanzi ad un evidente errore
materiale, inidoneo ad alterare, quindi, la voluntas della parte riassumente (cfr. Cass.
sez. L, 15 aprile 1998 n. 3820, per cui può sussistere errore materiale nella redazione di
un atto processuale di parte – come può avvenire in un provvedimento del giudice -,
ovvero l’errore che, “dovuto ad una mera svista, sia chiaramente rilevabile dal testo
stesso dell’atto”), dato che le conclusioni, quanto alla revoca del decreto n. 13756/2001,
non sono correlate al contenuto dell’atto, a differenza invece delle altre conclusioni – che
confermano che cosa realmente chiedeva Generali riassumendo — proposte nel senso
della condanna alla restituzione dell’importo degli altri cinque decreti e della condanna
risarcitoria chiesta in via riconvenzionale in una delle cause di opposizione ad uno dei
cinque decreti ingiuntivi, precisamente – come già rilevato -nella opposizione al decreto
n. 6716/2001. Non è incorso quindi in ultrapetizione alcuna il giudice d’appello, e il
motivo, in conclusione, non merita accoglimento.
1.3 Il motivo sub C denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione o falsa
applicazione degli articoli 112, 50 e 324 c.p.c.
Quando il giudice di pace con provvedimento del 7 dicembre 2001 aveva dichiarato la sua
incompetenza per valore, non si era pronunciato sulle opposizioni ai cinque decreti
ingiuntivi; “nell’ipotesi” in cui tale pronuncia di incompetenza avesse implicato la
pronuncia di nullità dei decreti ingiuntivi, la sentenza qui impugnata avrebbe violato
appunto gli articoli 112 e 324 c.p.c., poiché “oggetto di domanda non poteva essere né la
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cinque decreti.

revoca del monitorio, implicitamente nullo, né il relativo giudizio di opposizione”, bensì
soltanto l’accertamento negativo del credito; ma quest’ultimo non sarebbe stato chiesto
nell’appello da Generali che avrebbe chiesto invece solo la revoca del monitorio, per cui
illegittima sarebbe la sentenza impugnata per avere revocato i “monitori opposti”, e ciò
per inammissibilità della domanda e contrasto con gli articoli 324 e 50 c.p.c.; ma
soprattutto illegittima sarebbe laddove dispone la restituzione delle somme percepite,
perché sarebbero mancate, appunto, le domande di accertamento negativo e di

Inoltre la riassunzione non avrebbe riguardato “nessuno dei giudizi di opposizione”, che si
erano quindi estinti, onde sui decreti si sarebbe formato il giudicato.
Quest’ultimo argomento è palesemente una riproposizione del contenuto del precedente
motivo, al quale pertanto si rimanda.
Per il resto, il motivo si fonda su quella che esso stesso definisce una “ipotesi”, cioè che il
giudice di primo grado abbia dichiarato nulli i cinque decreti quando si è dichiarato
incompetente per valore; ma tale nullità non fu dichiarata, non avendolo dimostrato
appunto il motivo ed emergendo d’altronde dalla stessa sentenza di primo grado che la
dichiarazione non fu pronunciata (così a pagina 5 della motivazione: “All’udienza del 7
dicembre 2001 il giudice… provvedeva alla riunione delle opposizioni e contestualmente
dichiarava la propria incompetenza per valore a seguito del cumulo delle somme portate
nei decreti ingiuntivi assegnando il termine di giorni 90 per la riassunzione della causa
dinanzi al Tribunale Civile di Roma”). E dunque la censura risulta manifestamente
infondata.
1.4 Il motivo sub D denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione del
principio ne bis in idem ex articoli 324 c.p.c. e 2909 c.c.
La sentenza appellata del giudice di pace revocò il decreto ingiuntivo n. 13576/2001, ma
non avrebbe potuto pronunciare su di esso, perché era già stato annullato da una
pronuncia del Tribunale di Roma, la sentenza n. 23958/2006, poi confermata da Cass.
24105/2013. Pertanto neppure il giudice d’appello avrebbe potuto “delibare nel merito”
l’opposizione a tale decreto ingiuntivo.
A prescindere dal fatto che quest’ultimo motivo, che si stende nel ricorso da pagina 27 a
pagina 34, consiste da pagina 28 a pagina 34 nella mera trascrizione di Cass.
24105/2013 – con evidente ripercussione di inammissibilità per assemblaggio -, si rileva
peraltro che questo motivo è assorbito dal rigetto del secondo, e che comunque il giudice
di secondo grado non ha deciso sul decreto n. 13756/2001 bensì sugli altri cinque
decreti.
7

restituzione.

In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato.
2. Il ricorso incidentale propone un unico motivo, che, ex articolo 360, primo comma, n.3
c.p.c., denuncia omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale di risarcimento di
danni proposta da Generali.
Generali adduce che, “come emerge dagli atti di causa”, aveva chiesto la condanna, del
Del Buono prima e dei suoi eredi poi, a risarcirle il danno derivante dalla condotta

stata riproposta nell’atto di riassunzione, dove si affermava che “la condotta processuale
di controparte…ha causato … un danno ingiusto concretatosi nella mancata opposizione di
due degli otto” decreti ingiuntivi notificati, “prevedibile vista l’ambiguità degli identici
decreti notificati e la naturale lentezza dei passaggi amministrativi” entro Generali,
“colosso” assicurativo, “il cui risarcimento è stato richiesto in via riconvenzionale” ai sensi
dell’articolo 2043 c.c. per l’importo di € 3848,63: domanda che “è stata oggetto di uno
specifico motivo d’appello”. A pagina 14 dell’atto d’appello si rinviene infatti: “La
domanda riconvenzionale è stata del tutto pretermessa nella sentenza impugnata e viene
pertanto reiterata nel presente giudizio”.
Il motivo è fondato, in quanto sussiste la lamentata omissione di pronuncia.
Invero, come risulta dalla sentenza di primo grado (pagina 8 della motivazione), e
comunque già si è visto sopra, nell’atto di riassunzione a seguito dell’ordinanza di
regolamento della competenza emessa da questa Suprema Corte era stata riproposta
anche la domanda riconvenzionale risarcitoria. Su questa vi fu omessa pronuncia del
primo giudice. L’atto d’appello, come viene correttamente riportato nel motivo,
lamentava tale omessa pronuncia, in cui è incorso però pure il giudice d’appello.
Il ricorso incidentale, pertanto, deve essere accolto.
In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato, con conseguente condanna – in
solido per il comune interesse processuale -dai ricorrenti alla rifusione a controparte delle
spese processuali, liquidate come da dispositivo; sussistono ex articolo 13, comma 1
quater, d.p.r. 115/2012 i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a
norma del comma 1 bis dello stesso articolo. Il ricorso incidentale, invece, deve essere
accolto sussistendo l’omessa pronuncia denunciata, con conseguente rinvio al Tribunale
di Roma in persona di altro giudice monocratico.
P.Q.M.

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processuale consistente in una ingiustificata parcellizzazione del credito. La domanda era

Rigetta il ricorso principale e condanna solidalmente i ricorrenti a rifondere a controparte
le spese processuali, liquidate in un totale di C 1400, oltre a C 200 per gli esborsi, al 15%
per spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello
stesso articolo 13.

Così deciso in Roma 1’8 marzo 2018

Accoglie il ricorso incidentale, con conseguente rinvio al Tribunale di Roma.

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