Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16263 del 23/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16263 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PIRNACI ALESSANDRO SALVO nato il 21/11/1994 a SAN CATALDO

avverso la sentenza del 20/06/2017 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 23/03/2018

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Caltanisetta ha ridotto
ad anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 1.600,00 di multa la pena inflitta ad
Alessandro [Pirnaci con la sentenza del 28/11/2016 del Giudice dell’udienza preliminare
del Tribunale di Caltanisetta, con cui, a seguito di giudizio abbreviato, lo stesso era stato
condannato in relazione al reato di cui al reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando
vizio della motivazione e violazione dell’art. 62, comma 1, n. 4, cod. pen., in quanto il

sostanza stupefacente sarebbe stato assai esiguo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro riproduttivo del secondo motivo d’appello, è inammissibile,
essendo volto a censurare una valutazione di merito, circa la non esiguità del profitto che
l’imputato avrebbe potuto ritrarre dal commercio della sostanza stupefacente che
deteneva, non censurabile nel giudizio di legittimità.
La Corte territoriale, infatti, nel disattendere l’omologa censura sollevata con
l’atto d’appello, oltre a sottolineare la non lieve offensività della condotta valutata nel suo
complesso (in quanto il ricorrente deteneva in concorso con il coimputato Aiera 10
grammi di sostanza stupefacente del tipo eroina e, presso la propria abitazione, due
involucri della medesima sostanza, due di hashish e uno di marijuana), ha affermato che
il lucro che l’imputato avrebbe potuto trarre dal commercio dello stupefacente
sequestratogli non poteva essere considerato modesto, in considerazione del quantitativo
complessivo detenuto e del numero di potenziali acquirenti che avrebbe con tale
quantitativo potuto soddisfare, escludendo di conseguenza la configurabilità della
circostanza attenuante invocata: si tratta di motivazione idonea, che ha escluso in modo
logico la speciale tenuità del lucro, non sindacabile sul piano della valutazione di merito
nel giudizio di legittimità se, come nel caso in esame, adeguatamente e logicamente
motivata.
Il ricorso in esame deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, essendo
stato affidato a una doglianza non consentita nel giudizio di legittimità e anche
manifestamente infondata, essendo correttamente stata esclusa la configurabilità di detta
circostanza attenuante.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in
favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.

guadagno che avrebbe potuto ricavare dalla vendita di poco più di dieci grammi di


P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018

Il Consigliere estensore

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