Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16763 del 01/03/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16763 Anno 2018
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NAPOLETANO ROBERTO nato il 22/05/1961 a LA SPEZIA

avverso la sentenza del 22/02/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale, dott. Ferdinando Lignola, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse

Data Udienza: 01/03/2018

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 22/02/2017 la Corte d’appello di Milano ha confermato la
decisione di primo grado, che aveva assolto Roberto Napoletano dal reato di cui
all’art. 57 cod. pen., in relazione agli artt. 595 cod. pen. e 13 I. n. 47 del 1948,
perché il fatto non costituisce reato. La Corte territoriale, in particolare, ha
respinto l’impugnazione proposta dall’imputato, il quale aveva sostenuto che
l’intervenuta assoluzione del giornalista Giuseppe Oddo dal reato di diffamazione
aggravata a mezzo della stampa, con la stessa formula, in ragione del
riconosciuto esercizio del diritto di critica, escludeva la stessa sussistenza

ossia la commissione di reati, destinata ad essere impedita dalla prescritta
attività di controllo, e imponeva l’assoluzione perché il fatto non sussiste.
2. Nell’interesse del Napoletano è stato proposto ricorso per cassazione affidato
ad un unico motivo, con il quale si lamenta violazione di legge, insistendo nella
tesi già sviluppata nell’atto di appello, anche in ragione delle più favorevoli
conseguenze scaturenti dall’auspicata formula di assoluzione, quanto al rimborso
delle spese e al risarcimento del danno (art. 427, commi 2 e 3, cod. proc. pen.).

Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
Come più volte ribadito da questa Corte, il delitto di diffamazione commesso dal
giornalista con il mezzo della stampa rappresenta l’evento del reato colposo
attribuibile al direttore responsabile, ai sensi dell’art. 57 cod. pen. In effetti, la
condotta omissiva del direttore viene identificata dal legislatore nel non aver
attivato i dovuti controlli per evitare che, col mezzo della stampa e sul periodico
da lui diretto, si ledesse dolosamente la reputazione di terze persone. Ne
consegue che, se il delitto di diffamazione di cui all’art. 595, terzo comma, cod.
pen., non risulta essere stato consumato (come nel caso di specie) per carenza
dell’elemento psicologico, la fattispecie colposa omissiva prevista a carico del
direttore non può trovare applicazione (v., ad es., Sez. 5, n. 19827 del
26/02/2003, Graldi, Rv. 224404, che da tali premesse ha tratto la coerente
conseguenza dell’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna
impugnata perché il fatto non sussiste; per identica ricostruzione del quadro
normativo, v., in motivazione, Sez. 5, 04/03/2005, n. 15001, Tabacchi, non
massimata).
Ne discende che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, limitatamente
alla formula assolutoria, che va sostituita con “il fatto non sussiste”.
Con riferimento alle restanti statuizioni contenute nella decisione della Corte
d’appello di Milano, si osserva che la pronuncia di rigetto della domanda di
rifusione delle spese sostenute, formulata dall’imputato ai sensi dell’art. 427,
1

dell’evento tipicamente descritto dal legislatore nel menzionato art. 57 cod. pen.,

comma 2, cod. proc. pen., nei confronti del querelante, è fondata esclusivamente
sulla formula assolutoria, senza alcuna valutazione in concreto dell’esistenza o
non di profili di colpa nella condotta di quest’ultimo, secondo quanto risultante
dalla sentenza della Corte costituzionale 3 dicembre 1993, n. 423. Sul punto,
pertanto, la sentenza va annullata con rinvio ad altra sezione della Corte
d’appello di Milano per nuovo giudizio. Va, invero, rilevato che, venendo in
questione la regolamentazione delle spese sostenute dall’imputato per difendersi
dall’accusa penale scaturita dalla querela, non vi è spazio per l’applicazione
dell’art. 622 cod. proc. pen., che presuppone l’annullamento delle disposizioni o

civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato.
Al contrario, la richiesta risarcitoria fondata sull’art. 427, comma 3, cod. proc.
pen., è stata rigettata all’esito di una argomentata esclusione del presupposto
della colpa grave, non oggetto di alcuna specifica censura da parte del
ricorrente. Sul punto il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla formula
assolutoria, che sostituisce con “il fatto non sussiste”. Annulla la medesima
sentenza, in relazione alla disposta esclusione del rimborso delle spese sostenute
dall’imputato, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, per
nuovo esame. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 01/03/2018
Il Consigliere estensore
Gi

Il Presidente

ppe De aro

Maurizio Fumo

D ,positato in Cancgtmia
Roma, lì

dei capi che riguardano l’azione civile o l’accoglimento del ricorso della parte

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