Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20011 del 11/04/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20011 Anno 2018
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: CATENA ROSSELLA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
CONGEDO VINCENZO nato il 26/01/1956 a GALATINA

avverso la sentenza del 10/06/2016 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ROSSELLA CATENA;

Data Udienza: 11/04/2018

Fatto e diritto
Con sentenza del 10/06/2016 la Corte d’Appello di Lecce in riforma della
sentenza di primo grado, con cui Congedo Vincenzo era stato condannato a pena
di giustizia per i reati di cui agli artt. 81, comma secondo, 660, 594, 610 cod.
pen., in Soleto dal 24/07/2008 al 06/09/2008, dichiarava non doversi procedere
nei confronti dell’imputato per essere il fatto di cui all’art. 594 cod. pen. non
previsto dalla legge come reato, e per essere il reato di cui all’art. 660 estinto
per prescrizione, con rideterminazione della pena.
Nell’interesse degli imputati è stato proposto ricorso per cassazione, con il quale

qualificazione del fatto, nonché in relazione al trattamento sanzionatorio ed alla
mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Osserva il Collegio che in realtà, le censure aspirano ad una rivalutazione del
compendio probatorio preclusa in questa sede.
Secondo il costante insegnamento di questa Corte, esula dai poteri del giudice di
legittimità quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di
merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di
una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv.
207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia,
Rv. 229369). Nel caso in esame la sentenza impugnata – con motivazione esente
da censure logiche – ha ricordato come le dichiarazioni della persona offesa, non
costituitasi parte civile, fossero logiche, coerenti e disinteressate, oltre che
confermate dalla deposizione di un teste oculare e dalla relazione di servizio
redatta dagli operanti. Altrettanto ineccepibilmente, sotto il profilo della
qualificazione della condotta, la sentenza impugnata ha ricordato come la
condotta dell’imputato avesse limitato la libertà di autodeterminazione della
persona offesa che si era sentita costretta a chiudersi in casa e, in altra
occasione, era stata inseguita in auto e, a causa dello spavento, era andata ad
impattare contro un muro.
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione
dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di
merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le
ragioni del suo convincimento.
La novella codicistica, introdotta con la L. del 20 febbraio 2006, n. 46 ,che ha
riconosciuto la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il
riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di
impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane

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si lamenta vizio di motivazione in riferimento alla valutazione delle prove ed alla

pur sempre un giudizio di legittimità, sicché gli atti eventualmente indicati, che
devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di
autosufficienza del ricorso, devono contenere elementi processualmente
acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere
considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento
impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere
tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Resta, comunque,
esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da
contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa

storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di
prova.
E’ stato ulteriormente precisato che la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc.
pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Cassazione di
sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito
mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni
processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della
prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti
rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia
percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere
limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le
minime incongruenze. (Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099)
Inoltre, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione
inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova
decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione quando la decisione
impugnata abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di
cosiddetta “doppia conforme”, essere superato il limite costituito dal devolutum
con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per
rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati
probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009,
P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano,
Rv. 257499; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 – 29/01/2014, Capuzzi, Rv.
258438).
Quanto al trattamento sanzionatorio, va ricordato che la graduazione della pena,
anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze
aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la
esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati
negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che,
nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della

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lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione

pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento
illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142),
ciò che – nel caso di specie – non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata
motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle
diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di
gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti
essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come
pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n.

fissato in mesi sette di reclusione la pena, al netto degli aumenti per i fatti per i
quali era intervenuta prescrizione e depenalizzazione, considerando, anche ai fini
della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, la gravità del
precedenti penali dell’imputato, elemento determinante ai fini del calcolo della
pena ed altresì incidente sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche, unitamente all’assenza di elementi positivamente valutabili.
Va aggiunto, infine, che la mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che,
pertanto, è insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008,
Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo
cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della
concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli
elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è
sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2,
n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010,
Giovane, Rv. 248244).
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore
della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo
determinare in euro 2.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, il 11 aprile 2018
Il Componente estensore

Il Presidente

36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596). Nel caso in esame la sentenza ha

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