Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18519 del 11/01/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18519 Anno 2018
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: CERRONI CLAUDIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Gallone Donato, nato a Ostuni il 10/06/1974
2. Caliandro Giovanni, nato a Francavilla Fontana il 23/11/1946

avverso la sentenza del 09/02/2017 del Tribunale di Brindisi

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta
Marinelli, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi
uditi per l’imputato Gallone l’avv. Stefano Palma in sostituzione dell’avv. Grazia
Santoro; per l’imputato Caliandro l’avv. Gabriele Giannacori in sostituzione
dell’avv. Mario Laveneziana, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei
ricorsi

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 9 febbraio 2017 il Tribunale di Brindisi ha condannato
Donato Gallone, quale titolare dell’omonimo frantoio, e Giovanni Caliandro, quale
proprietario di un fondo in Francavilla Fontana, alla pena di euro 5000 di

Data Udienza: 11/01/2018

ammenda per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 256, comma 1, lett. a)
d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in esito a giudizio abbreviato ed operata la riduzione
per il rito.
2. Avverso la predetta decisione gli imputati hanno proposto separati ricorsi
per cassazione, entrambi allegando un motivo di impugnazione.
2.1. In particolare, Donato Gallone, invocando violazione di legge con
riferimento all’art. 192 cod. proc. pen. nonché mancanza di motivazione, ha
lamentato l’assenza di qualsivoglia atto di indagine idoneo a confermare la
penale responsabilità circa Io sversamento maleodorante nel terreno identificato

In particolare, in data 12 marzo 2015 era stata presentata domanda per
l’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e della sansa umida sui
terreni di Giovanni Caliandro e di Maria Raffaella Caliandro, per cui non era
possibile presumere lo scarico nell’area incolta di soli 1012 metri quadrati,
allorché il ricorrente avrebbe potuto sversare regolarmente su altri 720.000
metri quadrati. Oltre a ciò, non sussisteva all’evidenza interesse alcuno a siffatto
smaltimento, mentre difettava in effetti ogni prova circa modalità ed oggetto
dello smaltimento.
3. A propria volta Caliandro, lamentando contraddittorietà della motivazione
e travisamento del fatto, ha osservato che aveva semplicemente autorizzato lo
spandimento di acque nei propri terreni elencati nella relazione tecnica, e di non
essere a conoscenza dello spandimento eseguito sul terreno di cui al foglio di
mappa 68 part. 86, essendosi appunto solamente limitato ad autorizzare il
coimputato Gallone ad effettuare gli scarichi, una volta acquisite e autorizzazioni
del caso. Null’altro era in grado di ripotare quanto alle attività di scarico, mentre
non aveva provveduto personalmente ad alcuna attività in tal senso.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità dei
ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I ricorsi sono inammissibili.
4.1. In primo luogo, peraltro, si osserva che è stata correttamente esclusa
l’ipotesi, parimenti contestata, della fertirrigazione.
In proposito, infatti, la pratica della “fertirrigazione”, la cui disciplina si pone
in deroga alla normativa sui rifiuti, presuppone l’effettiva utilizzazione
agronomica delle sostanze e la compatibilità di condizioni e modalità di
utilizzazione delle stesse con tale pratica (Sez. 3, n. 15043 del 22/01/2013,
Goracci, Rv. 255248); richiedendo altresì, in primo luogo, l’esistenza effettiva di
colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento (cfr. Sez. 3, n. 5039 del
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sub f. 68, part. 86, di proprietà del Caliandro.

17/01/2012, Di Domenico, Rv. 251973; Sez. 3, n. 40782 del 06/05/2015, Valigi,
Rv. 264991).
In specie, infatti, il terreno sul quale era avvenuto lo smaltimento indebito
era incolto.
4.2. Per quanto riguarda il ricorso di Giovanni Caliandro, la stessa
impugnazione ha dato comunque conto che lo smaltimento sarebbe avvenuto ad
iniziativa del coimputato Gallone, e che in proposito lo stesso ricorrente non
sarebbe stato in grado di conoscere come ciò poteva essere accaduto.
Va da sé che, anche a tener fede alla ricostruzione operata dal ricorrente, vi

