Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16613 del 07/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16613 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
VALENTE ROCCO nato il 21/11/1965 a CANDELA

avverso la sentenza del 27/03/2017 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 07/12/2017

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Firenze ha confermato
la condanna di Rocco Valente esclusivamente in relazione al reato di cui all’art. 544 ter
cod. pen. (ascrittogli per avere incrudelito verso un cucciolo di pastore tedesco,
prendendolo per il collo e picchiandolo con veemenza e lasciandolo legato sul terrazzo
della propria abitazione, per diverso tempo e sotto il sole), dichiarando non doversi
procedere in relazione al reato di cui all’art. 727 cod. pen., in quanto estinto per
prescrizione.

violazione dell’art. 544 ter cod. pen. e vizio della motivazione, con riferimento alla
affermazione della sua responsabilità, prospettando l’erroneità della considerazione della
Corte d’appello, secondo la quale il reato di cui a tale disposizione non presupporrebbe
necessariamente la determinazione di lesioni o malattie, potendo essere integrato anche
dalla sola condotta di costrizione a comportamenti insopportabili per le caratteristiche
etologiche dell’animale, in quanto il solo fatto di tenere legato un animale domestico di
media taglia (trattandosi di un cane di razza pastore tedesco) non poteva essere
qualificato come sevizia, non potendo neppure dirsi accertato univocamente che l’animale
non venisse mai fatto uscire dal terrazzo scoperto nel quale era stato ricoverato; il cane,
inoltre, era stato trovato in buono stato di salute quando era stato sottoposto a visita
veterinaria dopo il suo sequestro, senza mostrare alcun segno riconducibile a uno stato di
disidratazione o denutrizione, tanto che era stato restituito al ricorrente.
Ha eccepito anche l’illogicità della riconduzione degli esiti di una frattura alla
gamba riscontrati sull’animale a proprie condotte, non essendo stati acquisiti elementi
che consentissero di attribuirgli la verificazione di tale evento, e anche del rilievo
attribuito al rinvenimento della carcassa dell’animale abbandonata in un sacco dì plastica,
ritenuto illogicamente dalla Corte d’appello indice della assenza di cura e di disprezzo per
i doveri di custodia nei confronti degli animali, da cui non poteva però ritenersi che il
cucciolo di pastore tedesco in vita fosse stato sottoposto a sevizie o maltrattamenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro riproduttivo dei motivi d’appello, già esaminati e disattesi
dalla Corte territoriale con motivazione adeguata, è manifestamente infondato.
Con esso, infatti, il ricorrente, attraverso la deduzione di violazione dell’art. 544
ter e di vizio della motivazione, tende, in realtà, a conseguire una non consentita
rivalutazione delle risultanze di fatto e della conseguente qualificazione della sua
condotta, giacché sulla base del complesso di quest’ultima i giudici di merito hanno
ritenuto che essa fosse idonea a maltrattare il cucciolo di cane affidato all’imputato
mediante sevizie, sottolineando come l’imputato avesse tenuto il proprio in cane legato
con una corda molto corta, in un terrazzo, senza acqua, senza riparo dal sole e dalla

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Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando

calura estiva e che più volte l’aveva sbattuto contro la ringhiera per farlo smettere di
ululare.
Sulla base di queste non contestate circostanze di fatto, riconosciute dallo stesso
imputato, la Corte territoriale ha, quindi, ritenuto che l’animale fosse stato sottoposto a
sevizie, e cioè a maltrattamenti particolarmente crudeli e feroci, ribadendo l’affermazione
di responsabilità dell’imputato.
Quest’ultimo, a fronte di argomentazioni coerenti con le risultanze di fatto e
immuni da vizi, propone una riconsiderazione delle risultanze di fatto, allo scopo di

legittimità, in presenza di motivazione idonea a dar conto del percorso argomentativo
seguito e della corretta qualificazione come sevizie dei trattamenti imposti all’animale,
come tali idonei a consentire di ritenere configurabile il reato ascrittogli.
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso, affidato a censure non consentite nel
giudizio di legittimità.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale
prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta
inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di
impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una
eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione
impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez.
un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli,
Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del
20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativannente fissata
in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2017
Il Consigliere estensore

Il Presidente

ottenere una diversa valutazione della propria condotta, non consentita nel giudizio di

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