responsabilità del reato contravvenzionale è configurabile anche in presenza di
colpa, in specie derivante dalla negligenza nella cura e nella conservazione del
proprio fondo, interessato dallo smaltimento illecito. Né la legislazione in tema di
rifiuti consente la mera tolleranza come forma di esonero da responsabilità (cfr.
ad es., in tema di gestione di discarica abusiva, Sez. 3, n. 12159 del
15/12/2016, dep. 2017, Messina e altri, Rv. 270354), laddove non è stata
neppure allegata l’eventuale impossibilità di controllare consistenza ed integrità
della proprietà immobiliare.
In altre parole, il ricorso siccome prospettato non è idoneo a disarticolare il
ragionamento del Tribunale brindisino in ordine alla responsabilità del ricorrente.
4.3. In relazione poi al ricorso presentato da Donato Gallone, il Tribunale ha
operato la ricostruzione della vicenda assumendo la lettura della comunicazione
della notizia di reato, dando conto delle dichiarazioni rese dal Caliandro (v.
supra) e degli ulteriori elementi documentali rinvenuti nel corso delle indagini,
traendone adeguate considerazioni in fatto ed in diritto. L’odierno ricorrente non
risulta avere rilasciato dichiarazioni di sorta.
4.3.1. Ciò posto, invero, in tema di giudizio abbreviato gli atti formati
unilateralmente dalla polizia giudiziaria, tra i quali la comunicazione della notizia
di reato, o dal pubblico ministero, riproducono, seppure nella dimensione
cartolare, una prova dichiarativa e devono essere valutati sulla base dei
parametri che regolano l’apprezzamento di tale prova, ove compatibili (Sez. 2, n.
28960 del 10/05/2017, Manca e altro, Rv. 270527).
Al riguardo, il verbale di accertamento del 24 giugno 2015, dal quale
dovrebbe desumersi la mancata identificazione del responsabile dello
sversamento, non è riportato dal ricorrente nella sua integralità bensì in stralcio.
In proposito, peraltro, sono inammissibili, per violazione del principio di
autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta
illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli
brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto
processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei

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sarebbe responsabilità per avere tollerato l’altrui invasione, tanto più che la

contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed
indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale
lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, dep.
2015, Savasta e altri, Rv. 263601).
D’altro canto la ricostruzione fattuale siccome espressa nel provvedimento
impugnato non è viziata da illogicità, né appare ravvisabile violazione di legge,
processuale ovvero sostanziale.
Ivi infatti si dà conto dei rapporti tra gli odierni ricorrenti, quanto agli
spandimenti autorizzati di acque di vegetazione e di lavaggio olive; è riferita la

di spandimenti, ancorché a mezzo di un proprio dipendente (v. supra); è dato
comunque conto, a mezzo dei rilievi tecnici acquisiti e certamente utilizzabili nel
rito abbreviato, anche di attività di spandimento al di fuori dei periodi indicati
nella relazione tecnica idrogeologica di accompagnamento; non è evidenziata la
presenza di altro soggetto operante in zona. Con valutazione riservata
istituzionalmente al giudice del merito, è stata così ricondotta ad entrambi gli
odierni ricorrenti la responsabilità dello smaltimento, che all’uno consentiva la
liberazione dell’azienda e che all’altro assicurava ragionevolmente un vantaggio
economico.
Al riguardo, in materia di valutazione della prova il convincimento del
giudice può fondarsi tanto su prove obiettive quanto su un processo logico
mediante il quale da fatti certi si ricava la conclusione circa l’esistenza del fatto
da provare. A tale scopo occorre che gli elementi di giudizio siano certi; che la
deduzione rientri in un procedimento logico caratterizzato dal massimo rigore di
valutazione; che gli elementi posti a base della argomentazione siano
concordanti.
4.3.2. A detti principi la sentenza impugnata si è certamente uniformata.
E’ stato così affermato che il controllo della logicità della motivazione va
esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali
si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la
possibilità di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano
effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del
processo; sicché nella verifica della fondatezza, o non, del motivo di ricorso ex
art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen., il compito della Corte di
cassazione non consiste nell’accertare la plausibilità e l’intrinseca adeguatezza
dei risultati dell’interpretazione delle prove, coessenziale al giudizio di merito, ma
quello, ben diverso, di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli
elementi a loro disposizione, se abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni
delle parti e se nell’interpretazione delle prove abbiano esattamente applicato le
regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in
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dichiarazione del Caliandro, che nel solo Gallone ha individuato il soggetto autore

tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale
della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Ne consegue che, ai
fini della denuncia del vizio ex art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen., è
indispensabile dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente
carente di motivazione e/o di logica e che non è, invece, producente opporre alla
valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa
ricostruzione, magari altrettanto logica, dato che in quest’ultima ipotesi verrebbe
inevitabilmente invasa l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito
(Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi e altri, Rv. 214567). In tal modo,

di denunciare i vizi di motivazione con riferimento ad “altri atti del processo”, alla
Corte di cassazione restano precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili
o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare al controllo
se la motivazione dei giudici del merito sia intrinsecamente razionale e capace di
rappresentare e spiegare l’iter logico seguito (Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006,
De Vita, Rv. 235507; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
In ogni caso, quindi, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606,
lett. e), cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel
giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte
di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a
quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012,
Minervini, Rv. 253099).
4.4. In definitiva, quindi, il provvedimento impugnato reca motivazione non
manifestamente illogica (tenuto altresì conto che non rileva lo “stralcio”
documentale), in grado di adeguatamente giustificare l’iter logico della decisione.
5. La manifesta infondatezza dei ricorsi ne comporta inevitabilmente la loro
inammissibilità.
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. ed
a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonché quello
del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in C 2.000,00.

P.Q.M.

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pur dopo la novella codicistica operata dalla legge n. 46 del 2006, che consente

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa
delle Ammende.

Così deciso in Roma il 11/01/2018

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